La sostenibilità digitale richiede competenze e sforzi collaborativi: intervista a Luciano Guglielmi

Essere sostenibili presuppone essere in grado di essere sostenibili: per questo è fondamentale sviluppare, attraverso la formazione, quelle competenze tecnologiche per far si che il digitale, per gli individui e per le aziende, possa diventare davvero uno strumento di sostenibilità

Luciano Guglielmi, CIO del Gruppo Mondadori, è l’undicesimo ospite della rubrica Sustainability Talk. Laureato in Matematica, inizia il suo percorso lavorativo al CILEA (Consorzio Interuniversitario Lombardo) dove si occupa di gestione di sistemi operativi di calcolo vettoriale e parallelo nonché di networking collaborando alla nascente rete della ricerca italiana (GARR). Nel 2000 approda in Mondadori con l’obiettivo di costruire l’aspetto internet dell’azienda. Dal 2014 è CIO del Gruppo Mondadori, assumendo la responsabilità della gestione e dello sviluppo informatico su tutte le aree di business – dai Libri Trade, alla Scolastica, per arrivare ai Periodici ed al Retail. Presidente di CIO AICA Forum, gruppo di lavoro interno ad AICA formato da oltre 70 CIO di aziende medio-grandi e membro del Board di EUROCIO, associazione con sede a Bruxelles che riunisce associazioni di CIO e singole aziende a livello comunitario. Dall’autunno del 2020 è il coordinatore del comitato di indirizzo della Fondazione DTI, Digital Transformation Institute.

Per la sostenibilità? È necessario agire sulla cultura

Se è vero che quello della sostenibilità è un concetto che, soprattutto negli ultimi anni, è diventato sempre più pervasivo e centrale nell’operato di molte aziende, è altrettanto vero che il livello di attenzione che gli viene dato è strettamente collegato al contesto in cui le stesse aziende operano quotidianamente. È (anche) per questo motivo che in Italia, secondo Luciano Guglielmi, “nel management, almeno per quelle aziende che non hanno la sostenibilità come precondizione essenziale, come vero e proprio ‘cavallo di battaglia’, il livello di attenzione non è ancora sufficientemente alto”.

E se non c’è univocità di pensiero, molto è da imputare al fatto che intorno a questo tema ancora non è stata fatta chiarezza, non è stata sviluppata una cultura della sostenibilità a 360 gradi. E questo non porta soltanto ad un basso livello di attenzione, ma anche a quella visione ristretta che porta a limitare il tema alla sola dimensione ambientale. “Se nell’immaginario collettivo, e quindi anche per i manager, quando si parla di sostenibilità al 99% si pensa al solo ambiente, è perché non c’è ancora un adeguato livello culturale. Manca quella consapevolezza che faccia comprendere come le dimensioni economiche e sociali siano altrettanto importanti, ed in questo, devo dire, la pandemia ha ‘aiutato’ – spiega il CIO del Gruppo Mondadori – in questo periodo, infatti, si è discusso più diffusamente sull’attenzione al dipendente collegata alle tematiche del lavoro a distanza, si è ragionato sulla sostenibilità di un nuovo modo di lavorare e su quali vantaggi questo possa portare. Anche qui, però, spesso si cade nell’utilitarismo: un favorire cioè da parte delle aziende un miglior modo di vivere del dipendente grazie al lavoro da casa, un minor impatto sull’ambiente grazie alle riduzioni degli spostamenti casa-lavoro, ma orientato a dei ritorni economici dati dalla riduzione di servizi, dei trasporti aziendali e via dicendo. Insomma, c’è e ci sarà da fare chiarezza per far sì che anche una volta terminata l’emergenza sanitaria, non si perda quel percorso intrapreso che ha portato ad una piccola evoluzione nell’ambito della cultura della sostenibilità”.

Essere sostenibili vuol dire essere in grado di essere sostenibili

In questo percorso, sia le aziende che l’intera società hanno compreso quanto non si possa fare a meno del sostegno fornito dalle tecnologie. E come logica conseguenza – basti pensare al modo in cui hanno permesso a molte persone di poter continuare a lavorare da casa in piena emergenza – della loro importanza in ottica sostenibile. “Da qui, però, dire che la strada è tracciata e che si sa esattamente quale trasformazione digitale attuare per raggiungere obiettivi di sostenibilità ben definiti, il passo è un po’ più lungo. Bisogna evitare di guardare alle possibilità che le tecnologie offrono nell’immediato, e cominciare ad avere una visione a medio lungo termine. Per esempio, il lavoro da remoto non si sarebbe potuto realizzare senza la tecnologia: adesso però, il passo successivo sarà mettere quest’ultima a regime, perché una cosa è agire in tempi di emergenza, altra cosa è fare in modo che possa definire un modo diverso di lavorare e che sia anche più sostenibile”.

La comprensione, da parte delle aziende, dei vantaggi strutturali e delle possibilità abilitate dalle tecnologie anche nello scenario post-pandemia, è quindi un altro fondamentale passo culturale che deve necessariamente essere realizzato. Come? Attraverso quello che per Luciano Guglielmi è un vero e proprio “mantra”, e che abbiamo già visto essere molto caro anche a Mauro Minenna di ACI Informatica, e cioè “Formazione, formazione, formazione. Non soltanto sui dipendenti, ma anche sui capi. Sui dipendenti perché è importante che comprendano che lavorare da remoto, per obiettivi, non equivale a non lavorare; sui capi, d’altra parte, per far sì che possano essere attivati meccanismi di delega, di fiducia, di controllo e verifica del lavoro diversi da quelli attuali e non basati più sulla presenza, ma sul raggiungimento di obiettivi”.

In un contesto in cui l’utilizzo delle tecnologie diventa sempre più cruciale, anche e soprattutto in ambito lavorativo, la formazione diventa un aspetto più che mai decisivo per poter sviluppare quelle competenze che consentano di essere proattivi nel loro utilizzo. E questa, d’altra parte, è una precondizione necessaria affinché possano essere sfruttate in favore della sostenibilità, perché “essere sostenibili vuol dire, innanzitutto, essere in grado di essere sostenibili. Anche se può sembrare ovvio, quindi, è cruciale sviluppare competenze tecnologiche. Faccio l’esempio dello smart working: la più grande difficoltà che abbiamo riscontrato in azienda nel far lavorare le persone da remoto non è stato fornire loro il materiale hardware e software necessario, ma proprio insegnargli a lavorare da remoto – spiega Luciano Guglielmi – infatti, per fare in modo che tutti possano beneficiare dei vantaggi del lavorare da casa, in termini, tra le altre cose, di riduzione degli spostamenti e migliore gestione dei tempi privati e lavorativi, istruirli sulle competenze tecnologiche, sia informatiche che di telecomunicazioni, è senza dubbio la base da cui partire.

Sviluppare competenze, in questo caso tecnologiche per comprendere come poter sfruttare le tecnologie per costruire un modo di lavorare, un modo di vivere più sostenibile, genera anche importanti consapevolezze: “gli strumenti ci sono, e tutti devono essere consapevoli che possono fare la propria parte. Il piccolo contributo del singolo, che sia un’azienda o un individuo, diventa infatti importante solo se sommato a quello di tanti altri”.

La tecnologia c’è, ma da sola non basta

La sostenibilità è un concetto sistemico, che abbraccia diverse aree e che quindi, come precisa il CIO del Gruppo Mondadori, per essere affrontato rende necessario tenere in considerazione diversi fattori, non soltanto la disponibilità o meno di tecnologie abilitanti. “Se parliamo di sostenibilità ambientale, ad esempio, la tecnologia per fare andare le macchine a idrogeno c’è già, non è quello il problema. Il problema è quello di far andare a idrogeno anche tutti i camion su lunghe tratte, mettere dei contenitori di idrogeno al posto dei serbatoi che porterebbero via la metà del carico, e coinvolgere anche tutta la catena di rifornimento. Questo per dire che, in generale, è la filiera a fare la differenza: dalla produzione di materiale in ottica di riutilizzo, dalla produzione di energia pulita e via dicendo. Ed è a quel punto che la tecnologia deve necessariamente farla da padrone”.

In questo senso, secondo Luciano Guglielmi, partendo dalla consapevolezza della grande disponibilità delle tecnologie, il punto cruciale è – e sarà sempre di più – la volontà, anche politica, di metterla in pratica per raggiungere obiettivi di sostenibilità in tutte le sue direzioni. “Diversamente da com’era in passato, oggi la tecnologia c’è. Quello che manca sono la cultura e gli incentivi per fare in modo che questa possa realmente aiutare ad essere più sostenibili”.

La necessità di un impegno comune

Ed è proprio per riempire queste mancanze che le istituzioni avranno un ruolo fondamentale, e cioè quello di tracciare la strada affinché le aziende possano disegnare i propri modelli di sviluppo sostenibile abilitati dal digitale, lavorando verso un obiettivo comune.

Le istituzioni devono acquisire la consapevolezza che il mondo è cambiato, e che oggi si può fare concretamente qualcosa per ‘ripensarlo’ in un’ottica più sostenibile. Per raggiungere questo obiettivo dovrebbero attivare delle risorse dedicate, ma smettendo di guardare all’immediato per favorire una visione di medio-lungo periodo. Ma non solo: anche le aziende hanno un altrettanto elevato livello di responsabilità in questo percorso, perché se mettono in pratica un modello realmente diverso e sostenibile, lo Stato e le istituzioni devono per forza ragionarci sopra. E qui torniamo sull’importanza delle istituzioni, che dovranno fare in modo che la rivoluzione nel modo di lavorare e nel modo di produrre da parte delle aziende sia per queste ultime economicamente sostenibile. Altrimenti, il rischio sarà che le uniche che decideranno di investire saranno quelle che dalla sostenibilità stessa, in funzione del settore di industry in cui operano, riusciranno a trarre profitto”. Insomma: sarà necessario un concreto sforzo collaborativo per poter guardare ad un futuro che sia all’insegna della sostenibilità digitale.

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