Google nel mirino del fisco anche in Italia

Google nel mirino del fisco anche in Italia. La Guardia di Finanza ritiene che Google Italia abbia pagato 96 milioni di euro in meno di Iva. Il gigante del web avrebbe inoltre dichiarato un fatturato minore di quello reale “per un importo di oltre 240 milioni di euro”.

La società americana è al centro di numerose indagini in Europa per pratiche fiscali ritenute illecite. Aggirerebbe le tassazioni nazionali grazie al collocamento della sede centrale europea in Irlanda, paese con norme fiscali favorevoli. Google non è, però, l’unica multinazionale ad essere finita nei guai, molte società della new e old economy utilizzano stratagemmi simili per ridurre il carico fiscale.

Il problema nel caso di Google, spiega il Ministero dell’Economia e delle Finanze in risposta ad una interrogazione parlamentare del deputato del Pd Stefano Graziano, è che la società italiana ha dichiarato solo le provvigioni percepite a fronte delle prestazioni rese prima a Google Inc. e poi a Google Ireland; e non invece l’intero volume commerciale sviluppato. Il fisco sarebbe, quindi, stato eluso in base ad un contratto di servizio tra la società italiana e quelle estere “artatamente posto in essere con la sola finalità di simulare l’esercizio da parte di Google Italy Srl di una mera attività ausiliaria e preparatoria che non ha tuttavia trovato alcun riscontro negli elementi di fatto acquisiti”. Graziano, il deputato che aveva sollevato la questione, non è del tutto soddisfatto, però, della risposta ricevuta dal Tesoro. La risposta del governo confermerebbe “la fondatezza dei nostri interrogativi su questa vicenda”, ma non sarebbe soddisfacente sotto il profilo delle “iniziative che il governo deve prendere”.

La verifica fiscale della Guardia di Finanza, disposta dalla procura di Milano,  non sarebbe sufficiente. L’Agenzia delle Entrate, intanto, fa sapere che esistono numerosi ostacoli nel contrasto delle pratiche fiscali delle società digitali transnazionali che “sfruttando ingegnerie finanziarie offerte da evidenti lacune nella normativa nazionale e internazionale, riescono a non pagare le tasse nel nostro paese. Quindi, per contrastare efficacemente fenomeni di pianificazione fiscale aggressiva aventi scala transnazionale, sta procedendo,  a una selezione di posizioni che possano dar luogo a una mirata attività di controllo fiscale nei confronti dei gruppi multinazionali attivi nel settore dell’elettronica e dell’e-commerce e le cui strategie fiscali sono oggetto di attenzione da parte dell’opinione pubblica italiana e internazionale”.

La risposta di Google non si è fatta attendere. La multinazionale sostiene di rispettare “le leggi fiscali in tutti i Paesi in cui opera”. “Siamo fiduciosi di rispettare anche la legge italiana” ha dichiarato un portavoce della società, aggiungendo: “Continueremo a collaborare con le autorità locali per rispondere alle loro domande relative a Google Italy e ai nostri servizi”.

Google era finito già in passato nel mirino del fisco Italiano. Nel 2008, era stato accusato di omessa denuncia dei redditi e di avere evaso le tasse per circa 50 milioni di euro. La nuova indagine, però, arriva in contemporanea a simili iniziative in diversi paesi europei, in particolare Francia e Regno Unito, e non (Australia).

Il problema è di certo grave per le casse pubbliche dei paesi coinvolti, ma d’altra parte la risposta data dal rappresentante di Google durante l’inchiesta del Regno Unito è illuminante. “Noi paghiamo tutto quel che siamo tenuti a pagare“, ha spiegato Matt Brittin, responsabile di Google per il Nord Europa, ammettendo di aver aperto il quartier generale europeo in Irlanda proprio per il trattamento fiscale favorevole. A molti una simile dichiarazione è suonata un pò come: il mercato globale e le leggi internazionali ci permettono simili pratiche fiscali, non violiamo nessuna legge; ovvero questo è il sistema globale noi sappiamo sfruttarlo.

La replica del presidente della commissione del Regno Unito, Margaret Hodge, giusta o sbagliata che sia in astratto, sembra dimenticare le regole del mercato e chiedere ad una società privata di porre il profitto, dopo considerazioni del tutto estranee all’attività economica. “Non vi stiamo accusando di illegalità, ma di immoralità.. . I consumatori farebbero bene a boicottare queste aziende“.

Il secondo punto forse è il nodo centrale della questione, stante le norme e le dinamiche di mercato attuali, probabilmente solo un forte risentimento dei consumatori potrebbe costringere Google, e società che adottano simili pratiche fiscali, a cambiare atteggiamento. Norme internazionali maggiormente efficaci sono possibili, ma a meno di non ridurre fortemente le transazioni internazionali e chiudre i mercati nazionali, sembra difficile impedire del tutto simili fenomeni.

Ma, d’altra parte, è possibile “boicottare” Google? E i consumatori sono davvero disposti a rinunciare ai sevizi offerti dal gigante per motivi fiscali?

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