Dovendo trovare un aspetto positivo tra le innumerevoli difficoltà alle quali la pandemia ci ha messo improvvisamente di fronte, c’è sicuramente quello di essere stata un’occasione, fin troppo dura, per accrescere il livello di attenzione verso elementi che dovranno divenire sempre più centrali in un’ottica di sviluppo sostenibile. Secondo Gianni Dominici, sociologo, un passato alla guida di importanti organismi di ricerca ed attualmente CEO di FPA, azienda che tra l’altro da decenni organizza la manifestazione ForumPA – la più importante in Italia dedicata all’innovazione della pubblica amministrazione – tali elementi sono principalmente tre: “Trasformazione digitale, sostenibilità e inclusione. Che non a caso sono le tre dimensioni fondamentali attorno alle quali è strutturato il PNRR”.
Una consapevolezza che, negli ultimi mesi, sta diventando sempre più concreta: “se prima c’era un vero e proprio iato tra il cosiddetto ‘pensiero alto’ – proprio degli studiosi che si occupano e parlano di questi temi da anni – e quella che potremmo definire la sua operazionalizzazione, ossia la trasformazione di questo pensiero alto in azioni concrete, ad oggi credo che questi ragionamenti stiano cominciando a tradursi anche a livello operativo”. E nel momento in cui, per le aziende, quello che fino a qualche tempo fa poteva essere visto come un “approccio culturale” trova riscontro in azioni volte a dargli forma e peso, impattando anche a livello di governance: “quello di cui ci si sta rendendo conto è che un’attenzione ai principi della sostenibilità, in tutte le sue dimensioni, non significa soltanto mettersi un’etichetta green, ma vuol dire cambiare profondamente i paradigmi aziendali, riformandoli sulla base di nuovi modi di produrre e nuovi modi di rapportarsi con le persone, sia all’esterno che all’interno dell’azienda stessa”.
L’ecosistema come unica via percorribile
A fare la differenza, secondo il CEO di FPA, è che in questo momento – come sottolineato anche da Renato Grottola di DNV “ci si sta rendendo conto che l’unico modo per affrontare temi di questo tipo è farlo in una logica di rete o, come si abusa dire oggi, di ecosistema.
Questi argomenti non vengono più portati avanti soltanto in una logica top down dalla ‘grande azienda illuminata’ che ha deciso di darsi una spolverata, ma cominciano a coinvolgere in maniera bottom up anche gli stessi destinatari: i diversi attori sui diversi territori.
Uno dei più grandi limiti dell’attuale PNRR – continua Gianni Dominici – che si spera sia superato con il lavoro di revisione che sta portando avanti l’attuale Governo, è che di tale approccio bottom up non c’è traccia, così come non c’è traccia del come debbano essere raggiunti gli obiettivi che ci si pone. Se infatti sono stabiliti con grande chiarezza gli obiettivi legati ai temi della sostenibilità, dell’inclusione e del digitale, pochissimo o quasi nulla viene dedicato al tema del “come” raggiungerli, delle modalità di coinvolgimento dei diversi stakeholder coinvolti e – in generale – della dimensione partecipativa e sociale. È sicuramente un errore sottovalutare questa parte, perché è proprio da questa collaborazione, e dall’attenzione ai temi sociali, che in questo momento vengono i progetti più interessanti”.
Per sfruttare appieno il digitale serve attitudine al pensiero creativo
E in queste azioni, a sottolineare ancora una volta quanto sia profondo il suo rapporto con la sostenibilità, il digitale ha un ruolo fondamentale. Se infatti, per i cittadini, è stato uno strumento fondamentale per permettere di continuare a studiare, lavorare e accedere ai servizi in piena pandemia, per le aziende è ormai un qualcosa di indispensabile, soprattutto nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità. “Ho intervistato circa 130 testimoni, sia aziendali che istituzionali, e ciò che è emerso con grande chiarezza è che il digitale è uno strumento imprescindibile per portare all’interno delle organizzazioni quella flessibilità e quella resilienza che sono indispensabili per raggiungere obiettivi complessi come quelli della sostenibilità, irraggiungibili con modelli organizzativi rigidi e schemi prefissati. Oggi più che mai si deve ragionare per cambiare profondamente l’organizzazione del lavoro, portando all’interno delle organizzazioni nuove competenze: per fare questo, le tecnologie sono dei fondamentali abilitatori”.
Ma se, in questo senso, le competenze digitali e trasversali non possono chiaramente mai mancare, per il CEO di FPA è necessario un più importante e profondo cambiamento, a partire dalla formazione. Qui però non si tratta soltanto di “stabilire quali materie portare all’interno dei sistemi scolastici, pur essendo anch’esso necessario, quanto piuttosto quali attitudini. È necessario, infatti, recuperare la capacità del pensiero critico, flessibile. Dobbiamo insegnare a ragionare in termini di creatività: non a caso una delle parole che in questo momento va per la maggiore è design thinking, inteso come il modo di affrontare i problemi non seguendo un adempimento o una procedura, ma sviluppando la soluzione migliore attraverso il pensiero laterale. Nella nostra manifestazione di luglio sarà presente Francesca Gino, una professoressa italiana ad Harvard che ha scritto un libro intitolato “Talento ribelle”. Un libro bellissimo, che attraverso il racconto di alcune esperienze di successo fa ben capire come per portare innovazione sia necessario disubbidire, liberarsi delle procedure, delle note tecniche. Ed è proprio questo il punto: per sviluppare la capacità di fare fronte a sfide che saranno sempre più complesse e articolate dobbiamo insegnare alle persone l’attitudine al pensiero creativo, perché sappiano anche disobbedire al momento giusto per trovare le soluzioni migliori”.
Questa attitudine è il presupposto fondamentale per fare in modo che le potenzialità delle tecnologie, anche in funzione degli obiettivi di sostenibilità, possano essere sfruttate al meglio. “Pensiamo al tema dei dati. È fondamentale sviluppare la capacità per cui il dato grezzo, proveniente ad esempio dall’IoT, possa diventare informazione, che a sua volta diventa conoscenza, e che in ultimo possa generare una decisione. E per fare in modo che le informazioni possano portare a decisioni, bisogna mettere le persone in condizione di sviluppare le giuste attitudini ad elaborarle, proprio attraverso la cultura del pensiero creativo”.
Quali impatti per lo smart working?
In questo senso, le potenzialità trasformative delle tecnologie sono in grado di sovvertire profondamente alcuni radicati modelli di sviluppo e di produzione con enormi vantaggi dal punto di vista della sostenibilità in tutte le sue dimensioni. Un esempio su tutti, abbondantemente confermato in piena pandemia, è quello dello smart working. “Questa modalità di organizzazione del lavoro può portare ad un modo completamente nuovo di intendere la vita, in termini di costi, di qualità, di tempi, ed è quindi fondamentale costruire al meglio il modello che c’è dietro grazie alle nuove tecnologie. Da questo punto di vista, non soltanto permette di bilanciare al meglio i tempi personali e quelli del lavoro, ma anche di sfruttare la possibilità di non recarsi quotidianamente in azienda per trasferirsi fuori città, dove le case costano meno e la qualità della vita è anche superiore. Questo è solo un piccolo esempio di come la tecnologia, con il modello di sviluppo che vi si costruisce attorno, possa avere un impatto positivo straordinario sulla qualità della vita”.
Vantaggi dal punto di vista dell’uso sociale delle tecnologie che, al contempo, si tradurrebbero in grandi opportunità per intere aree e territori anche dal punto di vista economico. “Il tema dello smart working porterebbe anche ad una nuova geografia in grado di modificare gli attuali rapporti città-periferia, città-area circostante, con una importante ridistribuzione di alcune rendite, come quella immobiliare, riportate e distribuite sul territorio. Insomma, ritroveremmo il concetto di comunità e di quartiere, così come ci sarà un recupero del valore economico delle periferie e di alcuni territori che si stavano desertificando, che stavano diventando soltanto dei ‘dormitori’. Certo, questo può mettere in crisi modelli urbani sui quali si sono basate alcune città – si pensi a Milano – ma dobbiamo ragionare in uno scenario complessivo rispetto al quale anche le retroazioni negative del cambiamento possano essere affrontate per perseguire obiettivi complessivamente positivi”.
Chiarezza, progetti condivisi e nuovi modelli di business
Per fare in modo che questi vantaggi possano diventare strutturali, e che un concetto sistemico con quello della sostenibilità possa svilupparsi appieno, è necessario – e fondamentale – l’apporto di tutti gli attori, a partire dalle istituzioni e le aziende.
Le istituzioni, innanzitutto, dovrebbero tracciare una strada da seguire, perché “la pandemia ha messo in evidenza come questo paese abbia bisogno, per dare il meglio, di un progetto comune. Se non c’è un tema federatore ognuno va per conto proprio, spesso anche in modo contraddittorio e senza quel principio etico e morale che si dovrebbe seguire. Poi ci si può anche dividere in termini politici, culturali, sugli strumenti da utilizzare, ma l’obiettivo, che è quello di Agenda 2030, deve essere condiviso a tutti i livelli. Non solo: una volta condiviso l’obiettivo, è fondamentale fare chiarezza sul modo in cui verranno impiegate le risorse, in maniera coerente con gli obiettivi stessi e soprattutto con trasparenza, perché è l’unico modo per creare quella fiducia indispensabile per muoversi tutti nella stessa direzione”.
Per le aziende, d’altra parte, è fondamentale che capiscano che “quello che stiamo vivendo non è una semplice reazione al contesto pandemico, ma l’inizio di un nuovo modello. Quindi, se da una parte è necessario gestire l’attuale emergenza, dall’altra bisogna pensare a nuovi modelli organizzativi, a nuovi modelli produttivi e di business legati a questi cambiamenti – conclude Gianni Dominici. Le aziende devono capire che l’ambiente nel quale finora hanno operato e prosperato sta subendo un cambiamento radicale, e non devono quindi solo reagire all’emergenza, ma pensare a ricostruire un futuro. Come? Di certo grazie alle tecnologie che sono, in questa direzione, uno strumento formidabile, ma soprattutto grazie ad una visione chiara e condivisa di questo futuro”.
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