Veicolare conoscenza e responsabilizzare i cittadini sulla sostenibilità grazie al digitale e agli ecosistemi tecnologici. La visione di Renato Grottola

Renato Grottola, Global Director Growth and Innovation di DNV GL, ci ha parlato dell'importanza delle tecnologie nel trasferire l'impegno verso la sostenibilità dagli Stati e le imprese fino a tutti i cittadini, in questo nuovo appuntamento con Sustainability Talk

È Renato Grottola, Global Director Growth and Innovation di DNV GL, il nostro ospite per questo sesto appuntamento con Sustainability Talk. Ingegnere elettronico, entra per la prima volta in DNV GL nel 1993, dove la sua visione sulla sostenibilità trova terreno fertile in un contesto aziendale nel quale l’attenzione al tema ha ormai una storia più che centenaria. DNV GL è infatti forse la più antica azienda al mondo ad occuparsi di sostenibilità.

DNV GL è un ente indipendente che fornisce servizi di assurance a livello globale. Opera in più di 100 Paesi nel mondo. Affianca aziende di ogni settore nella gestione dei rischi e nell’assicurare la sostenibilità delle performance di organizzazioni, prodotti, persone, strutture e supply chain attraverso servizi di certificazione, verifica, assessment, attività di formazione e servizi di digital assurance.

Con origini che risalgono al 1864, DNV GL continua a operare a salvaguardia della vita, della proprietà e dell’ambiente.

La sostenibilità è un frame: per alimentarlo servono conoscenza e competenza

Quello della sostenibilità è un concetto altamente pervasivo. Concetto che d’altra parte, essendo di tipo sistemico, per trovare pieno sviluppo richiede un grande impegno da parte di tutti gli attori coinvolti – cittadini, aziende e istituzioni – sotto molteplici punti di vista. Per le aziende, secondo Renato Grottola, questo impegno deve partire dalla governance, facendo della sostenibilità parte integrante del modello di business e, dei suoi obiettivi, elementi costitutivi della visione aziendale. Per fare in modo che questo accada, come sottolineato anche da Mauro Minenna, Carlo Bozzoli e Raffaele Gareri negli scorsi appuntamenti con la nostra rubrica, un ruolo di fondamentale importanza è svolto dalla formazione.

Forse se si iniziasse a parlare degli SDG nelle scuole, si creerebbe una maggiore consapevolezza su queste tematiche, e di conseguenza anche i presupposti per sviluppare una classe dirigente che guardi a questi aspetti non come a degli add-on della performance aziendale tradizionale, ma come parte integrante di quest’ultima. E questo oggi, mediamente, non accade”.

Tanto che il livello di consapevolezza sul tema è ancora basso e, soprattutto, manca la capacità – da parte del management – di declinarlo realmente in logiche di business concrete. “Nonostante si possa dire che il livello di awarness generale sul tema sia in crescita, ancora oggi ogni manager tende ad attribuire al concetto un significato sin troppo influenzato da variabili di contesto. Variabili che, più che guardare alla dimensione sistemica del problema, pescano dall’esperienza contingente, spesso influenzata da elementi come il settore nel quale si opera e il livello culturale dell’azienda”. In questo modo non si riesce a guardare alla sostenibilità in un’ottica di sistema, ma ognuno tende ad attribuirgli un ruolo ed un peso specifico condizionato dalla propria esperienza, con il risultato che ancora manca una visione complessiva del tema ed un approccio strutturato ad esso.

Per uscire da questa concezione è importante dare un contesto alla sostenibilità, definendola come un frame all’interno del quale è fondamentale lavorare allo sviluppo di conoscenza e competenza “perché le problematiche da risolvere per favorire transizioni sostenibili richiedono, appunto, conoscenze approfondite – tanto di settore quanto trasversali – rispetto alle quali è necessario sviluppare competenze specifiche che permettano di integrare la sostenibilità in quel frame che porti, anche grazie alla tecnologia, allo sviluppo di soluzioni concrete”.

Quale ruolo per le tecnologie? 

Quale migliore abilitatore, per creare modelli e processi reamente circolari, che supportino lo sviluppo di conoscenza e la sua veicolazione ottimale nell’ambito dei diversi strati della società – dalle istituzioni alle imprese ai cittadini – delle tecnologie? “La digitalizzazione è la leva principale in questo processo. Permette di orientare gli impegni volti al perseguimento degli obiettivi di sostenibilità consentendo di svilupparli con una granularità altrimenti impossibile. Grazie alle tecnologie si può estendere l’impegno di Stati ed imprese per far si che anche i singoli cittadini possano diventare attori attivi e consapevoli, creando una dimensione di continuità che consente ad ogni attore del sistema di fornire un apporto misurabile e valorizzabile. In questo senso non solo le aziende o gli Stati possono definire le loro politiche di sostenibilità, ma ogni cittadino può diventare parte attiva di tali politiche”.

In questa direzione, per costruire una consapevolezza condivisa intorno al tema della sostenibilità digitale, sono quindi fondamentali strumenti ed attività che facilitino e promuovano il knowledge transfer. Solo così si può agire su quella che definisce la “leva della responsabilità”, ossia la comprensione dei comportamenti e delle azioni – ma in particolar modo degli effetti – che impattano sull’ambiente circostante: “È fondamentale sviluppare una cultura della consapevolezza e una cultura della responsabilità che permettano ad ognuno di prendere decisioni consapevoli. Così come è fondamentale incentivare questi comportamenti responsabili in una logica di welfare che renda ogni cittadino parte attiva per il perseguimento degli obiettivi di sostenibilità”. E per farlo la chiave è nella capacità di creare ecosistemi tecnologici orientati alla sostenibilità.

Il rapporto virtuoso tra tecnologie e sostenibilità

La tecnologia è quindi fondamentale per attivare comportamenti responsabili e sostenibili attraverso la conoscenza e la consapevolezza diffusa degli effetti delle proprie scelte, rappresentando così un vero e proprio presupposto per un orientamento concreto alla sostenibilità.

Faccio un esempio: la transizione energetica da fossili a rinnovabili avviene perché certe tecnologie diventano economicamente convenienti. L’evoluzione tecnologica è quindi un catalizzatore di queste transizioni che orientano verso un percorso sostenibile, perché rende finanziariamente validi modelli di business che prima non lo erano e, allo stesso modo, questa spinta verso la sostenibilità è anche in grado di orientare gli investimenti in evoluzione tecnologica, creando così dei circuiti virtuosi”.

Quindi la tecnologia abilita la sostenibilità, e la sostenibilità orienta lo sviluppo e l’evoluzione tecnologica. Un rapporto che, a livello concreto, si traduce in impatti positivi declinati sui diversi ambiti della sostenibilità. “Quando, per esempio, parliamo di sostenibilità ambientale, uno dei maggiori problemi ad oggi è quello di riuscire a capire qual è l’impronta ecologica di un prodotto. Quindi, da questo punto di vista, è necessario sviluppare modelli e paradigmi che consentano la quantificazione di questi impatti, e che permettano di associare questi valori agli specifici prodotti”. Per fare questo non si può prescindere dalle tecnologie, che permettono la raccolta, la gestione e l’analisi dell’enorme quantità di dati a supporto di questi processi, ma soprattutto che costituiscono un abilitatore allo sviluppo di processi di circolarità che altrimenti resterebbero del tutto teorici.

Ma essere sostenibile per un’azienda non vuol dire soltanto essere “responsabile” o essere “buona”. Comportamenti virtuosi e sostenibili, infatti, hanno ripercussioni concrete anche a livello economico. “Uno dei grandi dibattiti di questi anni è quello relativo al tentativo di rendere le performance di sostenibilità il più possibile oggettive, e di conseguenza assimilabili a valutazioni di carattere finanziario. Per questo sono necessari modelli di indicatori, strumenti e tecniche di garanzia che solo le tecnologie possono abilitare”. In questo contesto, disporre di strumenti finanziari collegati alle performance di sostenibilità diventa, per le aziende, un ulteriore fattore in grado di abilitare pratiche più sostenibili. Ed anche in questo caso un ruolo centrale è ricoperto dagli ecosistemi tecnologici che si mettono in campo per gestire il processo di rilevamento, misurazione e quantificazione delle performance.

Il delicato incrocio tra tecnologie e sostenibilità sociale

La grande opportunità abilitata dalle tecnologie di sviluppare processi di misurazione particolarmente precisi è un vantaggio ma rischia di diventare – se non correttamente gestita – anche un rischio. Infatti, “da un lato c’è la possibilità di usare le tecnologie come strumento di garanzia e di controllo, per accertarsi che i processi produttivi avvengano nel rispetto delle regolamentazioni e dei codici di condotta vigenti, ma dall’altro stiamo vivendo il rischio di vivere in un vero e proprio panopticon: ossia una società controllata”.

Tuttavia, proprio per questo, i concetti di sostenibilità sociale alla base di Agenda2030 sono fondamentali. Così come corriamo il rischio di vivere in una società del controllo, abbiamo l’opportunità di mettere a disposizione delle persone portentosi strumenti di tutela: “per esempio, si possono creare delle piattaforme di worker voice che garantiscano l’anonimato, migliorando la capacità da parte degli organismi di controllo di rilevare eventuali pratiche scorrette ed aumentando così il livello di assurance”.

Ma non solo, conclude Renato Grottola: “Penso alle piattaforme di welfare: il lavoratore non è soltanto una risorsa a disposizione dell’azienda ma è anche un individuo, e queste piattaforme possono essere utilizzate per incentivare comportamenti virtuosi: quindi da questo punto di vista penso che gli elementi unificanti tra le dimensioni ambientale, sociale e di governance, all’interno delle quali la sostenibilità sembra oggi essere “divisa”, siano proprio quelli di piattaforma e di rete”. Gli elementi alla base della sostenibilità digitale.

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