Next Generation Eu: Il piano e le progettualità italiane per il 2030 tra revisioni e tensioni di Governo

Il Piano Nazionale italiano tra obiezioni, rischi, criticità e il ruolo centrale della digitalizzazione nella sua attuazione

Già dalla prima metà di Dicembre del 2020, le continue tensioni tra le forze politiche che compongono la maggioranza di Governo, hanno comportato ritardi e rimandi nella stesura definitiva del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). A questo, da alcune settimane, si è aggiunto il concreto rischio di una crisi di Governo, che complica ulteriormente l’esito della stesura definitiva del Piano nazionale, contestato sia nei contenuti che nelle modalità successiva di gestione dei fondi europei.

Nella serata di Ieri 11 Gennaio 2021 è stata consegnata una nuova bozza del PNRR ai Ministri del Governo, ampliata e rivista in molte sue parti, e contestualmente è stato convocato per questa sera alle 21.30 un nuovo Consiglio dei Ministri per approvare il nuovo Piano Nazionale.

I tempi sono piuttosto contingentati: il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) nella sua versione definitiva del documento, proposto dal Governo e votato dal Parlamento, dovrà essere presentato ufficialmente alla Commissione europea entro il 30 aprile del 2021: completo di tutti i dettagli progettuali e degli “indicatori” mediante i quali la Commissione europea valuterà i progetti e vigilerà sullo stato di avanzamento dei lavori.

Va aggiunto che è forte l’attenzione europea sull’Italia, considerato che il nostro Paese sarà il principale beneficiario delle somme messe a disposizione degli Stati europei attraverso il Next Generation EU. Complessivamente, infatti, l’Italia riceverà risorse pari a circa 209 miliardi sui 750 miliardi complessivi presenti nel fondo. Di queste somme, circa 127miliardi saranno prestiti a condizioni agevolate, mentre circa 83miliardi saranno veri e propri sussidi a fondo perduto, senza contare i fondi provenienti dallo stanziamento del bilancio pluriennale dell’Unione Europea.

Cosa prevedeva il Piano originario, e le obiezioni mosse al Governo

Il Piano dell’Italia non è stato ancora apertamente discusso, e non è stata ancora presentata una versione definitiva pubblica. Tuttavia, è reperibile online una bozza della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 6 Dicembre. Il “#NextGeneration Italia” (così è stato denominato il piano) è articolato in quattro linee di indirizzo strategiche e sei missioni, a loro volta suddivise in varie sottocategorie.

Nel dettaglio, lo schema di ripartizione dei fondi è strutturato attorno a sei aree di intervento:

  • Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura
  • Rivoluzione verde e transizione ecologica
  • Infrastrutture per una mobilità sostenibile
  • Istruzione e Ricerca
  • Parità di genere, coesione sociale e territoriale
  • Salute

Il tutto per una effettiva capacità di spesa complessiva pari a 196miliardi di euro sui 209 complessivi. Oggi però, alla vigilia del Consiglio dei Ministri, indiscrezioni di stampa fanno sapere che complessivamente l’intero budget di spesa (al quale è stato destinato anche parte degli altri fondi previsti dalla programmazione europea e del fondo ReactEU) varrebbe complessivamente circa 310 miliardi di euro.

Ciò dipenderebbe dalla necessità di ampliare i volumi di investimenti e le voci progettuali originariamente previste nel PNRR per dare spazio alle richieste di modifica provenienti dalle altre forze politiche. In particolare, Italia Viva di Matteo Renzi aveva già ottenuto un primo impegno esplicito da parte del Governo in tal senso nei giorni scorsi, a seguito della pubblicazione di una propria lista di 62 punti critici al PNRR e di un proprio piano alternativo denominato “Ciao2030”. A ciò il Governo Conte aveva risposto con la pubblicazione di alcune linee guida per la revisione del PNRR, frutto della “concertazione con le altre forze politiche”, nella quale erano state riviste sia le aree di investimento che i volumi stessi di spesa nettamente al rialzo. Oggi quel documento, come si è detto, è stato ulteriormente superato sia dal punto di vista delle linee guida sia nei volumi di spesa complessivi, alla luce di una nuova bozza del PNRR che ad oggi resta solo descritta a mezzo stampa.

Al Governo è stato contestato, innanzitutto, di aver privilegiato troppo le spese in incentivi e meccanismi di “sussidio” all’economia piuttosto che elaborare veri piani di investimento; inoltre, a ciò si è aggiunta l’ostilità all’idea del Governo di creare un gruppo di “super tecnici” per portare avanti la progettazione e l’implementazione del Piano Nazionale, esautorando di fatto Parlamento e Pubblica Amministrazione.

Al netto degli aspetti politici della questione, ad oggi, per quanto ci è possibile sapere, il Governo ha rivisto molte delle cifre, portando, ad esempio, gli investimenti in “Digitalizzazione” a 46,18 miliardi complessivi (dai 45,86mld delle linee guida) e gli investimenti per la “Rivoluzione Verde e la transizione ecologica (che oggi è la voce di spesa più grande) alla cifra complessiva di 68,91 miliardi. In particolare, però, nel campo della digitalizzazione le spese per la PA passano da 10 a 13mld di euro, mentre sembrerebbero scendere da 35 a circa 26mld i fondi per sostenere l’innovazione digitale “4.0” delle imprese e l’internazionalizzazione, mentre i 3,1 miliardi per la voce “Cultura e Turismo” passerebbero ad 8mld.

Come emergeva già dal testo della prima bozza del PNRR, però, vi era consapevolezza rispetto al ruolo trasversale che deve e dovrà giocare la digitalizzazione all’interno delle differenti aree di intervento. Inoltre, alcune aree di intervento ed i relativi progetti ad esse afferenti sono per loro stessa natura connesse agli strumenti della digitalizzazione; gli esempi più evidenti in tal senso riguardano le politiche verdi e l’istruzione.

Proprio a questi due settori sono destinate altre importanti porzioni delle risorse complessive, articolate in varie aree di spesa: dei 68,91 miliardi previsti per la parte “green” del PNRR tra le varie indicazioni di spesa 5,2 mld andrebbero ad “agricoltura sostenibile ed economia circolare”, per “energia rinnovabile idrogeno e mobilità sostenibile” si era inizialmente parlato di 17,5 mld e su questa voce convergerebbero anche i progetti relativi specificatamente ad “infrastrutture e mobilità” che valgono complessivamente altri 31,98 miliardi (destinati principalmente a favorire lo scambio intermodale in materia di logistica di merci e persone). Inoltre, anche le voci legate all’Istruzione hanno avuto un balzo significativo raggiungendo complessivamente i 28,49 miliardi di euro.

Rischi e criticità che emergono dalla prima stesura del PNRR

Questo enorme volume di risorse, convergendo su progetti “technology-driven”, potrebbe ulteriormente ampliare il ruolo delle tecnologie digitali nel rilancio complessivo del sistema Paese. Ciò a patto che – come già sottolineato nelle scorse settimane da Stefano Epifani sulle pagine di Tech Economy 2030 – “non si finisca con il tentare di accontentare tutti disperdendo in mille rivoli una cifra che andrebbe invece investita con grande attenzione in pochi progetti di sistema che riguardino essenzialmente infrastrutture, cultura e ricerca”.

Nel testo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano si legge: “Modernizzare il Paese significa creare un ambiente favorevole all’innovazione, promuovere la ricerca e utilizzare al meglio le tecnologie disponibili per incrementare la produttività dell’economia e la qualità della vita quotidiana – e ancora – La modernizzazione del sistema paese è premessa e al tempo stesso accompagnamento del secondo pilastro del piano, vale a dire la transizione ecologica. La digitalizzazione è infatti indispensabile per l’utilizzo delle nuove tecnologie che consentono processi industriali più efficienti e un maggiore controllo degli sprechi lungo la catena di produzione”.

Una dichiarazione di principio assolutamente condivisibile – sottolinea sempre Epifani, che aggiunge – resta però l’impressione che manchi una visione strutturata e complessiva di quella che potrebbe essere una declinazione operativa. Ed il rischio che si annidi in questa mancanza un approccio orientato a creare uno spezzatino di progetti che complessivamente potrebbero non ottenere l’effetto sperato è alto, e dobbiamo tenere alta la guardia”

Le altre risorse del Next Generation Eu, in Italia saranno redistribuite destinando, tra le altre cose, non più soltanto 9 miliardi alla Sanità bensì ben 19,72. Quest’ultima voce di spesa, in particolare, aveva fatto scalpore poiché apparsa modesta a seguito della crisi dovuta al coronavirus, soprattutto considerato che essa è destinata soprattutto per l’implementazione dei servizi di assistenza di prossimità e per la telemedicina.

Prospettive per la digitalizzazione del Paese nel “Next Generation Italia”

Nella prima bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) “Next Generation Italia” della Presidenza del Consiglio dei Ministri si leggeva: “In primo luogo, vogliamo un Paese moderno, innovativo dotato di una pubblica amministrazione efficiente e moderna, in cui possano operare imprese innovative e sempre più competitive, un Paese con infrastrutture sicure, tecnologicamente all’avanguardia, che sfruttino tutte le potenzialità offerte dalla rivoluzione digitale”. Nel PNRR, dunque la digitalizzazione è un elemento centrale: ma come viene declinato rispetto ai principali temi del Piano Nazionale?

Innanzitutto, nell’ambito della telemedicina, il Governo proponeva di supportarne un sempre maggiore impiego volto soprattutto al sostegno ed accrescimento dei servizi di medicina territoriale; un aspetto importante se si considera che in termini di “digitalizzazione dei servizi sanitari” l’Italia investe soltanto 22 euro pro-capite pari all’1,2% della spesa sanitaria complessiva destinato alle tecnologie digitali 4.0 per la medicina, mentre in Danimarca (il paese più virtuoso sul tema in Europa) è pari a 70 euro per ciascun cittadino danese.

Parallelamente alla telemedicina, sono stati considerati rilevanti gli investimenti a sostegno delle PMI, favorendone la crescita attraverso due traiettorie: finanziare i loro processi di ricerca e sviluppo e facilitarne le pratiche di brevetto, dall’altro promuovendo a diversi livelli di istruzione percorsi di formazione e ricerca specificamente pensati sulle esigenze delle imprese. Sempre coniugando il tema “imprese e formazione” il Governo vorrebbe promuovere formule di life-long learning ed incentivi per le imprese femminili sia per riqualificarne le competenze in quelle già esistenti, sia per favorire la nascita di nuove imprese innovative fondate da donne.

In ultima analisi, però, i progetti sui quali sembrerebbe meno marcato ad oggi l’intervento del Governo, riguarderebbero lo sviluppo delle reti 5G viste come “infrastruttura” indispensabile e come “presupposto necessario” per la digitalizzazione del Paese ma sulle quali non si sofferma particolarmente il PNRR. Ciò anche in contraddizione, ad esempio, con un piano di ristrutturazione della PA che vorrebbe far passare la digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche attraverso l’utilizzo di un sistema di Cloud Computing pubblico (da realizzare nei prossimi anni), ed attraverso la digitalizzazione dei procedimenti giudiziari sia civili che penali.

Le criticità organizzative ed attuative del “Next Generation Italia”

Ciò che preoccupa molti esperti è che una parte rilevante delle risorse (il 70% delle sovvenzioni) devono essere spese entro il 2023, previa approvazione di tutti i progetti entro lo stesso anno, ed ultimati tutti i progetti entro il 2026. Purtroppo, come ricordato dai più noti economisti, l’Italia negli ultimi sette anni è riuscita ad impegnare solo il 40% dei 40 miliardi previsti nell’ultima programmazione dei fondi strutturali europei, che se comparati ai soli 209 miliardi del “Next Generation EU” in arrivo nei prossimi anni, sono ben poca cosa, eppure non siamo stati in grado di trarne pienamente vantaggio. Come ha evidenziato l’economista Massimo Bordignon: “Con ogni probabilità sarà l’Italia il maggior beneficiario del piano messo a punto dalla Commissione europea. […] l’agenda digitale, l’istruzione, la sanità e la conversione dell’economia verso la sostenibilità ambientale (carbon free) […] la Commissione sorveglierà sulla destinazione dei contributi erogati, com’è naturale che sia”.

A ciò si aggiunga, però, che a fronte di tali aiuti molti altri piani di finanziamento europei oggi attivi, verranno progressivamente ridotti nel budget o addirittura non rifinanziati nei prossimi anni, poiché considerati integrati negli altri piani economici messi in campo. Questo potrebbe compromettere ulteriormente la capacità di gestione dei fondi italiana, in quanto alcuni di questi progetti sono pluriennali e portati avanti congiuntamente con altri Stati europei; dovranno quindi essere ripensati e ricollocati questi progetti all’interno di piani strettamente nazionali, con il rischio di vederne in alcuni casi anche compromesse le finalità di ricerca e sviluppo.

L’Italia intende approfittare pienamente delle risorse messe a disposizione dal NGEU non solo per contrastare le conseguenze immediate della pandemia ma anche per affrontare i principali problemi strutturali – scrivono gli autori del documento – che hanno ostacolato la sua crescita negli ultimi due decenni e per rilanciare lo sviluppo economico e sociale lungo il sentiero della sostenibilità ambientale, della digitalizzazione e dell’innovazione tecnologica”.

In sintesi, il percorso per la modernizzazione del Paese è lungo e non lineare, e c’è da augurarsi che le previsioni economiche rispetto agli effetti moltiplicatori degli investimenti sul PIL presenti nel PNRR abbiano ad attuarsi al livello più alto, stimato dagli analisti in una crescita massima fino al +2,3% entro il 2026.

Inoltre, come si è detto all’inizio, la crisi politica che aleggia sul Governo rende ancora più incerta non soltanto l’approvazione definitiva del PNRR (nonostante le “rassicurazioni” in merito diffuse dai media), ma anche la sua futura governance, in quanto le forze politiche di maggioranza sembrano intenzionate in ogni caso a sciogliere i nodi politici legati all’esecutivo anche a costo di una crisi del Governo, la quale inevitabilmente ne bloccherebbe i lavori proprio nei prossimi delicatissimi mesi che ci separano dall’approvazione dei finanziamenti da parte della Commissione Europea.

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