Robot e lavoro sostenibile

I robot non sostituiranno l’uomo dentro le aziende, ma lo aiuteranno a rendere le lavorazioni dell’industria sostenibili. Una ricerca di Interact Analysis spiega perché

Immagine distribuita da Pxhere

Il 2019 e il 2020 sono stati due anni difficili per il mercato dei robot collaborativi. Un rallentamento dell’economia globale seguito subito dopo da un 2020 che ha segnato per la prima volta una crescita negativa del business dell’industria 4.0 (-11,3% in termini di fatturato e -5,7% in termini di spedizioni). Interact Analysis, però, prevede un tasso di crescita annuale del 15-20%.

Una crescita dovuta a più fattori, tra i quali rientrano i vantaggi offerti dai nuovi robot: dall’aumento di produttività delle aziende fino alla sostenibilità delle lavorazioni.

Quello di “collaborazione” nell’ambito della robotica è un concetto in evoluzione che “da solo non attira necessariamente investitori”. La “chiave del successo” sarebbe da ricercare nell’operativizzazione di questo concetto, motivo per cui i “fornitori sono gradualmente passati dalla semplice vendita dei concetti di ‘collaborazione’ o ‘sicurezza’ alla commercializzazione di soluzioni di atterraggio specifiche in diversi scenari applicativi e aree di servizio”.

È anche grazie allo sviluppo parallelo di altre tecnologie digitali come la sensoristica intelligente che “sta nascendo una nuova generazione di robot più sicuri e in grado di condividere gli spazi con gli operatori umani”, come riporta Innovation Post e così, ad esempio, “nel campo della produzione industriale, con l’applicazione di sensori di alta precisione, visione artificiale, utensili del braccio terminale e software di controllo della sicurezza (allarme), è possibile realizzare una produzione flessibile e la cooperazione tra uomo e robot. Andando avanti, c’è il potenziale per sostituire o assistere parzialmente il lavoro manuale nei processi di prelievo, posizionamento, carico e scarico, pallettizzazione, imballaggio, ispezione della qualità e altre operazioni”.

Infatti, come ha già scritto Andrea Bertaglio – resposanbile del canale Agrifood Evolution su Tech Economy 2030 – intervistando Leonardo Leani, Division Manager Robotics & Discrete Automation di ABB Italia:

“Il Cobot è l’ultima evoluzione della robotica. Il nome è l’abbreviazione di robot collaborativo ed è un robot che può lavorare a più stretto contatto con l’uomo. Inizialmente i robot industriali necessitavano di essere separati fisicamente dalle persone, per motivi di sicurezza, lavorando in ambienti separati. Con l’avvento della sensoristica e dei software, i robot sono diventati più sicuri e condividono la stessa area di lavoro dell’uomo. Quindi uomo e robot che collaborano nello stesso spazio, ma con l’essere umano al centro del sistema.”

Cobot e lavoro sostenibile

Nell’ambito della robotica possiamo parlare di sostenibilità digitale, trasformazione digitale e digitalizzazione in un’ottica di sistema. Tutti e tre i concetti sono vitali per il settore: dall’utilizzo delle tecnologie come strumenti che possano supportare il perseguimento degli obiettivi di sostenibilità, passando per la capacità di reinterpretare il senso e il ruolo di chi lavora nelle industrie fino alla costruzione di nuovi modelli economici e sociali in cui l’uso delle tecnologie risulta essere centrale.

Per questo la direzione che i produttori di cobot hanno intrapreso guarda a questi tre concetti. Il mercato dei robot collaborativi sta sviluppando tecnologie sempre più adatte ai contesti di produzione, nello specifico il settore dell’elettronica e dell’automotive ma anche i settori del magazzino, della logistica, dell’assistenza sanitaria e della vendita al dettaglio hanno quei criteri di sicurezza e flessibilità che i robot collaborativi sono in grado di soddisfare.

Quando si parla di sostenibilità digitale ci si riferisce principalmente a come le tecnologie impattano sulla società e a come l’economia e la società impattano su questo mutamento. Nel caso specifico dell’industria 4.0 è possibile parlare anche di lavoro sostenibile perché, oltre ad assemblaggio o pick & place, un’altra delle operazioni che questi robot sono in grado di effettuare è la cura delle macchine che rientra nella “categoria di movimentazione dei materiali”, che sembra essere “uno dei più grandi usi attuali dei robot collaborativi. Le applicazioni di cura delle macchine sono per natura altamente ripetitive e talvolta più pericolose per l’uomo e qui l’uso di cobot è altamente vantaggioso”. Così la costruzione di modelli economici e sociali sostenibili passa – inevitabilmente – anche dalla sicurezza sul lavoro. In questo senso grazie alla capacità dei robot di garantire sicurezza e precisione del lavoro anche utilizzando la tecnologia degli smart sensor che vi sono connessi si contribuisce al raggiungimento dell’obiettivo 8 di Agenda 2030: “Incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti”, e nello specifico al target 8.8 “Proteggere il diritto al lavoro e promuovere un ambiente lavorativo sano e sicuro per tutti i lavoratori, inclusi gli immigrati, in particolare le donne, e i precari”. Secondo Interact Analysis anche flessibilità e facilità d’uso rappresentano dei vantaggi competitivi dei robot collaborativi nelle applicazioni industriali per questo entro il 2024 si prevede “la continua comparsa di pick and place come terza più grande applicazione per i robot collaborativi” ma lo studio indica che queste tecnologie verranno utilizzate anche per altri scopi: “Ci sono chiaramente prove che le innovative tecnologie cobot sono pronte a penetrare in una serie di nuovi scenari di produzione e non produzione, ambienti per i quali i robot industriali non sono adatti”. Sembra emergere il fatto per cui non sono solo le tecnologie a contribuire agli obiettivi di Agenda 2030. Anche quest’ultima favorirebbe gli investimenti in “infrastrutture – trasporti, irrigazione, energia e tecnologie dell’informazione e della comunicazione” che se da un lato sono “cruciali per realizzare lo sviluppo sostenibile e per rafforzare le capacità delle comunità in molti paesi” dall’altro evidenziano come “lo sviluppo industriale inclusivo e sostenibile è la prima fonte di generazione di reddito; esso permette un aumento rapido e sostenuto del tenore di vita delle persone e fornisce soluzioni tecnologiche per un’industrializzazione che rispetti l’ambiente. Il progresso tecnologico è alla base degli sforzi per raggiungere obiettivi legati all’ambiente, come l’aumento delle risorse e l’efficienza energetica. Senza tecnologia e innovazione, non vi sarà industrializzazione, e senza industrializzazione non vi sarà sviluppo”. Così è proprio l’obiettivo 9 di Agenda 2030 “Costruire un’infrastruttura resiliente e promuovere l’innovazione ed una industrializzazione equa, responsabile e sostenibile” ad incentivare lo sviluppo e l’acquisizione di nuove tecnologie e anche la “corobotizzazione”: come si legge nel punto 9.4 “Migliorare entro il 2030 le infrastrutture e riconfigurare in modo sostenibile le industrie, aumentando l’efficienza nell’utilizzo delle risorse e adottando tecnologie e processi industriali più puliti e sani per l’ambiente, facendo sì che tutti gli stati si mettano in azione nel rispetto delle loro rispettive capacità”. Non è un caso allora che entro il 2024, con molta probabilità, i robot collaborativi faranno il loro ingresso anche nei settori chimico, farmaceutico e alimentare “superando le vendite di cobot all’industria delle materie plastiche e della gomma e quasi superando le vendite all’industria elettronica” e dunque non fermandosi solo all’uso manifatturiero.

La tecnologia è sempre stata uno strumento di innovazione, ma fa paura, perché tende a cambiare equilibri consolidati. Ci sposta dalla comfort zone che determina i comportamenti sociali e anche dalle modalità con cui si sviluppano i sistemi di regolamentazione, ma la trasformazione digitale sta proprio nel sapere (ac)cogliere l’innovazione e comprendere in che modo questi cobot potranno reinterpretare il nostro senso e ruolo. Inoltre, non bisogna dimenticare che il cambiamento nel ruolo professionale non è soltanto dovuto dalla capacità di usare o meno determinate tecnologie, ma anche da eventi di portata globale. Come sottolinea Leonardo Leani infatti:

“Un ambito molto interessante, in tempo di Covid, è quello delle analisi cliniche. Ad esempio, la manipolazione di numerose fialette per l’asservimento di una macchina per i test da parte di umani espone a rischi potenzialmente elevati in caso di errore. L’uso di Cobot di nuova generazione può essere un grande aiuto su questo fronte.”

Se poi si pensa che in Giappone e in Corea del Sud, “a causa dell’invecchiamento della popolazione e della carenza di manodopera, la capacità dei robot collaborativi di lavorare a fianco degli essere umani rappresenta un punto di forma unico” l’approccio che si deve avere nei confronti di queste tecnologie non deve essere un approccio punitivo. Assumiamo il fatto che la tecnologia può migliorare le condizioni dell’uomo. Certo, il rischio di intraprendere una direzione che sbordi verso un sistema di insostenibilità sociale è dietro l’angolo – si pensi, ad esempio, all’impiego di questi robot per fare in modo che i dipendenti lavorino anche in età molto avanzata. Per questo bisogna tenere a mente che la sostenibilità digitale assurge al ruolo di sostenibilità e non di strumento, in quanto è la tecnologia ad essere pervasiva e a generare un impatto sistemico. La sostenibilità digitale può far in modo che questo impatto – inevitabile – sia positivo e non danneggi ambiente, economia e società.

Facebook Comments

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here