Cobot, quando la collaborazione tra robot ed essere umano diventa semplice, e indispensabile

La robotica sta entrando sempre più spesso nella nostra vita quotidiana, ed oggi ci si trova davanti a macchine multiscopo programmabili le quali potenzialità nell'aiutare l'uomo, migliorandone così la qualità della vita, sono enormi: con Leonardo Leani di ‎ABB Italia parliamo di Cobot, l’ultima evoluzione della robotica

La robotica, fino ad ora relegata alla grande industria o ai film di fantascienza, sta entrando sempre più spesso nella nostra vita quotidiana, con prodotti che possono affiancare le persone operanti nei settori più disparati. Oggi ci si trova davanti a macchine multiscopo programmabili, che possono appunto coadiuvare l’essere umano in tutti i lavori più faticosi e pesanti, più ripetitivi e pericolosi.

Le potenzialità di queste macchine che aiutano l’uomo migliorandone così la qualità della vita sono enormi. Macchine che anche da un punto di vista ingegneristico sono multidisciplinari, dato che al loro interno ci sono aspetti di meccanica, di elettronica, ma anche l’Internet delle cose (IOT). Macchine estremamente interessanti, insomma, sia dal punto di vista tecnico che filosofico.

Ne abbiamo parlato con Leonardo Leani, Division Manager Robotics & Discrete Automation di ‎ABB Italia.

Ma che cos’è un Cobot?

Leonardo Leani, Division Manager Robotics & Discrete Automation di ‎ABB Italia

Il Cobot è l’ultima evoluzione della robotica. Il nome è l’abbreviazione di robot collaborativo ed è un robot che può lavorare a più stretto contatto con l’uomo. Inizialmente i robot industriali necessitavano di essere separati fisicamente dalle persone, per motivi di sicurezza, lavorando in ambienti separati. Con l’avvento della sensoristica e dei software, i robot sono diventati più sicuri e condividono la stessa area di lavoro dell’uomo. Quindi uomo e robot che collaborano nello stesso spazio, ma con l’essere umano al centro del sistema.

Non si tratta di sostituire le persone, quindi?

Assolutamente: non si parla di sostituzione, ma di integrazione. Il robot serve ad integrare il lavoro dell’operatore, ne potenzia le capacità e lo sostituisce di fatto in quelli che sono i compiti più faticosi e pericolosi. Oppure in quelli più tediosi, o ergonomicamente più impegnativi.

Ma l’uomo è lì al centro e fa la parte più nobile. I Cobot di fatto sono dei robot con più sensoristica a bordo, che li rende più sicuri per poter lavorare insieme all’uomo. Sono in grado, tramite sensori di laser, radar e sensori di coppia montati sui giunti, di avere una visione o di percepire e anticipare un possibile contatto con l’operatore, in modo da garantirne l’incolumità.

A tal proposito ci tengo a dire che sono molti gli studi che evidenziano come i Paesi che hanno più investito nell’automazione sono anche quelli meglio posizionati in termini di occupazione. Questo perché si innesca un circolo virtuoso studiato e applicabile a tutte le rivoluzioni industriali. Con più robot abbiamo più automazione, che porta necessariamente a più occupazione. Questo è possibile perché l’automazione contribuisce a ridurre i costi, ridurre i costi porta una riduzione dei prezzi e ridurre i prezzi porta ad un aumento della domanda e a rendere accessibile il prodotto a più utenti; più domanda porta a sua volta a più investimenti e più occupazione.

Quali sono i Paesi che hanno investito di più in questo senso?

Giappone e Germania, per la densità di robot. L’Italia è ben posizionata, perché abbiamo una densità di robot/umani (il numero di robot ogni 100.000 addetti) più alta della media mondiale. Poi c’è ovviamente la Cina, di cui si parla da anni per il grande vantaggio competitivo legato al basso costo della manodopera. Oggi il mercato della Cina per la robotica è il mercato di gran lunga principale al mondo. Il mercato domestico della Cina assorbe tanti robot quanti sono i successivi tre nella classifica messi insieme. Quindi parliamo di Stati Uniti, Corea e Germania.

Quali sono le caratteristiche che distinguono questi vostri Cobot?

I Cobot per definizione devono essere robot particolarmente sicuri, quindi equipaggiati con sensoristica che ne consenta l’uso sicuro in presenza dell’operatore. I robot sono estremamente flessibili, ma la caratteristica principale che distingue un cobot da un robot tradizionale è la semplicità d’uso, fattore chiave che rende accessibile l’investimento in robot a tantissime nuove applicazioni, e a tantissime nuove imprese.

Basti pensare che noi vediamo robot ormai anche nei laboratori artigianali o in laboratori medici, proprio grazie alla semplicità d’uso che non richiede un programmatore esperto o delle competenze specifiche tecniche. Il che amplia a dismisura il mercato potenziale. Secondo Leonardo da Vinci, “la semplicità è la massima raffinatezza, la suprema sofisticazione”. Da questo punto di vista abbiamo veramente raggiunto grossi traguardi.

Qual è l’importanza del digitale per il funzionamento di queste macchine?

Il valore digitale nella robotica si trova sotto diversi aspetti. Lo troviamo innanzitutto per tutto quello che riguarda la connessione dei robot al cloud. In concreto, i sistemi di monitoraggio e diagnostica remoti. Con questi sistemi, da un server si può monitorare tutto lo stato di funzionamento del robot. Con degli algoritmi di Machine Learning possiamo predire un guasto. Oppure possiamo fare la manutenzione predittiva informando il cliente prima del guasto e concordando con lui la modalità migliore per intervenire. Possiamo decidere ad esempio in anticipo se attendere un fermo programmato oppure attendere il guasto e intervenire più prontamente con tutti i pezzi necessari. In ogni caso riusciamo a predire un malfunzionamento.

Altri aspetti di digitalizzazione riguardano l’ottimizzazione dei programmi del robot. Attraverso l’accesso a tutti i dati nel cloud, possiamo confrontare robot in diverse parti del mondo che fanno compiti analoghi – task come si dice in gergo – e confrontarne le prestazioni. Ad esempio, posso misurare in termini di velocità o di tempo ciclo la produttività e utilizzare quelli che performano meno secondo certi parametri. A questo punto possiamo informare un cliente che c’è un robot nel suo impianto che sta performando meno bene di quello che potrebbe. Tutto questo ovviamente porta ad un’ottimizzazione del ciclo, un aumento della produttività e un più veloce ritorno dell’investimento. Questo per quanto riguarda la connessione dei robot in remoto.

Poi ci sono altre tecnologie. Come ad esempio la robotica abbinata alle tecnologie Digital Twin: la simulazione e tutta la programmazione fuori linea, la Virtual reality e l’augmented reality. L’anno scorso abbiamo sperimentato e accelerato tantissimo – causa Covid – ad esempio sullo sviluppo della tecnologia Virtual Commissioning. Cioè abbiamo dovuto fare il commissioning da remoto di impianti in altri Paesi, senza poter andare sul posto causa restrizioni imposte dalla pandemia. Per cui siamo riusciti a collaudare e a mettere in servizio degli impianti robotizzati in altri Paesi stando tranquillamente nel nostro ufficio o nelle nostre case. E poi tutto il discorso dell’intelligenza artificiale, che abbinata alla robotica apre dei mondi incredibili.

Sulla pandemia, ritiene che ovviamente abbia dell’utilità dei Cobot, se sta accelerando degli investimenti in questo momento?

Assolutamente sì. Dai nostri studi risulta che circa l’85% delle aziende a livello mondiale prevede nel prossimo decennio un aumento degli investimenti nella robotica, e questo è importante.

C’è un’analogia tra quello che è successo nelle nostre vite private, con lo Smart Working, e quello che succede negli stabilimenti con i robot. Gli stabilimenti devono diventare più resilienti e avere sistemi di produzione più indipendenti dalle presenze fisiche delle persone. Devono essere più gestibili da remoto. E un esempio virtuoso è il Virtual Commisioning.

Ma anche la gestione da remoto e quindi la visione della fabbrica del futuro ad esempio è diversa da come la studiavo al Politecnico. Oggi in questa fabbrica gli operatori osservano e gestiscono, ma non è necessaria la loro presenza per le operazioni più manuali, più faticose e più ripetitive. Nella fabbrica del futuro il fattore rivoluzionario è la necessità di aumentare esponenzialmente la flessibilità, quella resa necessaria dal macro trend della customizzazione. La “mass customization” richiede una flessibilità che solo tramite l’automazione abbinata alle tecnologie di intelligenza artificiale è possibile soddisfare.

Qual è l’ambito in cui si stanno diffondendo maggiormente i Cobot?

I Cobot possono andare dappertutto. Abbiamo applicazioni nella grande industria automobilistica, che è stato storicamente il primo utilizzatore di robotica industriale. Ma anche in tutte le altre piccole e medie imprese e in tutti i laboratori artigianali, nei negozi, nelle farmacie, fino alla ristorazione.

Un ambito molto interessante, in tempo di Covid, è quello delle analisi cliniche. Ad esempio, la manipolazione di numerose fialette per l’asservimento di una macchina per i test da parte di umani, espone a rischi potenzialmente elevati in caso di errore. L’uso di Cobot di nuova generazione può essere un grande aiuto su questo fronte.

Altro ambito di applicazione è la semplificazione del teaching del robot, fino al nuovo software Easy programming, una programmazione a blocchi che elimina completamente la necessità di conoscere un linguaggio di programmazione robot.

Se da un lato tutte le nuove tecnologie rese disponibili dall’innovazione aumentano la complessità, dall’altro la difficoltà per l’utilizzatore diminuisce fino a quasi a scomparire, perché tutto viene incorporato all’interno delle macchine e dei software di controllo. E questo secondo me è veramente l’essenza del progresso, che rende tecnologie molto complesse accessibili a tutti.

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