Digitalizzare l’agrifood: tra politiche europee e soluzioni tecnologiche

L’utilizzo congiunto di diverse tecnologie nell’Agrifood permette di ottimizzare le risorse ed efficientare i processi, con evidenti vantaggi anche nel favorire la sostenibilità nelle filiere, ma il tutto deve essere supportato da interventi politici

Le tecnologie digitali rappresentano sempre di più uno strumento indispensabile per favorire le migliori pratiche di sviluppo sostenibile; e se nei settori industriali e manifatturieri le nuove tecnologie rappresentano per lo più un supporto all’ottimizzazione dei modelli di produzione e logistica riducendo gli sprechi, nell’ambito delle filiere di produzione agricola e del consumo alimentare esse possono avere effetti altrettanto rilevanti se non addirittura più significativi.

A fronte di una serie assai ampia di opportunità che il settore agricolo potrebbe cogliere, grazie all’impiego delle nuove tecnologie, le imprese di settore in Italia stentano ancora a comprendere quanto e come sfruttare a proprio vantaggio questa “business opportunity”. Già nel 2017, infatti, in una ricerca del Digital Transformation Institute realizzata in collaborazione con CISCO, emergeva chiaramente che il settore dell’agroalimentare in Italia svolge un ruolo decisivo in quanto coinvolge il 21,7% degli occupati italiani; ma ancora tre anni fa, il 77,3% delle aziende italiane non aveva investito in innovazione digitale, oppure aveva investito meno di 5mila euro, contro un 22,7% di aziende che avevano già investito in soluzioni tecnologiche “agritech” composto per lo più da grandi imprese.

Il nuovo corso politico europeo tra PAC, Green Deal e “Farm to Fork” Strategy

L’Unione Europea a 27 è il leader mondiale nelle esportazioni di prodotti agroalimentari, con quasi 140 miliardi di esportazioni soltanto nel 2019; per contro, è anche il secondo importatore mondiale dopo gli Stati Uniti, con ben 122 miliardi di importazioni nei confini comunitari. Ciò si traduce in una bilancia commerciale in positivo, con un surplus commerciale costante dal 2009 ad oggi ed un aumento delle esportazioni dell’agrifood anche nei primi sette mesi del 2020, pari ad un più 3% anche nel più forte periodo di restrizioni per la pandemia.

L’adozione delle nuove strategie e politiche agricole europee tra la fine del 2020 ed i primi mesi del 2021, segnano un nuovo passo che però richiede una seria analisi, sia sotto il profilo degli impatti positivi sia di quelli negativi in materia di filiere agroalimentari, ed urge comprendere come le nuove tecnologie possano giocare un ruolo virtuoso in questo difficile equilibrio.

Infatti, il Green Deal nel suo complesso spinge per la riduzione degli impatti negativi sull’ecosistema, e sulla maggiore qualità in termini di produzioni biologiche, di tutte le produzioni europee. Nello specifico, vi sono anche i nuovi dettami della “Farm to Fork” Strategy, che prevede l’adeguamento di tutte le produzioni agricole europee a stringenti parametri di filiera, i quali vanno tra l’altro dalla riduzione di almeno il 50% del quantitativo di pesticidi, fertilizzanti ed antibiotici impiegati in agricoltura entro il 2030, alla trasformazione di almeno il 25% delle intere superfici agricole europee in produzioni biologiche. A ciò si aggiungono il tracciamento di tutti questi parametri, la riduzione dei passaggi di filiera, la riduzione degli sprechi alimentari, il combattere le frodi alimentari, ed il completo tracciamento quantitativo e qualitativo dei prodotti fino alla piena “trasparenza” dell’etichettatura anche per il consumatore finale.

In questo contesto, però, occorre ancora lo sviluppo e l’adozione di una visione globale che garantisca la coerenza tra al Farm to Fork Strategy e la Politica Agricola Comune (PAC). Infatti, proprio quest’ultima ha subito una serie di variazioni nella distribuzione delle risorse che impatterà notevolmente sulle singole produzioni e sulle imprese. In particolare, la PAC prevedrà un 30% di risorse del Primo Pilastro (Sostegno diretto agli agricoltori ed al mercato agricolo) destinato agli “eco schemi” nazionali espressamente per le attività di tutela climatica ed ambientale (contro il 20% originariamente previsto dalla Commissione); inoltre, portando nell’ambito del Secondo Pilastro (Sviluppo rurale) al 35% la quota di risorse per i Piani di Sviluppo Rurale (PSR) destinata alle misure per l’ambiente ed il clima. Tutto questo riequilibrio e redistribuzione delle quote e delle risorse, per di più vincolando gli eco schemi nazionali alle direttive generali della Commissione Europea, rischia di far si che i progetti europei non trovino nella PAC una dotazione finanziaria sufficiente per la loro attuazione.

Il rischio, in ultima analisi, è che una simile architettura delle politiche europee per l’agricoltura possa vincolare filiere e produttori a progettualità che ne mettono a rischio la redditività, soprattutto nella fase di transizione. Inoltre, l’innalzamento dei vincoli e dei costi connessi a alle nuove politiche di tracciabilità e sostenibilità delle filiere, potrebbe comportare un innalzamento dei costi rendendo meno competitivi i prodotti europei per l’esportazione favorendo nel contempo l’accesso di produzioni più economiche e di minor qualità nel mercato comune europeo.

Il ruolo delle tecnologie digitali come supporto alla sostenibilità delle filiere agricole

Dinnanzi alle “sfide” per la sostenibilità ambientale, declinate nelle nuove politiche e strategie europee per l’agricoltura, occorre capire come le nuove tecnologie possano mitigare gli effetti negativi della transizione ed allo stesso tempo promuovere qualità e sostenibilità ambientale delle produzioni agroalimentari. Occorre capire come questo passaggio delle politiche europee da un approccio di “compliance” ad uno di “performance” possa impattare sulle imprese; e come esse possano affrontare temi di efficienza, resilienza, digitalizzazione e sostenibilità in modo nuovo e con strumenti innovativi. A maggior ragione se si tiene conto del fatto che, potenzialmente, oggi l’implementazione di soluzioni innovative in ambito agrifood, secondo le ricerche condotte dal Politecnico di Milano, avrebbe complessivamente un valore superiore ai 450 milioni di euro.

Da questa prospettiva, oltre al già evidenziato rapporto del Digital Transformation Institute, risulta interessante prendere in esame anche il lavoro sviluppato tra il 2019 ed il 2020 dalla Fondazione Barilla dal titolo “Digitalizzare l’Agrifood”, in quanto, a ben vedere, anche da questa analisi emerge l’importanza di coniugare differenti tecnologie lungo le differenti filiere in modo da creare processi virtuosi di ottimizzazione delle risorse ed efficentamento attraverso la gestione condivisa dei dati.

Ad esempio, dal rapporto emerge come l’integrazione fra loro di differenti reti IoT per il monitoraggio dei suoli, possa consentire di raccogliere dati da gestire sia individualmente (da parte della singola azienda) sia collettivamente (fornendo trend ed informazioni aggregate provenienti da più imprese agricole), con l’ulteriore vantaggio di ottimizzare costi e processi anche a favore delle piccole realtà produttive. Un simile sistema, ad esempio, secondo le stime del rapporto, consentirebbe di migliorare drasticamente le pratiche produttive comportando un incremento del reddito fino al 20%, ed un abbattimento al tempo stesso del 10-20% di erbicidi e combustibile impiegato; il tutto mantenendo, come si è detto, assai contenuti i costi di implementazione.

Un altro aspetto rilevante espresso dal rapporto della Fondazione Barilla riguarda i possibili benefici derivanti dall’integrazione fra loro di differenti soluzioni tecnologiche, in modo da generare oltre agli “utilizzi primari” ulteriori soluzioni d’impiego di altro livello. Ad esempio, con i sistemi di Intelligenza Artificiale che gestiscono i dati delle reti IoT, attraverso l’integrazione della tecnologia Blockchain, si potrà anche procedere in tempo reale al tracciamento dei prodotti lungo la filiera distributiva. A questo primo livello di integrazione tecnologica, si aggiungono ulteriori utilizzi, come ad esempio il poter estrarre dati “certificati” per attribuire a ciascun soggetto della filiera gli effettivi costi delle eventuali esternalità negative.

Un ultimo tema assai rilevante riguarda la politica, chiamata a fornire un duplice supporto: innanzitutto quello normativo, riguardante la costruzione di un quadro normativo che supporti la tutela e la gestione dei dati all’interno di questi nuovi processi; in secondo luogo, il supporto nella realizzazione delle infrastrutture come le reti 5G. Un aspetto, quello delle infrastrutture digitali, ancora solo enunciato nella bozza del Piano “Next Generation Italia” ma non espresso, ad esempio, in una visione coerente di diffusione della rete 5G sull’intero territorio nazionale; senza contare che anche all’interno del PNIEC molte misure “di sistema” in favore della digitalizzazione dell’Agrifood potrebbero trovare più spazio e più risorse. Se si pensa soltanto a quanto possa contribuire l’e-commerce nel settore agroalimentare alla riduzione delle filiere distributive, e all’incentivo che ne ricaverebbero anche i piccoli produttori per sostenere le proprie produzioni; ecco già che si comprende quanto un serio investimento nelle reti 5G possa contribuire allo sviluppo di una agricoltura sostenibile nel nostro territorio nazionale.

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