Per la Farm to Fork, “serve la combinazione di tutte le tecnologie disponibili”

Intervista a Livio Tedeschi e Alberto Ancora sulla strategia Farm To Fork, al centro del Green Deal europeo, per rendere i sistemi agroalimentari sani e rispettosi dell'ambiente

La strategia Farm to Fork è al centro del Green Deal europeo e mira a rendere i sistemi agro-alimentari “equi, sani e rispettosi dell’ambiente”. Come ricorda la Commissione europea, ad oggi questi sistemi rappresentano quasi un terzo delle emissioni globali di gas serra, consumano importanti quantità di risorse naturali, provocano la perdita di biodiversità e impatti negativi sulla salute (dovuti sia alla sotto che alla sovra-nutrizione). Non solo, spesso non consentono ritorni economici e mezzi di sussistenza equi per tutti gli attori della filiera, in particolare per i produttori primari. Tra i principali e più controversi obiettivi della strategia, ci sono quelli di ridurre del 50% il rischio e l’uso di agrofarmaci e di incrementare del 25% la superficie dedicata all’agricoltura biologica; tutto entro il 2030. Dal settore agro-alimentare c’è però chi mette in guardia da ingenuità e proclami basati più sulle emozioni che su un approccio razionale. Perché una cosa sono le buone intenzioni, un’altra è capire se ciò che si propone è fattibile. O se ha senso farlo. Se ne è parlato questa mattina durante la conferenza stampa “Our way forward in sustainability” organizzata da BASF. Abbiamo parlato con uno dei relatori, Livio Tedeschi, Senior Vice President di BASF Agricultural Solutions per l’area EMEA, e con Alberto Ancora, presidente di Federchimica-Agrofarma e Vice President di BASF Agricultural Solutions EMEA South.

Farm to Fork: tutti d’accordo sugli obiettivi, meno sul come raggiungerli

Livio Tedeschi, Senior Vice President – Agricultural Solutions EMEA

La Farm To Fork punta alla riduzione dell’uso di agrofarmaci e all’aumento delle aree dedicate all’agricoltura biologica. Impossibile non essere d’accordo. Ma è davvero fattibile, nell’arco di nemmeno un decennio? E quali effetti potrebbe avere? Qualcuno si è chiesto se questo piano, per come è impostato, non possa avere anche risvolti negativi? “Quest’anno il dibattito sulla Farm to Fork è abbastanza intenso”, spiega Livio Tedeschi: “Quello sui cui in genere tutta l’industria è d’accordo è quella visione di trasformazione che c’è in questa strategia: intensificare il percorso di trasformazione in chiave sostenibile dell’agricoltura e arrivare a una produzione agroalimentare in Europa con un maggior rispetto per l’ambiente, senza però eliminare quelle conquiste che ha raggiunto l’agricoltura negli ultimi vent’anni, e cioè la disponibilità di alimenti di ottima qualità, in grande varietà e accessibili a tutti i cittadini dell’Unione europea.” È molto importante che questi tre aspetti facciano parte della strategia, sottolinea Tedeschi. Ma quali sono i punti critici?

“Innanzitutto, la visione della Farm to Fork viene descritta senza un’analisi economica dell’impatto che avrebbe il raggiungimento degli obiettivi della strategia così come sono in essa descritti. Questi obiettivi sono ad esempio la riduzione del rischio e dell’uso di agrofarmaci del 50%, in particolare di quelli altamente pericolosi o l’incremento dell’area di agricoltura biologica al 25% dell’intera superficie coltivabile. Qui cominciano già alcune a sorgere alcune domande”, puntualizza Tedeschi: “Generalmente le rese su un’area di agricoltura biologica sono più o meno del 50% rispetto alle aree coltivate con metodi tradizionali, per cui se trasformiamo il 25% dell’intera superficie agraria europea in area biologica, avremo certamente un calo della resa. Abbiamo poi una riduzione del volume e del rischio degli agrofarmaci usati, quindi un’altra pressione per la riduzione delle rese. Domande che non sono ancora state valutate appieno sono poi: cosa succede se diminuiamo la produttività europea rispetto al fabbisogno attuale e al crescente fabbisogno dei prossimi anni? Quale sarà l’impatto economico sul bilancio delle esportazioni e delle importazioni europee? Perché se lavoriamo sotto l’assunzione che la produttività europea andrà diminuendo, allora bisognerà importare quel gap che manca da Paesi stranieri.”

Parlare di Farm to Fork impone dunque di considerare questioni di varia natura, inclusa quella economica. “Il Parlamento europeo sta discutendo applicazioni di regole più restrittive per quanto riguarda i livelli massimi di residui accettabili nelle importazioni. Quindi da un lato creiamo una situazione che richiederebbe più importazioni di alimenti dall’esterno della Comunità europea, dall’altro rendiamo le norme che regolano il traffico molto più severe di quelle che sono”, chiosa Tedeschi: “L’altro aspetto è quello delle esportazioni: l’Europa è una delle regioni più grandi al mondo per quanto riguarda le esportazioni di vari tipi di commodity agrarie all’estero. Se rendiamo il sistema di produzione ancora meno competitivo dal punto di vista dei costi, ci sarà uno svantaggio enorme dell’Unione europea a livello di mercato internazionale, e anche questo non è stato valutato in modo approfondito nella strategia. L’ultimo aspetto da considerare è che se facciamo pressione perché le rese e la produttività per ettaro si abbassino, come vogliamo compensare tutto quello che viene a mancare? Ma la domanda fondamentale è: se vogliamo una trasformazione radicale nell’ambito dell’agricoltura, quali sono le tecnologie alternative che vogliamo facilitare e mettere a disposizione per colmare alcune di quelle lacune di produttività che si verranno a formare eliminando alcune delle tecnologie correnti?”

Focalizzarsi sui soli aspetti emotivi può essere controproducente

L’industria agroalimentare chiede insomma di essere inclusa in questo dibattito, di entrare in un dialogo con la Commissione europea sia come fornitrice di tecnologie agricole, sia come filiera. “L’obiettivo è capire quali sono le tecnologie alternative che vanno accelerate per contribuire alla visione espressa dalla strategia Farm to Fork”, aggiunge Tedeschi: “Il pericolo di questo tipo di dibattito è di focalizzarsi su aspetti parziali, come quelli sensazionalistici e di breve durata, quando invece un approccio scientifico e rigoroso prevede la trattazione di tutti gli aspetti connessi. Se guardiamo alle emozioni di questo momento che riguardano l’industria agroalimentare, notiamo che queste non fanno trasparire quale è stato il contributo dell’evoluzione e dell’innovazione tecnologica per una maggiore sostenibilità che, soprattutto negli ultimi vent’anni, è stato spettacolare.”

Sostenibilità, sicurezza delle sostanze, aumento della produttività, rispetto e integrazione ambientale: “Sono progressi fatti anche grazie a una certa pressione regolatoria; non dimentichiamo infatti che il numero di sostanze bandite in Europa è il maggiore del mondo, e non dimentichiamo neppure che nell’Ue la difficoltà per introdurre nuove sostanze e nuove tecnologie è spaventosa, e che i costi sono così alti da generare grandi dibattiti all’interno delle aziende, sul fatto che valga la pena o meno sviluppare nuove tecnologie per l’Europa – sottolinea il manager – Questo perché la paura delle barriere regolatorie è così alta che molti sono già convinti che gli investimenti per l’Europa siano uno spreco di risorse che potrebbero essere usate per sviluppare tecnologie in Nord America, Sud America e in Asia. Invece che basare tutto sull’emozione, avviamo un dibattito neutro, con stakeholder dell’industria che, tra l’altro, sono molto interessati a parteciparvi. Sarebbe molto più produttivo, il problema è che al momento non lo si riesce ad avere.”

Alberto Ancora, Vice President – Agricultural Solutions EMEA South E-APE/S

Della stessa opinione Alberto Ancora, Presidente di Federchimica-Agrofarma, l’Associazione nazionale delle imprese di agrofarmaci, per cui il rischio più grave di un approccio emotivo anziché scientifico è quello di scoraggiare l’innovazione. “Serve sviluppare ulteriormente le tecnologie digitali, o quelle di evoluzione genetica come le new breeding techniques, che sono attualmente in discussione ma che rappresenterebbero una grande opportunità soprattutto per gli agricoltori. Anche perché una scorretta implementazione della Farm to Fork fa rischiare di non tener conto della competitività che le aziende agricole italiane ed europee verrebbero a perdere rispetto a quelle di altri continenti.” Insomma, parlare di sostenibilità senza innovazione è impossibile, e fare scelte emotive, “di pancia”, significa scoraggiare l’innovazione. “L’innovazione è cardine in agricoltura, e in questo momento l’industria assicura una buona parte di questa innovazione. Questo perché l’industria è attenta ad orientare l’innovazione verso le necessità – aggiunge Ancora – Il che non implica una chiusura verso un’agricoltura di tipo biologico: la contrapposizione tra agricoltura convenzionale e biologica è un altro mito da sfatare.”

È il momento di dare più spazio all’innovazione

Le perplessità su come si è finora impostata la strategia Farm to Fork nascono in un contesto, quello italiano, rappresentativo di un’agricoltura caratterizzata da una grande varietà di colture e nel quale si sono già ottenuti importanti risultati a livello di una maggiore sostenibilità. In effetti, negli ultimi vent’anni l’agricoltura del Belpaese ha assistito a un calo nell’uso di agrofarmaci superiore al 30%. Eppure “si vuole parlare di un’ulteriore riduzione del 50% in un contesto che invece denuncia una carenza di soluzioni”, sottolinea il presidente di Federchimica-Agrofarma: “Parlo del contesto italiano e mi riferisco quindi a problemi come la Xylella, la cimice asiatica, la maculatura bruna del pero, che hanno portato addirittura le Istituzioni e le Autorità a chiedere un supporto all’industria, per fronteggiare queste emergenze con delle nuove soluzioni. Ecco, in questo contesto diventa difficile comprendere la fattibilità e l’implementazione di una riduzione di volumi significativi, quando in diversi contesti ci viene chiesto di andare nella direzione opposta.”

In pratica, secondo Ancora, in un momento in cui si vogliono perseguire obiettivi di sostenibilità generale, non è riducendo le soluzioni non solo a livello quantitativo, ma anche di varietà a disposizione degli agricoltori, che si possa risolvere il problema. “Anzi, è il momento di mettere a disposizione tutte le soluzioni possibili, che ovviamente vanno anche al di là degli agrofarmaci: strumenti digitali, nuove tecniche di genetica ecc. È attraverso un combinato e mirato utilizzo di tutte le tecnologie, non attraverso una riduzione indiscriminata di determinate sostanze, che vanno perseguiti gli obiettivi di sostenibilità. Non dimentichiamo poi che l’Italia è già leader europeo di conformità dei residui, come confermato dall’ultimo report del Ministero della Salute. Si può sempre fare di meglio, ovvio, ma per farlo è il momento di dare più spazio all’innovazione.”

Un aiuto dalle tecnologie digitali

In ambito agricolo, le tecnologie digitali offrono diverse opportunità in chiave sostenibile, per vari motivi. Uno su tutti: permettono di ottimizzare l’uso di agrofarmaci in modo da utilizzarne il volume più appropriato. Fra le altre cose, il digitale permette infatti il passaggio da un terreno trattato in maniera uniforme con qualsiasi tipo di agrofarmaco ad uno trattato in maniera variabile, ossia in cui si va ad agire solamente laddove serve. La combinazione di diagnostica e di analisi immediata, fatta grazie alla collaborazione fra le varie macchine agricole e i software necessari per individuare ad esempio il livello di infezione delle varie aree del campo, la situazione meteorologica che porterà a una diffusione più o meno veloce dei vari patogeni ecc., permette di calibrare esattamente le quantità di agrofarmaco da utilizzare, dosandolo in modo variabile nelle varie aree del campo. “Abbiamo quindi la possibilità di dispensare le quantità strettamente necessarie di agrofarmaci e di farlo nella maniera più efficace possibile, tenendo in considerazione tutte le variabili”, sottolinea Livio Tedeschi: “Un altro vantaggio è che tutte le applicazioni vengono immediatamente documentate e registrate, quindi la tecnologia digitale certifica anche la qualità delle produzioni e la commerciabilità dei prodotti dopo la raccolta.”

Le tecnologie digitali sono insomma “come una rivoluzione in agricoltura, per supportare quella voglia di utilizzare il prodotto sempre in maniera sicura, sia per gli operatori, che per l’ambiente, che per i consumatori finali.” Non è un caso, in effetti, se gli investimenti sulle tecnologie digitali sono anche uno dei sei punti sui cui l’Ecpa (Europe’s crop protection industry), l’associazione europea dei produttori di agrofarmaci, ha deciso di puntare maggiormente. Proprio così: grazie al digitale, i principali produttori di agrofarmaci stanno investendo su soluzioni per ridurne l’utilizzo. “Sicuramente l’evoluzione del mercato digitale che si è avuta, soprattutto negli ultimi due anni, sta contribuendo a far ottenere buoni risultati in termini di sostenibilità, ma sta anche aiutando a formare una cultura che vada in quella direzione”, spiega Alberto Ancora: “Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio Agrifood del Politecnico di Milano, oggi parliamo di un valore di mercato che si attesta sui 450 milioni di euro, mentre solo due anni fa era sui 100 milioni di euro.” È vero che si tratta di un’evoluzione molto concentrata nelle attrezzature a supporto di macchine per l’agricoltura e trattori, però anche quello è un concetto di evoluzione digitale – pensiamo al funzionamento e al controllo dei trattori nell’agricoltura di precisione. “Forse l’applicazione delle tecnologie digitali non è ancora la parte principale dell’ottimizzazione degli input tecnici o della gestione delle aziende, ma si può vedere che è veramente in forte crescita”, aggiunge Ancora: “Questo perché le aziende agricole ci vedono tre elementi legati alla sostenibilità: quello legato alla sostenibilità economica, perché si va verso l’ottimizzazione degli input; alla sostenibilità ambientale, dato che colpendo il parassita quando è necessario e nel momento giusto si ha un’ottimizzazione con indubbi vantaggi dal punto di vista ecologico; c’è poi l’aspetto sociale, legato al vantaggio molto sentito dagli operatori di tutta la filiera agricola che è l’aumento della trasparenza nella gestione delle aziende agricole, che ne riduce anche la complessità.”

lo sviluppo del digitale in ambito agricolo si è accompagnato ad un percorso molto forte di sostenibilità intrapreso dall’industria, spiega il presidente di Federchimica-Agrofarma, che non solo appoggia questi sistemi e li propone al mercato, “ma lavora costantemente per ottenere nuove molecole, vero motivo grazie al quale ci sono state riduzioni del 30% negli ultimi due decenni nell’uso di agrofarmaci.” Il minor uso di queste sostanze è legato a importanti investimenti in ricerca e sviluppo, che ha portato a molecole di maggiore efficacia pur a volumi utilizzati ridotti, con un profilo tossicologico migliorato. “I risultati positivi ottenuti in questi anni arrivano da lì. Ecco perché è consigliabile favorire l’uso combinato di tutte le tecnologie, invece che voler creare una privazione che non porterebbe da nessuna parte.”

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