Cultura dell’innovazione e competenze digitali salveranno le imprese italiane

Un’azienda su 3 dichiara come principale ostacolo alla trasformazione digitale la mancanza di competenze e di cultura aziendale adeguata secondo Assintel Report 2019. Un problema noto, non certo nuovo, riportato da diverse ricerche effettuate in ambiti differenti.

Alle imprese, in particolare di piccole e medie dimensioni, manca la cultura utile a cambiare, rinnovare, distruggere processi per migliorarli”. Giorgio Rapari, presidente Assintel, sintetizza in questo modo uno dei problemi principali che a suo avviso le aziende italiane hanno. “Se chi gestisce l’azienda non ha un approccio corretto al digitale, non ha cultura aziendale di innovazione, come può rivisitare i suoi processi? Come può immaginarsi un’azienda diversa, in grado di competere con altre realtà che si sono digitalizzate e hanno un vantaggio competitivo? E se rinuncia a questo sarà destinato a tirare avanti ancora qualche altro tempo per poi vedere finire la propria attività purtroppo”.

Problema noto quello del gap di attitudini competenze digitali, sottolineato nella ricerca annuale Assintel secondo la quale esistono e sono reali le difficoltà a reperire sul mercato e a trattenere competenze adeguate in grado di supportare processi di sviluppo, implementazione e gestione delle iniziative di innovazione e di digitalizzazione.

Per evitare di parlare in modo troppo generico del problema – continua Rapari – vorrei portare un esempio. Pensiamo a un piccolo ristorante gestito in modo tradizionale e al processo di vendita. Quando mi siedo al tavolo, il cameriere arriva con il suo blocchetto di carta a prendere gli ordini; in genere non ha il tempo per illustrarmi i piatti e mi lascia la carta; io ordino, a fine serata il ristoratore verifica le scorte e decide se fare un ordine al fornitore che non sempre è pronto a consegnare in tempo. Il ristoratore sa poco di me o quanto sa è affidato alla memoria storica del cameriere di sala. Se vediamo il processo digitalizzato, pensiamo a un cameriere che viene al mio tavolo, mi ha profilato, sa cosa solitamente prendo, cosa mi piace e mi aspetto; prende il suo ordine con uno smartphone che consente, in modo automatico, di gestire tutto il magazzino ed effettuare un ordine non appena un prodotto va sotto scorta. Il ristoratore non pensa nemmeno alla gestione di questa attività e può dedicarsi ad altro come per esempio la ricerca di nuovi prodotti, la sperimentazione, la cura del cliente. Il ristoratore ha anche l’opportunità di inviarmi inviti per serate a tema che sa potrebbero interessarmi e ha maggiori possibilità di fidelizzarmi. Questo esempio mostra come l’introduzione del digitale non sempre cambia in modo distruttivo il processo; a volte lo lascia intatto, ma lo migliora a tal punto da non poter nemmeno pensare di farne a meno.

La mancanza di interesse e cultura aziendale per l’innovazione, secondo il report, è del resto una problematica che interessa in maniera quasi indistinta le aziende di tutte le classi dimensionali, dove se è vero che è in aumento la consapevolezza dell’importanza strategica per il business dei progetti di digitalizzazione, spesso il top management si dà obiettivi prioritari diversi. Quali sono le azioni possibili per sensibilizzare le aziende? Quali quelli che hanno avuto successo?

Servono associazioni di categoria e altri soggetti che, come fa Assintel, buttino la palla avanti, che mostrino prospettive, che aiutino le imprese a scoprire potenzialità. Da tempo chiediamo l’istituzione di un Ministero dell’innovazione che non è ancora arrivato. C’è adesso un segnale positivo che arriva dal Fondo per l’Innovazione, ma sarà necessario vedere come i decreti attuativi andranno a sostenere le diverse necessità delle imprese e delle start up. Del resto, le aziende che si sono internazionalizzate e che si confrontano con mercati che non sono solo locali non hanno bisogno di essere sensibilizzate sul tema, hanno una marcia in più e probabilmente maggiori possibilità di lunga sopravvivenza oltre che di felici sviluppi.

Il rapporto Assintel evidenzia come la velocità dei cambiamenti tecnologici stia ponendo una forte pressione sulla domanda di profili professionali e talenti con competenze di sviluppo, implementazione, gestione e supporto alle strategie IT e di digitalizzazione, con particolare riferimento a cinque ambiti: social media, IoT, Cloud Computing, Data Science e Analytics e Cyber Security. In questo contesto, qual è il ruolo di scuola e università?

Purtroppo esiste uno scollamento tra esigenza d’impresa e sistema d’istruzione che non mette le imprese italiane in condizione, nella maggior parte dei casi, di poter contare su scuola e università per la copertura della domanda. Esistono esempi virtuosi, di università attente al sistema impresa come il Politecnico di Milano, che potrebbe diventare modello per il sistema universitario italiano. Buone risposte ci sono poi dagli ITS, mentre per ciò che concerne l’alternanza scuola-lavoro ritengo che, a parte negli istituti professionali dove si formano gli studenti all’acquisizione di competenze specifiche, non abbia molto senso. L’impossibilità di contare sul sistema di istruzione porta le aziende, a prescindere dalle dimensioni, a orientarsi per la creazione di programmi di formazione per i dipendenti utili all’acquisizione di competenze digitali orizzontali e trasversali e programmi di formazione dedicati ai profili specifici delle diverse aree e funzioni tecnologiche. Tanto che poi, tra le sfide strategiche individuate nell’Assintel report c’è il creare e mantenere in azienda profili con competenze e attitudini richieste dall’economia digitale.

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  1. Un’azienda su 3 dichiara come principale ostacolo alla trasformazione digitale la mancanza di competenze e di cultura aziendale

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