Blockchain tra presente e futuro: intervista a Andrea Bracciali

Una blockchain permette a entità indipendenti, persone, aziende, pubbliche amministrazioni, di concordare sul valore di una data informazione. L’informazione è organizzata in una catena (chain) temporale di blocchi (block) di dati, e ogni partecipante può memorizzare una copia identica della blockchain. L’innovazione consiste nel fatto che il sistema è decentralizzato: nessuno ha una posizione dominante nel controllo dell’informazione, la cui integrità è garantita dalla maggioranza (onesta!) dei partecipanti (e da firme crittografiche)”. Così definisce blockchain Andrea Bracciali, ricercatore in Computer Science presso l’Università di Stirling, nel Regno Unito, e affiliato al Centre for Blockchain Technologies, University College London.

Quali le caratteristiche più interessanti di blockchain?

Una blockchain garantisce molte proprietà interessanti. In primis è un sistema decentralizzato: non c’è nessuna autorità centrale singola responsabile della correttezza dell’informazione. Nel caso di valute tradizionali, per esempio, le banche centrali giocano questo ruolo di garanti e possono decidere la politica monetaria. Se consideriamo Bitcoin, la cripto-valuta che ha definito l’idea di blockchain come sistema decentralizzato, esso utilizza una rete di partecipanti (nodi) a libero accesso. Ogni nodo mantiene una copia dell’informazione. Un meccanismo di leader selection, la proof-of-work, identifica un nodo responsabile della scrittura del prossimo blocco. Tale nodo seleziona alcune delle transazioni proposte dagli utenti, ne verifica la correttezza, e le registra nel nuovo blocco, che viene poi verificato da tutti i nodi e usato per aggiornare le loro copie della blockchain. Un nuovo nodo verrà poi selezionato per generare il successivo blocco. La proof-of-work è quindi un meccanismo di consenso distribuito che garantisce a ogni nodo una probabilità di essere selezionato proporzionale alle risorse computazionali impegnate. Immaginando un “azionariato diffuso” con un grande numero di nodi partecipanti, risulta praticamente impossibile per un singolo nodo esercitare un controllo effettivo e prolungato sul contenuto della blockchain, a meno di non controllare una larga parte delle risorse computazionali della rete – ovvero diventare maggioranza. Il contenuto della blockchain è di fatto immodificabilea meno di non controllare la maggioranza delle risorse computazionali della rete e impegnarle a riscrivere la “storia passata” registrata nella blockchain. La struttura della catena, infatti, è garantita da primitive crittografiche che rendono impossibile alterare un singolo blocco senza modificare tutti i blocchi successivi.

E’ importante notare che la verifica della correttezza dell’informazione registrata nella blockchain è di tipo algoritmico, cioè verificabile da ciascun nodo in modo automatico e solitamente efficiente, tipicamente eseguendo programmi molto semplici. Per esempio, Bitcoin garantisce con controlli puramente algoritmici che monete virtuali non vengano utilizzate più volte (double spending) e che ogni pagamento sia legittimo.

Riassumendo, una blockchain permette l’interazione fra partecipanti con interessi potenzialmente conflittuali, senza la necessità di autorità centrali di garanzia o mediatori che si assumano il rischio di conflitti e dispute, in un contesto aperto alla partecipazione, e robusto contro la presenza di partecipanti disonesti. Questo, ovviamente, purché i partecipanti disonesti non controllino la maggioranza delle risorse. La fiducia nel sistema deriva non più da tradizionali istituzioni centralizzate, ma dal corretto design della tecnologia.

Quali sono i problemi aperti che limitano l’adozione su larga scala delle tecnologie blockchain?

Una interessante discussione aperta riguarda il cosiddetto Blockchain Trilemma, ovvero la difficoltà nel progettare blockchain che sono sia realmente decentralizzate, sicure ed efficienti. Il trilemma copre la maggioranza dei problemi aperti per tecnologie blockchain. 

Bitcoin, per esempio, è stato progettato per essere estremamente sicuro in un ambiente completamente aperto. Come conseguenza, l’attuale limitata efficienza della blockchain di Bitcoin in termini di transazioni per secondo è un problema riconosciuto (attualmente circa 3-7, contro qualche migliaia di istituzioni centralizzate quali gestori di carte di credito). Diverse soluzioni sono state proposte, quali il passaggio a una più efficiente proof-of, l’aumento della dimensione del blocco, o l’utilizzo di side-channels, cioè strumenti per gestire una serie di transazioni al di fuori della blockchain, che viene utilizzata per certificare solamente le condizioni iniziali e gli effetti di tale serie di transazioni “off-chain”.

Ma Bitcoin presenta anche potenziali problemi di centralizzazione: la corsa all’efficienza computazionale ha reso i costi di gestione molto rilevanti, favorendo il pooling, ovvero l’aggregazione di risorse computazionali. Attualmente la maggior parte dei blocchi sono generati da un numero molto limitato (3-5) di pool. Una concentrazione che molti ritengono pericolosamente molto vicina a quella di un sistema centralizzato. 

Il problema del trade-off fra efficienza, sicurezza e decentralizzazione è comune anche a blockchain di seconda generazione, quali Ethereum, che ha introdotto un modello più esteso di programmazione di blockchain e il supporto per smart contract. Gli smart contract, descritti prima dell’introduzione di Bitcoin (si veda per esempio il lavoro fondamentale “Formalizing and Securing Relationships on Public Networks”) sviluppano ulteriormente l’idea della tecnologia come garante della fiducia (trust).

Uno smart contract su blockchain è un accordo o contratto regolato da un programma che viene eseguito in modo decentralizzato su una blockchain; di nuovo senza la possibilità di alterazioni o influenze da posizioni dominanti. Tanto che lo slogan di Ethereum è “costruire applicazioni che non possono essere fermate”.

L’adozione di nuovi ed efficienti algoritmi di consenso distribuito, come per esempio la proof-of-stake, è stata proposta come soluzione dei problemi di efficienza. Nella proof-of-stake, attualmente studiata in varie versioni, ciascun partecipante ha un’influenza sul sistema proporzionale al suo interesse nell’economia del sistema stesso, tipicamente misurato dalla quantità di cripto-valuta detenuta, piuttosto che alle risorse computazionali. Ethereum vanta un “azionariato diffuso”, supporta un modello di programmazione più ricco, che lo espone a maggiori problemi di sicurezza, e ha in programma un passaggio a proof-of-stake.

Molto interessanti sono le recenti proposte di terza generazione, quali Quorum, Tezos, Algorand, Cardano, fra molteplici altre, basate su proof-of  innovative, molte delle quali varianti della proof-of-stake. Queste blockchain adottano modelli economici nuovi che incentivano fortemente l’azionariato diffuso e la governance by-design. La maggior parte delle proposte di terza generazione sono in fase di test o early development. È lecito aspettarsi un 2019 molto interessante con il lancio di diverse di queste proposte in forte competizione sul mercato, e lo sviluppo di applicazioni su larga scala che permetteranno di valutare i meriti delle proposte di terza generazione, e le loro proposte per risolvere il Blockchain Trilemma. Il successo di questa fase ci aiuterà a capire le potenzialità di questa nuova tecnologia, e l’impatto che può avere nel definire nuovi, e più decentralizzati, modelli economici, mercati e interazioni fra individui oltre che a mettere maggiormente a fuoco le limitazioni della tecnologia.

Oltre la tecnologia, quale l’aspetto da considerare nel momento in cui si parla di blockchain?

Le blockchain sono sistemi altamente multi-disciplinari e, oltre agli aspetti tecnologici, è fondamentale considerarne l’economia, cioè il complesso di forze di natura economica che ne definiscono il funzionamento, la possibilità di adozione e impatto su mercati e altri settori. Il settore che unisce tecnologia e finanza in generale e che si sta sviluppando viene identificato come Fintech. L’unione di aspetti economici e innovazione tecnologica costituisce di fatto un medium nuovo, di cui stiamo ancora capendo le possibili implicazioni (il nuovo termine crypto-economics è stato coniato a questo proposito nel contesto blockchain).

Un esempio è l’importanza di un corretto sistema di incentivi che possa garantire quello che abbiamo chiamato un azionariato diffuso, cioè una larga base di partecipanti indipendenti a garanzia della decentralizzazione della blockchain. Bitcoin incentiva la partecipazione tramite la generazione e distribuzione ai singoli nodi di nuovo denaro e commissioni sulle transazioni. Altri modelli si basano sull’inflazione regolata del valore detenuto da tutti i partecipanti. Modelli diversi generano effetti di rete diversi, quali il pooling in Bitcoin, e la definizione di politiche di incentivi ottimali e a lungo termine è un problema aperto.

Un altro esempio è l’effetto di disintermediazione che l’adozione di blockchain può avere: la tecnologia, supportando interazioni dirette fra partecipanti e garantendo la trust del sistema, può in principio sostituire il ruolo di mediatori in vari mercati, con potenziali riduzione di costi, mercati più efficienti, e la riduzione di posizioni dominanti. Nello spirito di Bitcoin, questo significa una valuta virtuale e auto-regolata senza una banca centrale. Oltre che nel campo finanziario e monetario, casi di studio sono stati proposti nel campo della distribuzione e certificazione dei prodotti, gestione dei dati medico-sanitari, settori assicurativi, protezione della proprietà intellettuale e gestione e certificazione delle notizie. Ovviamente, i “mediatori” che attualmente gestiscono i mercati in modo centralizzato offriranno resistenza all’adozione, sia come difesa di posizioni dominanti, ma anche per il ruolo di assunzione di rischio che spesso svolgono: se la tecnologia si propone come solo garante di una valuta o di rapporti finanziari in un contesto decentralizzato, senza banche ma anche senza polizia, deve garantire un livello di affidabilità molto elevato, probabilmente ancora da dimostrare in tutti gli aspetti.

Quale il ruolo degli Stati e degli enti regolatori?

Alcuni Stati hanno adottato un approccio restrittivo per esempio controllando o vietando la conversione di cripto valute in denaro corrente. Altri Stati, probabilmente riconoscendo il potenziale di innovazione della tecnologia, hanno cominciato a sviluppare iniziative per regolamentarne e supportarne lo sviluppo, in un contesto di grande interesse e afflusso di ingenti capitali di investimento (simile secondo molti alla fase iniziale dello sviluppo commerciale di Internet). D’altra parte, le proposte più recenti mostrano una certa tendenza a essere conformi con i regolatori, forse piuttosto estranea a certi approcci iniziali a Bitcoin come alternativa libertaria alle valute tradizionali. La Comunità Europea ha vari programmi di ricerca nel campo blockchain e cripto-valute.

Il Parlamento Europeo ha approvato a settembre 2018 una risoluzione intitolata “Tecnologie di registro distribuito e blockchain: creare fiducia attraverso la disintermediazione”. L’Italia, tra i firmatari della risoluzione, misura un crescente interesse e investimenti: le blockchain sono ormai studiate in varie università, centri di ricerca e transfer tecnologici, come Cefriel e CNR; l’industria mostra un crescente interesse e il Governo sta sviluppando una strategia nazionale Blockchain.

L’anno appena iniziato, insomma, promette interessanti sviluppi.

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