Sephora, ovvero, come ti gestisco una crisi diplomatica (che non esiste)

Delle tante cose che sappiamo sui social media, due sappiamo essere comuni un po’ a tutte le piattaforme: 1) il pubblico, in genere, ha una soglia dell’attenzione molto bassa; 2) c’è un certo tipo di pubblico a cui sembrano piacere moltissimo le “risse” social, vere e proprie zuffe verbali che spesso nascono da una notizia mal riportata o da una comunicazione male interpretata e che generano un volume notevole di contenuti, per poi finire spesso in una bolla di sapone.

Non ci vuole molto per capire che la combinazione dei punti 1 e 2 può creare dei gran casini: abbiamo un discreto campionario di casi di studio che lo provano e, in definitiva, è il principio su cui si basano anche le fake news. Molto spesso però queste “fiammate” non accadono in “territorio neutrale”, ma coinvolgono qualche brand, magari direttamente sulle loro pagine social.

È quello che è successo nei giorni scorsi sull’account Instagram globale di Sephora: la popolarissima catena francese di profumerie, infatti, si è trovata suo malgrado al centro di un acceso dibattito nientemeno che sulla questione palestinese, innescato da un commento di un utente, un flame tanto furioso quanto completamente basato sul nulla.

Le cose sono andate così: come ogni giorno, Sephora pubblica una foto di alcuni suoi prodotti, nello specifico dei correttori di due note marche di cosmetici. È un post come tanti altri: nella sezione commenti le domande degli utenti si alternano a considerazioni sui prodotti in questione ed emoticon varie. All’improvviso, però, ecco che accade qualcosa: i commenti cominciano a popolarsi di bandierine palestinesi e israeliane e di commenti esultanti da una parte e decisamente fumantini dall’altra. Perché mai un post di un brand di profumerie dovrebbe diventare teatro di una discussione su un tema tanto delicato come il conflitto israelo-palestinese?

Il perché ha a che vedere, oltre che con la scarsa attenzione degli utenti, anche con il funzionamento del sistema dei commenti di Instagram che raggruppa i thread in più parti mettendo in evidenza determinati commenti, solitamente quelli più popolari o le risposte che arrivano direttamente dall’account. Il risultato è questo:

Immagine via Business Insider

Sì, è quello che sembra. Ovvero è una cosa piuttosto stupidina: un utente ha chiesto se lo store online di Sephora spedisse in Israele e Sephora ha risposto di no. Nello stesso thread, poi, qualcuno ha chiesto se invece spedisse in Palestina e anche in questo caso Sephora ha risposto che no, non spediscono nemmeno in Palestina. Ma il sistema ha collassato la sezione centrale della conversazione, facendo apparire la risposta a proposito delle spedizioni in Palestina appena sotto la domanda sulle spedizioni in Israele.

il risultato? Qualcuno ha interpretato la cosa come una presa di posizione di Sephora a favore dei palestinesi, ha fatto uno screenshot e lo screenshot è diventato virale. Subito dopo gli utenti sono ritornati in massa sull’account Instagram di Sephora, con questi effetti:

Immagine via Business Insider

Lungi dal voler entrare nel merito della questione palestinese – anche perché qui si parla di altro – possiamo dire che in questo caso, oltre a un problema di attenzione e comprensione di un contenuto, c’è anche un pizzico di malafede, da parte di tutti: creare uno screenshot del genere e sguinzagliarlo in Rete è da irresponsabili, almeno quanto lo è ricondividerlo o commentarlo, contribuendo di fatto a creare una “notizia” (falsa) – ovvero che Sephora abbia preso una posizione sul conflitto israelo-palestinese. Il bello è che quel “visualizza le risposte precedenti” è lì davanti agli occhi di tutti, a dimostrare che tra la domanda e la risposta ci sarebbero altre cose da leggere, ma evidentemente è tutto troppo “interessante” per prendersi la briga di controllare, o anche solo per farsi venire il sospetto che le cose non siano esattamente come sembrano.

Insomma: la faccenda si gonfia velocemente e, in men che non si dica, Sephora si ritrova con l’account Instagram intasato da commenti pro o contro la sua presunta “presa di posizione” e finisce al centro di una discussione globale che valica i confini della piattaforma di condivisione delle foto per approdare anche su Twitter. E, naturalmente, non manca chi fa partire i soliti pipponi e invoca il boicottaggio contro il brand francese

Il tutto accade troppo velocemente perché Sephora possa arginare la questione là dove si è originata e così opta per una nota ufficiale su Twitter, in cui dichiara che tutte le risposte dell’account relative a Israele e Palestina erano riferite solo e unicamente alle spedizioni dei prodotti, senza nessun altro significato.

Sì, l’intera storia è piuttosto avvilente, soprattutto perché nonostante le precisazioni di Sephora i commenti sono andati avanti per giorni, con buona pace di chi crede nell’intelligenza collettiva e di chi lavora ogni giorno per ridurre l’analfabetismo funzionale.

Il caso di Sephora, comunque, si presta ad un paio di considerazioni utili:

– Da un punto di vista “comunicativo”, Sephora si è comportata abbastanza bene. Il tweet con cui ha chiarito la propria posizione era sicuramente efficace: rimane il fatto, però, che su Instagram – ovvero là dove ha avuto origine la crisi – non siano comparse comunicazioni ufficiali da parte del brand. Nonostante si tratti di una scelta per certi versi condivisibile – la questione era molto delicata e Instagram è una piattaforma piuttosto macchinosa, specie quando si tratta di ritrovare un contenuto – la cosa ha contribuito a prolungare di molto il “picco” della crisi, con tutto quello che ne consegue per l’immagine del brand.

– L’episodio di Sephora dimostra, ancora una volta, quanto velocemente un contenuto possa diventare virale sui social media, mettendo un brand davanti al “fatto compiuto” – anche quando il brand non ha nessuna colpa né responsabilità sull’accaduto, come in questo caso. Allo stesso tempo non è detto che l’eventuale replica da parte del brand raggiunga la stessa platea con la stessa velocità. In casi come questi la tempestività con cui si agisce diventa un fattore fondamentale. La complessità, dunque, sta nel capire velocemente cosa sta succedendo e dove e agire nel minor tempo possibile.

– Per come sono andate le cose, forse c’è bisogno di sottolinearlo: il vero “social media fail”, in questo specifico caso, è quello del pubblico. Quella fetta di pubblico che, per distrazione o malafede, continua ad alimentare il “mercato” delle fake news creando non pochi danni alla Rete stessa.

Lesson Learned: Sul web l’inesperienza (o la negligenza o la malafede) del pubblico può dare vita a crisi comunicative che impattano sul tuo brand. Sii vigile e reattivo, perché avrai pochissimo tempo per rendertene conto, e ancora meno per pensare a una risposta.

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