Digital Transformation: quando serve un progetto

Per cambiare un processo aziendale, introducendo tecnologia, ci vuole un piano. Un piano che non sia soltanto inteso come quello strategico necessario ad avere una visione di medio periodo e a programmare, sulla base di obiettivi nuovi, le attività da fare, ma un piano pensato come progetto da ideare, pianificare e soprattutto gestire attraverso una metodologia che aiuti a non perdere di vista i benefici da poter portare in azienda.

L’approccio a progetti di trasformazione digitale, soprattutto nelle PMI, per evitare che fallisca non può essere né banalizzata, ritenuta semplice da attuare e pertanto non accompagnata, né temuta e rinviata al “quando avremo tempo e risorse da dedicare”. Il digitale un po’ come un’onda, “travolge” trasversalmente tutti i settori: non si può far finta che l’onda non stia arrivando o che ci si potrà riparare scappando. Solo cavalcando l’onda, facendo surf, si coglieranno le opportunità che il digitale può portare. Per farlo è necessario informarsi, approfondire le tecniche utili a fare surf e soprattutto imparare a gestire la tavola da surf. La chiave del successo è, anche in questo caso, la conoscenza e la capacità di governare processi, ragionando in modo strategico e approcciando i progetti di trasformazione come progetti da gestire.

Progetti di trasformazione digitale a impatto sempre positivo?

Quando si parla di impatti del digitale sul business aziendale l’impressione è che questi siano sempre positivi, ma nella realtà dei fatti, anche progetti apparentemente semplici (per esempio quelli legati ai social media che alcune realtà tendono a banalizzare) se non gestiti nel modo corretto non solo non sono positivi, ma possono avere ripercussioni negative per l’organizzazione che si affaccia a un modo nuovo di comunicare. Per questo l’approcciare l’introduzione di tecnologia in azienda come progetto ripaga degli sforzi fatti. Il chiedersi, per esempio, non solo a inizio progetto ma per la sua intera durata se l’attività porti benefici e se, quindi, il gioco valga la candela consentirà di limitare sprechi di risorse ed evitare possibili fallimenti.

Diversi sono gli approcci metodologici possibili da adottare: uno di questi deriva dal metodo internazionale PRINCE2, acronimo di Projects IN Controlled Environments che non solo aiuta il Project Manager a organizzare le attività coinvolgendo tutte le parti interessate, ovvero gli stakeholder, ma soprattutto evita il fallimento.

Il principio della valida ragione di esistere

Ogni progetto PRINCE2 deve avere quella che è definita “una valida ragione di esistere”, ovvero rientrare nella strategia di business definita dall’azienda. La continua giustificazione di business è uno dei principi base di PRINCE2 che porta a verificare costantemente la persistenza del motivo per il quale il progetto deve essere tenuto in vita. Ma, come si verifica questo principio? Il documento all’interno del quale viene descritta e approvata formalmente la “ragione di esistere” è il business case, basato sull’analisi dei costi e dei benefici attesi e che deve essere costantemente aggiornato per tutta la durata del progetto.

Ad ogni progetto il suo Business Case

Il Business Case solitamente contiene il mandato di progetto, la descrizione delle esigenze ovvero dei bisogni ai quali si risponde, la spesa massima stimata con la definizione del budget e l’organizzazione del progetto, ossia la descrizione delle figure coinvolte, dei loro ruoli e responsabilità. Oltre a questo nel business case trova spazio la descrizione delle attività “in scope”, ovvero che rientrano nel progetto, e “out of scope”, che si possono rinviare e non sono fondamentali da svolgere per la buona riuscita del progetto stesso.

La formulazione del business case, spesso considerata superflua o attività che richiede “un tempo eccessivo”, è invece fondamentale per non perdere di vista gli obiettivi da raggiungere e valutarne l’effettivo beneficio per l’azienda.

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