Tik Tok: quali i problemi di privacy?

La notizia emersa lo scorso 10 ottobre riguardo una possibile indagine del governo statunitense su TikTok riaccende i riflettori sui problemi legati al controllo della celebre app Made in China per quanto riguarda privacy e libertà di espressione.

L’applicazione, che dal 2016 a oggi si è guadagnata un posto di primo piano al punto da essersi accreditata come la più credibile competitor di Facebook, sarebbe finita nel mirino del senatore repubblicano Marco Rubio per problemi legati alla sicurezza nazionale. Secondo Rubio, l’app avrebbe politiche che puntano a “censurare contenuti e mettere a tacere l’aperta discussione su argomenti ritenuti sensibili dal Governo cinese e dal Partito Comunista”.

In realtà, l’app distribuita dalla cinese ByteDance è già alle prese con problemi ben più gravi, che riguardano la tutela della privacy dei suoi utenti e in particolare dei minori. Dopo la multa da 5,7 milioni di dollari comminata negli stessi USA per la violazione delle condizioni previste dal Children’s Online Privacy Protection Act, TikTok è sotto scrutinio anche nel Regno Unito, dove rischia una multa ben più salata (si parla di 20 milioni di euro) ai sensi di quanto previsto dal GDPR, il regolamento europeo per la protezione dei dati.

In entrambi i casi l’azienda, con sede a Pechino, è stata messa sotto accusa per non aver rispettato le norme sul trattamento dei dati degli utenti minorenni, che in Europa come negli Stati Uniti richiede l’autorizzazione da parte dei genitori quando gli utenti stessi hanno un’età inferiore ai 13 anni.

Uno scoglio che TikTok ha cercato di aggirare inserendo nelle condizioni di utilizzo dell’applicazione il divieto di iscrizione ai minori di 13 anni ma che secondo le autorità statunitensi e britanniche non ne avrebbe impedito di aggirarla, semplicemente “barando” sulla loro età al momento dell’iscrizione.

Il problema si pone al di là del caso TikTok e non si può pensare di risolverlo con semplici sistemi sanzionatori. Il tema richiede invece una riflessione molto più ampia, che parta per esempio dalla necessità di mettere in campo strumenti che possano consentire un’identificazione certa di chi fruisce dei servizi su Internet tutelando allo stesso tempo la loro privacy. Infatti, nessuna azienda ha oggi a disposizione strumenti tecnici che le consentano di verificare l’età degli utenti e, tantomeno, quelli che permettano di certificare l’autenticità di una eventuale autorizzazione dei genitori.

I primi tentativi di mettere in campo qualcosa del genere, avviati nel Regno Unito con un progetto che prevedeva l’obbligo per siti e piattaforme di richiedere l’upload di un documento di identità che certificasse la maggiore età degli utenti, si sono scontrati con il timore di generare un effetto boomerang che finiva per mettere a rischio la riservatezza dei dati stessi. Un paradosso difficile da superare che, però, non può esaurire la discussione su questo argomento.

Alessandro Papini, Presidente dell’Accademia Italiana Privacy, spiega che “Il tema della tutela dei minorenni su Internet e del trattamento dei dati che condividono sulle piattaforme online è caldissimo. Purtroppo sembra che l’approccio attuale si muova su due piani che rappresentano entrambi un vicolo cieco: lasciare la soluzione alla buona volontà delle singole aziende o scaricare tutte le responsabilità sul dovere di sorveglianza in capo ai genitori”.

L’Accademia Italiana Privacy sottolinea la necessità di un dibattito che affronti questa tematica e che permetta di avviare un percorso che conduca alla creazione di strumenti legislativi e tecnologici in grado di tutelare in maniera adeguata la privacy di chi utilizza software e piattaforme online.

 

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