Tecnologia e conoscenza per il lavoro sostenibile: intervista a Marco Bentivogli

Per associare la parola sostenibile a lavoro è necessario immaginare opportunità per tutti, investimenti in formazione, retribuzioni adeguate. Un progresso che riorganizzi le politiche economiche e sociali con l’obiettivo di eliminare la povertà. Per associare la parola sostenibile a lavoro non è necessario essere sognatori, nonostante questo aiuti, ma guardare agli obiettivi fissati da Agenda 2030. Marco Bentivogli, segretario generale della Fim Cisl e autore del libro Contrordine compagni. Manuale di resistenza alla tecnofobia associa a lavoro sostenibile le parole tecnologia e conoscenza. E ci spiega il perché.

Nell’obiettivo 8 di Agenda 2030 mirato a “incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti”, i termini progresso tecnologico e innovazione sono presenti in diversi target. Quali sono a suo avviso le tecnologie che oggi e in futuro aiuteranno il raggiungimento di questo obiettivo?

 

La crisi ambientale, i limiti delle risorse, i conflitti del presente, i pregiudizi e la tendenza umana alla distruttività sono sicuro possono trovare possibili vie di emancipazione nella nostra creatività, dentro quello che possiamo chiamare “ecosistema 4.0”. L’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile pone degli obiettivi molto ambiziosi per i 193 Paesi firmatari, compreso il nostro. Obiettivi che come specie umana dovremmo assolutamente perseguire se vogliamo garantire un futuro ai nostri figlie e nipoti. Questo non solo nell’ambito del lavoro, ma in tutti i 169 target che l’agenda si pone e che sono strettamente collegati gli uni agli altri. Oggi, rispetto a qualche anno fa, è cresciuta molto la consapevolezza e la sensibilità almeno nell’opinione pubblica occidentale che ci sia la necessità di dare sostenibilità, sociale e ambientale al benessere economico. La tecnologia in questo senso è una grande alleata dell’uomo, lo è sempre stata nel corso dell’umanità insieme alla conoscenza. Per questo personalmente non credo che possiamo redigere un elenco minuzioso e dettagliato sulle tecnologie che ci aiuteranno al raggiungimento di questi obiettivi, ma dall’integrazione di esse in particolare dell’Intelligenza Artificiale e dei Big data, con discipline e saperi: fisica, filosofia, informatica, chimica, l’antropologia, design ecc. che potremmo avere alla portata l’obiettivo. La formazione continua delle persone in questo nuovo scenario diventa centrale e strategica, il vero diritto al futuro delle persone.  Nel mio libro individuo, per quanto riguarda l’industria, 9 tecnologie abilitanti che vanno dall’Intelligenza Artificiale, all’Iot, alla Realtà aumentata per passare alla produzione additiva, ai robot collaborativi, al Cloud, ai Big Data, alle tecnologie di simulazione. Sono tecnologie che, integrate tra loro, danno vita a quella che comunemente chiamiamo Industria 4.0. ma che portano con sé un nuovo modello produttivo “sartoriale” che abbia intorno un ecosistema 4.0, (smart cities, smart grid, burocrazia efficiente, ma anche aree periferiche e rurali riqualificate), più attento e vicino alle persone, sostenibile sul piano ambientale e sociale che punta sull’economia circolare e il riciclo. In questo senso anche Industria 4.0 può dare un contributo importante.

In occasione del primo maggio di quest’anno lei ha proposto di premiare il lavoro sostenibile. Quando l’occupazione può definirsi sostenibile? Quali le politiche necessarie?

 

Per la verità con quest’anno siamo al quarto anno che festeggiamo quello che abbiamo definito una sorta di “prologo al primo maggio” che ebbe la sua première quattro anni fa a Casal di Principe, nella terra di don Peppe Diana. Questo prologo per un “Nuovo Primo Maggio” che premia le buone pratiche e la sostenibilità, attraverso il “voto col portafoglio” rappresenta un’iniziativa di cittadinanza attiva inventata da NeXt, l’associazione guidata dall’economista Leonardo Becchetti e supportata dalla Fim Cisl, che tra l’altro ha inserito nel proprio statuto il voto col portafoglio come strumento di lotta sindacale. Una modalità nuova di festeggiare la festa del lavoro che mette al centro la sostenibilità. Questo perché pensiamo che premiare le aziende che rappresentano buone pratiche ha più efficacia dell’esaltazione di tutto ciò che va male e da una spinta a fare sempre meglio. Una modalità che andrebbe agevolata anche a livello politico in maniera più diffusa premiando e favorendo anche sul piano fiscale le imprese che adottano una produzione di tipo sostenibile sia sul piano sociale che ambientale, che salvaguardano il territorio dove operano, non avendo atteggiamento predatorio, ma anzi, valorizzandolo e riqualificandolo, che siano aperte alla democrazia e alla partecipazione sociale. Un modo di fare impresa che non rientra nel libro dei sogni ma che rappresenta il futuro, l’unico possibile se si vuole restare competitivi. Lo hanno capito anche i grandi fondi di investimento come BlackRock, che dopo la crisi finanziaria ha rivisto completamente il suo portafoglio titoli, puntando sulle aziende che investono nella sostenibilità. Una scelta dettata certamente da una matrice etica ma, soprattutto, dal fatto che, come dicono i dati, le aziende sostenibili e attente all’ambiente sono quelle più virtuose e solide sul piano finanziario.  Inoltre, i “luoghi di lavoro” oggi, grazie alla tecnologia, non sono più soltanto luoghi materiali. Ciò che una volta poteva essere svolto solo in un luogo fisico oggi è possibile farlo, grazie all’utilizzo delle tecnologie, anche in remoto, da luoghi distanti dall’azienda. È questo il filone che può aprire lo smart working, una modalità che permette di avere una dimensione del rapporto spazio/tempo lavorativo più vicina alle esigenze del lavoratore e della sua famiglia, migliorando sia la conciliazione vita/lavoro, sia – dati alla mano – la produttività dell’impresa, producendo allo stesso tempo minor impatto ambientale a seguito della riduzione dell’utilizzo delle auto, del riscaldamento e dell’elettricità aziendale.

Tra i fatti e le cifre dell’obiettivo 8 di Agenda 2030 si legge che a livello globale sono necessari 470 milioni di impieghi per coloro che entreranno nel mercato del lavoro tra il 2016 e il 2030. E si parla della necessità di “lavoro stabile e ben pagato”. E’ utopia? Come ci si sta muovendo per raggiungere i traguardi che ci siamo dati?

 

L’orizzonte del lavoro del futuro è stato sintetizzato in maniera esemplare da Papa Francesco in quattro aggettivi: libero, creativo, partecipativo e solidale . Credo che rispecchi in pieno lo spirito dell’obiettivo 8 di Agenda 2030 e l’unica modalità con cui possiamo intendere il lavoro. Io non penso che la tecnologia cancelli posti di lavoro, come una certa narrazione che prende spunto e specula sullo studio pubblicato qualche anno fa (tra l’altro messo in discussione da molti perché incrocia dati sulle professionalità non più attuali rispetto all’oggi) da due studiosi di Oxford Michael A.Osborne e Carl Benedikt Frey secondo cui il 47% dei lavori in un futuro prossimo saranno sostituiti dalle macchine. In realtà non è così: questo tipo di previsioni portano completamente fuori strada. La verità è che nessuno sa come sarà il mondo nel 2030, figuriamoci nel del 2100. Creare nuovi posti di lavoro potrebbe, addirittura, come scrive Yuval Noah Harari, essere più semplice che formare il personale per occupare quelle posizioni lavorative. Secondo uno studio del World Economic Forum, stracitato, infatti, il 65% dei bambini che oggi sono alla scuola elementare “da grande” cioè tra 20/30 anni, farà un lavoro che oggi non esiste nemmeno. E’ già successo qualche anno fa: ad esempio l’invenzione degli smartphone ha creato nuovi lavori ed economie che prima semplicemente non esistevano come quelli messi in circolo dalla “app” o dalle piattaforme, trasformando il lavoro esistente e creando occupazione. Per questo formare le persone ripensare i nostri modelli formativi e la nostra scuola in un nuovo orizzonte dove la formazione accompagna le persone in tutta la loro vita è fondamentale. A questo proposito come Fim Cisl i prossimi 6 e 7 novembre a Roma organizziamo gli stati generali della Formazione del settore metalmeccanico, perché, come già detto, la formazione rappresenta uno dei diritti non solo del futuro ma al futuro. Certo, stare al centro di questi cambiamenti genera incertezza e paure e polarizza la discussione intorno al lavoro tra ottimisti e pessimisti. Tra chi pensa che la rivoluzione tecnologica in atto cancellerà migliaia, se non milioni, di posti di lavoro e immagina un mondo in cui una piccola parte dell’umanità lavora mentre il resto è in panchina vivendo di sussidi. C’è invece chi, come me, pensa che come già accaduto nella storia dell’umanità le innovazioni e la tecnologia creeranno nuova occupazione e appunto nuovi lavori. Nell’autostrada bicolore, che vede da una parte il lavoro autonomo e dall’altra quello dipendente, si va configurando una modalità di lavoro ibrida che non può essere incasellata dentro le norme e i regolamenti del ‘900. Serve quella che io definisco la capacità di saper scrivere su un foglio bianco, nuove regole e nuovi diritti, in cui la tecnologia può esserci di grande aiuto: penso agli smart contract attraverso tecnologia BlockChain. In questo senso i dati sono una miniera inestimabile che dovremmo forse cominciare a pensare come assets pubblici e non solo a disposizione delle grandi piattaforme digitali. Già oggi almeno, nel mio settore, quello metalmeccanico, in alcuni contratti aziendali abbiamo cominciato ad inserire come in Lamborghini la gestione dei Big Data come elemento di contrattazione.

Quale il senso del termine sostenibilità riferito al lavoro?

 

Quando parliamo di sostenibilità del lavoro, dobbiamo pensare a qualcosa che riguarda integralmente l’umanità e la nostra casa: la Terra. Il lavoro non è solo l’attività produttiva è il luogo fisico e immateriale dove l’uomo dà vita alla sua creatività e in cui si riconosce e si realizza come persona. Attraverso il lavoro si possono umiliare e rendere schiave le persone, si possono depredare le risorse del nostro pianeta, distruggere interi ecosistemi, inquinare e rendere la vita delle persone un inferno. Per questo quando parliamo di sostenibilità del lavoro pensiamo a qualcosa che sia in grado di rendere il lavoro qualcosa di bello e utile all’umanità e al pianeta e questo può essere fatto solo se ritornando alle parole di papa Francesco questo sia libero, creativo, partecipativo e solidale.

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