Informatici Senza Frontiere: il digitale contro disagio ed emarginazione

Lo scopo principale di Informatici Senza Frontiere è quello di usare le tecnologie digitali per aiutare le persone che vivono situazioni di disagio ed emarginazione. E’ quindi naturale lavorare in linea con la maggior parte degli obiettivi dell’Agenda 2030”. Dino Maurizio, presidente della onlus ISF, presenta in questo modo l’associazione nata nel 2005 da un gruppo di manager italiani del settore informatico decisi a utilizzare le proprie conoscenze e competenze per usare il digitale come strumento di inserimento sociale per le categorie disagiate.

Alcuni dei progetti che abbiamo appena concluso o che stiamo realizzando – continua – si posizionano nelle tre macroaree sulle quali siamo attivi: conoscenza, sviluppo e disabilità.Per ciò che riguarda la conoscenza abbiamo realizzato in Italia progetti di formazione sul digitale rivolti a carcerati, tossicodipendenti, migranti e disoccupati con l’obiettivo di aiutarli in un percorso di integrazione nella società civile, ma abbiamo anche insegnato ai ragazzi ad usare consapevolmente gli strumenti digitali, quali smartphone e personal computer, e ad essere più attenti nel difendersi dal cyberbullismo, dai fenomeni di gaming pericoloso, o dal cosidetto hate speaking; lo stesso abbiamo fatto con gli anziani per aiutarli a usare i social network e la Rete in generale in modo più sicuro. Solo nel 2019 siamo riusciti a formare diverse migliaia di persone. Pensando agli obiettivi 2030 relativi ai nostri progetti penso a quelli legati alla povertà, all’istruzione, alla parità di genere, allo sviluppo dell’economia, all’innovazione, all’abbattimento delle diseguaglianze, solo per citarne alcuni. Pensando invece all’area dello sviluppo, ovvero a quei progetti realizzati principalmente in Paesi in via di sviluppo, abbiamo realizzato infrastrutture digitali per la gestione di ospedali rurali e farmacie in Etiopia, Uganda,Tanzania, Madagascar, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centroafricana e comunità Sarhawi, che hanno visto le nostre persone coinvolte per centinaia di giornate in Africa, senza contare il lavoro di preparazione e poi di assistenza svolto in Italia. Ora in queste strutture, che normalmente sono disperse e remote nell’Africa subsahariana, si inizia ad avere la documentazione e la storia medica dei pazienti, si possono riordinare per tempo i farmaci vitali prima di esaurirne le scorte, si possono avvisare via sms i pazienti dei controlli medici che devono fare, si ha una situazione contabile corretta, e così via. Progetti legati alla disabilità sono invece, solo a titolo di esempio, quelli riferiti alla realizzazione di un comunicatore per malati di SLA, o a un’app per consentire ai ciechi di “leggere” il quotidiano. In ogni progetto c’è la volontà di contribuire a uno o più obiettivi di Agenda 2030: dall’1 al 3, al 4, al 5 e molti altri”.

Qual è un nuovo il progetto di Informatici Senza Frontiere che ritiene significativo e del quale andate fieri?

“Mi piace citare un progetto che stiamo realizzando in Veneto e che in parte si discosta dai nostri progetti tradizionali. Il progetto a cui mi riferisco si chiama “Coding nelle scuole”, dove 120 insegnanti saranno formati sul coding e sul pensiero computazionale per poi, con la nostra assistenza, formare circa 800 ragazzi delle loro classi. Cito questo progetto per due ragioni: la prima è riferita al fatto che l’Italia, malgrado molte iniziative, sia pubbliche che private, resta indietro nell’uso delle tecnologie digitali. E’, ad esempio, 25sima in Europa (Rapporto DESI, Digital Economy and Society Index, 2019), e solo il 20% della nostra forza lavoro sa usare tecnologie ICT (OECD, Organisation for Economic Cooperation and Development, Skills Outlook 2019), comparata ad una media OCSE del 51%. Questo malgrado l’Italia sia stata fra i primi Paesi, il quarto europeo per l’esattezza, a connettersi in Rete; nonostante siano stati introdotti nella scuola strumenti quali le LIM; nonostante le eccellenze che possiamo vantare in aree strategiche come la robotica. Manca la formazione e se vogliamo avere qualche possibilità di arrivare a livelli almeno paragonabili agli altri cittadini UE, non possiamo attendere e seguire le sole iniziative pubbliche: dobbiamo mettere insieme e coordinare le molte iniziative che nascono dai vari enti del settore pubblico e del privato, dal mondo industriale e dalla società civile. La seconda ragione per la quale cito Coding nelle scuole è legata al modo di insegnare: il disegno e la metodologia applicata infatti è stata pensata per avere una assoluta parità di genere nelle STEM e perché usa una metodica non tradizionale ma “esperenziale”, sviluppata al MIT di Boston da Papert e Resnick, dove i ragazzi imparano facendo, con gli inevitabili tentativi, errori e aggiustamenti”.

In generale, pensa che la tecnologia possa essere strumento di sostenibilità?

“Le tecnologie digitali sono alla base di qualsiasi tipo di ricerca, prodotto, servizio che si realizza adesso o che verrà realizzato nel prossimo futuro. La trasformazione digitale, identificata come una vera rivoluzione industriale, porterà sicuramente benefici alle persone. Pensiamo alla facilità di comunicazione che aiuta a conoscere o intervenire velocemente in caso di emergenze, pensiamo alla possibilità di analizzare milioni di dati per migliorare le cure, pensiamo all’uso dei robot nei lavori ad alto rischio. Nello stesso tempo, la tecnologia digitale si presta a usi ben poco “umani” quali, per esempio, l’uso di killer-robot, le truffe in Rete, gli episodi di cyberbullismo e così via. Tutte “deviazioni” o rischi che, come succede con ogni innovazione, dipendono da noi, dall’uso che facciamo delle tecnologie. Per questo credo sia fondamentale sottolineare gli aspetti positivi per evitare di innescare comportamenti negativi”.

Pensa che ci sia consapevolezza diffusa circa il ruolo della tecnologia digitale o questa viene vista ancora come nemica?

“Spesso le tecnologie sono viste come nemiche perché sono quelle che “tolgono posti di lavoro” o che “rincretiniscono le persone”. Sul secondo punto credo di aver già esplicitato il mio pensiero; riguardo i posti di lavoro non siamo in grado di fare un bilancio al momento. Di certo questo va fatto in un arco di tempo che comprende qualche decina di anni. Le tecnologie stanno trasformando profondamente la società, i sistemi con i uali produciamo, i prodotti che usiamo, i rapporti che instauriamo con gli altri, e così via, e questa trasformazione ha bisogno di nuove professioni e nuove competenze. Serviranno meno operai generici, ma più operai specializzati, più data designer, data analyst, web editor, eccetera. Il bilanciamento fra queste disparità sarà a volte non in equilibrio; ma se devo fare affidamento a quanto ho visto nella mia esperienza sono ottimista, vedo le difficoltà ma considero le opportunità ben maggiori”.

Quali gli strumenti digitali utilizzati per fare advocacy da Informatici Senza Frontiere, con quali risultati?

“Noi stiamo utilizzando strumenti tradizionali, e forse un po’ antiquati, quali Facebook, Twitter, Instagram, Mailing list. Al momento non riusciamo ad investire in questo settore. Devo anche dire che stiamo più attenti a comunicare informazioni vere e verificabili, molto meno a raggiungere un maggior numero di persone. Dobbiamo sicuramente migliorare, perché alcune delle nostre attività, quali ad esempio quelle legate al nostro Festival che annualmente si svolge in autunno, sono rivolte a un pubblico ampio e meriterebbero una maggior comunicazione”.

Ottimismo o pessimismo sul raggiungimento dei goal previsti da Agenda 2030?

“Viste le decisioni politiche nazionali ed internazionali nell’ultimo periodo credo che nessuno possa essere ottimista. Mi sembra piuttosto che stiamo entrando in un periodo di regressione della “specie umana”. Nessun obiettivo 2030 sarà raggiunto e forse ci vorrà ancora qualche decennio per arrivarci, ammesso poi che le politiche mondiali cambino radicalmente. Gli obiettivi sono tutti assolutamente condivisibili ed è giusto porseli, ma, finché l’uomo non sarà in grado di usare le sue capacità intellettive per vedere e volere un mondo di pace e di benessere per tutti, gli obiettivi rimarranno tali e, se casualmente qualche progresso sarà fatto in quelle direzioni, sarà sicuramente dovuto a conseguenze secondarie, indotte da ben altri obiettivi commerciali o di potere politico. Nessun uomo che abbia la dignità di essere umano deve però venire meno allo sforzo di lavorare per un mondo migliore; lo dobbiamo ai nostri figli e ai figli dei nostri figli; in quest’ultimo periodo noto poi segnali positivi e sono felice di vedere qualcuno di loro muoversi nella giusta direzione. Diamo loro fiducia, faranno sicuramente meglio di noi”.

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