Come reagirà l’economia globale all’isolamento?

di Guilhem Savry, Head of Global Macro and Dynamic Asset Management di Unigestion

 

L’epidemia da Coronavirus ha fatto sprofondare l’economia mondiale e i mercati finanziari in un territorio inesplorato. La prima conseguenza di questa mancanza di visibilità è che, in questa fase, non sappiamo come si evolverà la situazione. La seconda è che, di fronte a così tante incognite, il modo migliore per affrontare la situazione è quello di ridurre il rischio dei nostri portafogli. Questi due elementi (incertezza e deleveraging) spiegano perché la scorsa settimana è stata una delle peggiori nella storia dei mercati finanziari, come dimostra il livello raggiunto dal VIX (75), che non si vedeva da ottobre 2008. A nostro parere, questa crisi pone tre sfide: una economica, una politica e una geopolitica. Con il ritorno dei confini nazionali, andiamo incontro ad un ritorno al passato?

Crisi digitale, interconnessa e istantanea 

In generale, recessione macroeconomica, correzione di mercato e rischio sistemico di liquidità sono tre elementi distinti, separati nel tempo e nella loro relazione causale. Il contesto attuale è eccezionale perché questi tre fasi si verificano contemporaneamente e interagiscono su scala più ampia rispetto ai casi passati. La crisi del 2020 è quindi differente dai numerosi shock economici e finanziari che abbiamo vissuto a partire dagli anni novanta. In primo luogo, l’economia mondiale è attualmente colpita da uno shock esogeno che nessuno controlla, a differenza degli shock della domanda e dell’offerta che in passato hanno innescato le recessioni. In secondo, le armi a disposizione per contrastare l’epidemia e i suoi effetti negativi sull’economia sono più limitate rispetto al passato in quanto i tassi di interesse sono già bassi, i bilanci delle banche centrali sono già molto larghi e i coefficienti del debito pubblico sono già elevati. Terzo, la leva finanziaria nell’economia potrebbe rivelarsi molto più elevata rispetto al 2008, dopo anni di politica monetaria accomodante che ha spinto la volatilità effettiva degli asset finanziari e delle variabili macroeconomiche a livelli estremamente bassi. Infine, mai prima d’ora nella storia dell’economia il mondo è stato così interdipendente e connesso. Questa situazione ha due effetti: accentua la portata delle crisi e limita l’effetto di decisioni isolate. Abbiamo bisogno di una risposta che sia un mix di politiche il più sincronizzate possibile: ma con il ritorno dei confini nazionali e la possibilità per gli Stati di isolarsi questo sarà possibile e sufficiente per evitare una recessione globale e duratura?

Lo shock economico sarà maggiore del previsto

Dal punto di vista economico, più a lungo dura l’epidemia, più estese saranno le misure di contenimento e maggiore sarà lo shock recessivo. Ad oggi, il consensus è per uno shock violento ma temporaneo. L’impatto potrebbe essere pari ad una contrazione di due quarti di punto, con un calo del Pil tra il 2 e il 3%, a seconda dell’area. Queste stime si basano sull’ipotesi che saranno necessarie solo poche settimane di quarantena per combattere la propagazione esponenziale del virus e su un ritorno alla normalità che sarà raggiunto in modo rapido ed efficiente.

Storicamente, un problema di questa portata è stato localizzato in un’area o in un Paese e poi diffuso in base al peso del Paese nell’economia globale. Così, durante l’ultima crisi economica del 2008, le economie emergenti sono state meno colpite perché meno legate ai mercati immobiliari americani e perché i rispettivi sistemi finanziari erano meno integrati. Tuttavia, il caso attuale è senza precedenti perché il marcato rallentamento dell’attività si sta verificando a livello globale e in concomitanza con le misure di blocco e di quarantena applicate in paesi chiave. La natura istantanea, globale e interconnessa della situazione attuale è più simile a una situazione di guerra con un’attività limitata al minimo, piuttosto che a un normale rallentamento dell’economia, come ne abbiamo conosciuti in passato. Ma, a differenza dei periodi di guerra o dopo un evento climatico come l’uragano Katrina (2005, che è costato lo 0,7% del PIL), non ci sarà alcun effetto di ricostruzione per spingere l’attività dopo il periodo di quarantena.

Inoltre, l’inasprimento delle condizioni finanziarie dovuto all’aumento degli spread creditizi e della volatilità amplificherà gli effetti negativi. Le nostre stime, basate sull’ipotesi di quattro-sei settimane di blocco delle attività in Europa e negli USA, portano nel 2020 ad una crescita del -1% in Europa e dello 0% negli USA. Dato il basso livello di crescita osservato prima della crisi del Covid-19, qualsiasi shock negativo farebbe sprofondare l’economia globale in una situazione difficile, rivelandone tutte le debolezze di fondo. Come evidenziato da Eichengreen in diverse analisi sulle crisi emergenti, più debole è il paese in termini di stabilità finanziaria, equilibrio esterno e fondamentali macroeconomici, maggiore è l’impatto negativo. Sebbene i prezzi di mercato abbiano iniziato a riflettere che con l’allargamento dello spread del debito sovrano osservato la scorsa settimana, soprattutto nei paesi europei periferici più fragili, siamo ben lontani dai livelli del periodo precedente. A titolo esemplificativo, il rischio di liquidità è aumentato con il balzo degli spread interbancari, ma è ancora al di sotto dei livelli del 2011.

Un mix di politiche restrittive?

La risposta delle banche centrali e dei governi è stata significativa. Infatti, la maggior parte dei banchieri centrali ha abbassato i tassi d’interesse, ha riattivato il quantitative easing e sostenuto il finanziamento interbancario nelle ultime due settimane. Ad alcune banche centrali rimangono ancora alcune munizioni per utilizzare i loro bilanci in modo più ampio, come nel 2008. Tuttavia, le risorse disponibili nel 2020 sembrano più limitate e la loro efficacia potrebbe rivelarsi più debole. Ancora più importante, la credibilità delle banche centrali potrebbe essere messa in discussione. Per la prima volta dalla loro introduzione, queste misure monetarie straordinarie non hanno contribuito ad arginare la sfiducia dei mercati finanziari. I mercati azionari sono crollati dopo il taglio dei tassi da parte della Fed, nonostante le manovre inter-meeting (due settimane fa e domenica scorsa) e la ripresa dei programmi di acquisto di asset da parte della BCE e della Fed. La situazione sembra presentare ancora maggiori limiti dal punto di vista fiscale, dato che i livelli di debito e di deficit sono già estremamente significativi. La reazione del mercato obbligazionario a seguito dei vari annunci di stimolo fiscale sottolinea la possibilità che il rischio di credito possa presto riaffiorare: i rendimenti a 10 anni di Francia e Germania sono aumentati di 30 e 15 punti base, rispettivamente, la scorsa settimana, anche se l’Eurostoxx 600 ha perso il 13% nel periodo. Non avevamo riscontrato tali correlazioni dopo la crisi finanziaria nei Paesi periferici nel 2011. 

Confini nazionali contro coordinamento

L’attuale economia mondiale è stata costruita sulla globalizzazione, basata sulla mobilità dei capitali, poi del lavoro e, nell’era digitale, dei dati. Il progresso tecnologico ha reso questa mobilità sempre più veloce. La crisi attuale potrebbe mettere in discussione questi principi fondanti. Il rischio legato alla supply chain è stato sottovalutato, così come le sue conseguenze in termini di possibile effetto domino. L’ironia della situazione attuale è che la Cina, paese da cui ha avuto origine la crisi, potrebbe stabilizzare la situazione nelle prossime settimane ma, in un mondo di economie chiuse, la ripresa prevista sarebbe più debole del previsto, creando una nuova forma di effetto domino. Di conseguenza, il ritorno dei confini e la riduzione della mobilità potrebbero generare effetti geopolitici ancora sconosciuti e dare origine a un nuovo modello di crescita, meno integrato, meno globale e meno interdipendente. Ad ogni cambiamento importante, come evidenziato da Schumpeter, la distruzione creativa genera vincitori e vinti. Paesi, settori e asset legati al commercio globale potrebbero essere messi in discussione in futuro. L’attuale guerra dei prezzi del petrolio tra i paesi produttori è un perfetto esempio di come un potenziale cambiamento nel modello di crescita potrebbe causare significative tensioni geopolitiche. Inoltre, le misure di quarantena, se dovessero essere inasprite, sarebbero una vera sfida per le democrazie. Quanto è pronto il mondo occidentale a rinunciare a queste libertà individuali per mantenere la stabilità sociale? Anche in questo caso, le aspettative potrebbero essere deluse, dato che la gestione della crisi in Cina e in Corea del Sud sono usati come esempi per prevedere la durata e la portata della crisi. 

Asset allocation: de-risking globale

In un contesto di totale incertezza e di estrema volatilità, il nostro posizionamento si è evoluto sostanzialmente dalla fine di febbraio. Ora ci aspettiamo che l’incertezza legata alla situazione di Covid-19 rimanga ancora per qualche tempo e che spinga l’economia globale in recessione. Per questo motivo abbiamo adottato un posizionamento difensivo nel nostro portafoglio al fine di limitare la nostra partecipazione alla fase di ribasso se i mercati continueranno a scendere ulteriormente. Come osservato nel 2008, gli asset rischiosi potrebbero subire un balzo significativo in seguito agli annunci del G7 o delle banche centrali. In effetti, l’S&P 500 è cresciuto del 13% nell’ottobre 2008 in seguito alle misure del TARP. Successivamente il mercato è sceso del 30%, toccando il fondo quattro mesi dopo. A nostro parere, non abbiamo ancora assistito alla fine della fase di de-risking, che di solito inizia con gli asset liquidi per poi continuare con quelli meno liquidi. Gli analisti si aspettano ancora una crescita positiva degli utili sui mercati azionari, che dovrebbe essere rivista in territorio negativo. I rapporti P/E sono ancora elevati su base storica e diminuiranno in linea con i passati episodi di pricing da recessione. Inoltre, non sono ancora stati resi noti dati macro per le economie sviluppate coinvolte in questa situazione in rapida evoluzione. Il dato sulla fiducia dei consumatori negli USA, rilasciato venerdì scorso, è aumentato, così come è salito quello relativo al mercato del lavoro statunitense nel mese di febbraio. La debolezza dei dati macroeconomici dovrebbe essere evidente tra due settimane negli indici ISM e PMI, e sappiamo tutti quale sarà la direzione del cambiamento. 

Cosa potrebbe impedire il perdurare di questo scenario? Uno stimolo fiscale attuato a livello globale e finanziato dalle banche centrali per evitare che i rendimenti delle obbligazioni sovrane vedano un picco. Qualcuno ha detto “Global Helicopter Money”?

 

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