Mai più donne invisibili (anche grazie al digitale): intervista alla presidente di Rete per la Parità

Mai più donne invisibili, per liberare le donne italiane dal Burka mediatico e per assicurare il diritto all’identità di tutte e tutti anche attraverso l’attribuzione del cognome materno. Mai più portatrici d’acqua, per la presenza di donne qualificate nelle assemblee elettive e nei luoghi decisionali Mai più discriminate sul lavoro, contro le discriminazioni nell’accesso, nelle carriere e nelle retribuzioni e contro ogni forma di violenza economica“. I tre pilastri della Rete per la Parità, un’associazione di promozione sociale per la parità uomo-donna, sono descritti da Rosanna Oliva de Conciliis, presidente dell’associazione e coordinatrice del gruppo di lavoro per il goal 5 di ASviS.

La Rete, fondata nel 2010 in occasione del cinquantenario della sentenza della Corte costituzionale n. 33/1960 che aprì alle donne carriere pubbliche fino allora ancora precluse, accoglie sia singole persone che organismi che partecipano ai lavori del Comitato scientifico eletto dall’Assemblea ogni due anni. Ad oggi sono ventidue le associazioni, le università e le reti di associazioni, a loro volta costituite da decine di altre importanti associazioni e circoli nel territorio Il CNDI raccoglie ben 16 associazioni federate, tra le quali il Soroptimist International d’Italia che aderisce anche in proprio e ha 157 club.

“Tra le tante recenti iniziative – spiega la presidente Oliva – citiamo quella pubblicata nel sito dell’ASviS, nello spazio “#AlleanzaAgisce per valorizzare le buone pratiche messe in campo dagli aderenti. Si tratta della nostra lettera inviata al Presidente del Consiglio e ad altre cariche, con la quale abbiamo chiesto di superare l’abuso di posizione dominante maschile e di integrare la Task force e  il Comitato tecnico con alcune esperte (come in seguito è avvenuto). Abbiamo anche iniziato una campagna “Mai più uomini sordi” alla voce di chi vuole una società paritaria nell’interesse di tutte e tutti. Malgrado alcune donne ora occupino anche posti di responsabilità e abbiano dato prova di professionalità e grande capacità, in Italia ai vertici ci sono sempre uomini indifferenti o addirittura contrari all’acquisizione della parità”.

Come agire per garantire la parità di genere nel “new normal”?

Per superare la grave crisi provocata dalla pandemia, è necessaria la piena condivisione tra uomini e donne nelle responsabilità e nei processi decisionali; servono fatti e non parole: Cosa fare nel rispetto dell’Art.3 della Costituzione e dell’obiettivo 5 dell’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile è noto da tempo. Lo si trova scritto a chiare lettere anche nel documento della Task Force nella parte dedicata alla Parità di genere ed inclusione: tra le azioni suggerite per l’empowerment femminile, troviamo tra l’altro, incentivare la formazione tecnologica delle donne e l’accesso delle donne alle discipline Stem, e l’occupazione e l’imprenditoria femminile. Si chiede trasparenza su inquadramenti contrattuali e retribuzioni, revisione degli indici di produttività in chiave gender oriented, la promozione di strumenti di armonizzazione e condivisione della vita familiare e lavorativa, il rafforzamento della protezione economica per le donne vittime di violenza.

Qual è un progetto dell’associazione al quale guardare con attenzione?

Nel 2020 l’Associazione festeggia i dieci anni di attività e celebra i sessant’anni della sentenza della Corte costituzionale n. 33 del 13 maggio 1960, che eliminò le principali discriminazioni contro le donne nelle principali carriere pubbliche. Siamo impegnate per organizzare, insieme con il Comitato 603360 che abbiamo costituito, gli eventi che si svolgeranno fino al 13 maggio 2021 per recuperare il ritardo dovuto all’isolamento. Non formali celebrazioni ma occasioni per individuare le strategie utili al raggiungimento degli obiettivi riguardanti la parità tra i sessi come avvenne nel 2010 per i 50 anni della sentenza. In particolare, argomento di grande attualità emerso durante l’isolamento, è quello della necessità di ridurre il divario di genere nelle conoscenze digitali. Su questo e su tanti altri importanti temi da approfondire servirà l’impegno di nuove energie e potenzialità, accanto a quello dell’intera associazione e degli organismi che organizzarono nel 2010 oltre quaranta eventi.

In generale, pensa che la tecnologia possa essere strumento di sostenibilità? Qual è il ruolo del digitale nel raggiungimento degli obiettivi e in particolare del goal 5?

La tecnologia è da tempo entrata nelle nostre vite e nella nostra quotidianità. Se ci si ferma e a riflettere su come si svolge la nostra giornata, ci si accorge che la tecnologia interviene in gran parte delle nostre azioni, da quelle più scontate a quelle più complesse… basti pensare alla modalità con cui interagiamo con le persone care inviando immagini o video o chattando con loro sui social, ai pagamenti che oramai sono sempre più automatizzati e prevedono l’utilizzo di carte o app dedicate, o ancora al modo in cui leggiamo le notizie. Insomma la tecnologia ormai avvolge come fosse una pellicola trasparente tutte le nostre azioni e abitudini. Se penso alla nostra missione, e a quella più in generale delle No profit, di sicuro la tecnologia è un grande alleato nella promozione e nella diffusione sociale dei nostri obiettivi. Ci consente, quasi a costo zero, di allargare gli orizzonti, di raggiungere un pubblico molto più ampio e di aprire canali di comunicazione e collaborazione a distanza. E’ sicuramente un fattore di sostenibilità. Riduce l’impatto sull’ambiente perché riduce e a volte azzera la necessità degli spostamenti, come anche dell’uso del cartaceo, con un notevole beneficio per l’ambiente. In questo periodo così difficile ha consentito di portare avanti le attività pur rispettando i dettami del distanziamento sociale. Senza tecnologia ci sarebbe stato un blocco totale per molte attività di valore economico e sociale che invece sono proseguite, e tuttora proseguono, in modalità quasi esclusivamente online. L’uso degli strumenti tecnologici va però dosato con intelligenza e competenza, rispettando quanto dichiarato da Antonello Soro, Garante per la Privacy, durante la sua recente relazione annuale: “la traslazione, mai così totalizzante, della nostra esistenza individuale e collettiva nella dimensione immateriale del web, espone infatti ciascuno di noi – in primo luogo attraverso i propri dati – alle sottili ma pervasive minacce di una realtà, quale quella digitale, tanto straordinaria quanto poco presidiata. Il rischio di essere dipendenti dalla tecnologia è sempre dietro l’angolo, e potrebbe portarci all’omologazione, come fossimo degli automi“. Massima attenzione quindi perché l’essere umano non venga trasformato in macchina telecomandata: i rischi ci sono anche perché, come disse lo psicologo statunitense Burrhus Skinner (1904- 1990): “Il vero problema non è se le macchine sappiano pensare ma se gli uomini lo facciano”. La Rete per la Parità è da anni impegnata per la cosiddetta “par condicio di genere”, ha denunciato in varie occasioni la scarsa presenza delle donne nei media e assiste con preoccupazione al dilagare sui social di attacchi sessisti e alla diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate Il cosiddetto “revenge porn”, che la legge n. 69 del 19 luglio 2019 punisce ora con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5mila a 15mila euro. La fattispecie è aggravata se i fatti sono commessi nell’ambito di una relazione affettiva, anche cessata. Deve essere approfondito anche il problema del maschilismo e del razzismo degli algoritmi – in particolare di quelli di riconoscimento facciale usati anche dalle forze dell’ordine, di cui si parla da anni. E sono ormai numerosi gli studi che hanno dimostrato come questi strumenti penalizzino le donne e le minoranze etniche dell’Occidente; quanto siano, per farla breve, accurati solo quando si tratta di riconoscere persone bianche, soprattutto se uomini. Questi studi, e le conseguenti prese di posizione politiche, sono stati spesso accolti con scetticismo, ma sappiamo quanto il problema sia semmai che la nostra società è così intrinsecamente (e spesso inconsapevolmente) maschilista e razzista che non si rende neanche conto di aver incorporato i suoi pregiudizi negli algoritmi che sviluppa. L’essere umano e la sua capacità di decidere e indirizzare devono rimanere sempre al timone. E ci riferiamo alle donne e gli uomini. Importante che le ragazze scelgano le STEM negli studi e nelle carriere.

Pensa che ci sia consapevolezza diffusa sul ruolo del digitale per la sostenibilità, o la tecnologia è vista ancora come nemica?

Credo che, insieme con il diffondersi dell’uso, si diffonda la consapevolezza che la tecnologia digitale, come spesso si legge, sia un mare in cui siamo ormai immersi, pertanto è fondamentale imparare a nuotare, e bene, anche. Non una nemica, anche se a volte, come accade per tutti gli strumenti che diventano disponibili a tante persone, può essere utilizzata per scopi negativi o addirittura perversi. Impressionante la forte accelerazione  nell’uso del digitale causata dalla pandemia. Altro lato della questione è quello della riduzione delle occasioni di lavoro. E’ certo che nel tempo molti lavori, soprattutto quelli ripetitivi o che non richiedono specializzazione, saranno compiuti dalle macchine e aumenterà il bisogno nei settori specializzati. Si calcola che chi studia oggi affronterà una società in cui molti lavori non ci saranno più e saranno richiesti soprattutto nuovi profili. E se molte figure andranno a scomparire, altre potrebbero nascere e dare un nuovo sbocco al mercato. Il confronto con le tecnologie digitali ha raggiunto persone che le avevano ignorate o ne facevano un uso molto limitato. Si sono rivelate indispensabili non solo per lavoro ma anche per la Didattica a distanza, un grande impegno di squadra tra genitori e docenti e impegno per i discenti. La scuola non si è fermata, e a settembre ci aspetta una nuova sfida per il futuro per riprendere la corsa lasciata sospesa a causa di un virus invisibile che ci ha tolto molte, troppe cose.

Ottimismo o pessimismo sul raggiungimento dei goal previsti da Agenda 2030? Quale il goal potenzialmente più a portata di mano e perché e quale quello più difficile da raggiungere e perché?

Direi né ottimismo né pessimismo ma impegno costante e massima attenzione per avvicinarsi al raggiungimento degli obiettivi ed evitare disastrosi passi indietro, sempre possibili in un mondo strutturato a misura di uomo. Dalla valutazione dello scorso marzo dell’ASviS sul prevedibile andamento dell’Italia verso i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile in rapporto alla crisi determinata dal Covid 19, emerge che per alcuni l’impatto è largamente negativo, povertà, salute, istruzione, condizione economica e occupazionale, innovazione, disuguaglianze (Goal 1,3,4, 8, 9 e10), mentre per la lotta al cambiamento climatico e per la qualità della governance, pace, giustizia e istituzioni solide (Goal 13 e 16) ci si può aspettare un andamento moderatamente positivo. Per altri, Goal 6 (acqua e strutture igienico-sanitarie), 11 (condizioni delle città), 14 (condizioni degli ecosistemi marini) e 17 (cooperazione internazionale), l’impatto nel 2020 dovrebbe essere sostanzialmente nullo, mentre per i rimanenti cinque Goal l’impatto non è valutabile (NV) in quanto non è stato possibile stabilire una relazione tra crisi e indicatori. L’impegno per tutti gli obiettivi deve essere affrontato con maggiore determinazione. Il sistema sanitario, ad esempio, deve essere adeguato a standard superiori rispetto agli attuali, le città richiedono interventi importanti per garantire una qualità di vita accettabile ma è soprattutto l’obiettivo 5 uno di quelli più ad alto rischio. Altre fonti e i tanti messaggi diffusi durante il lockdown dimostrano l’impatto negativo della pandemia sulle donne. Dalla violenza esercitata tra le mura domestiche, al carico di lavoro accresciuto per la chiusura dei nidi e delle scuole, alla disoccupazione e sottooccupazione, da affrontare in questa fase di crisi economica. La rivoluzione digitale ha accelerato con l’emergenza coronavirus e ha acceso i riflettori su situazioni e diseguaglianze anche prima preoccupanti. Non c’è più tempo da perdere, anche le giovani devono diventare protagoniste del cambiamento e non restare ai margini, com’è stato finora. Lo raccomanda la Commissione UE nel piano presentato da poco per l’università del post-pandemia: servono meno filosofi e più scienziati. Lo stesso obiettivo della ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia Elena Bonetti che ha deciso di investire due milioni di euro in progetti destinati a far scoprire e appassionare al mondo dei numeri soprattutto bambine e ragazze, dai 4 ai 19 anni. La Parità di genere deve essere al primo posto perché fattore trainante di molti aspetti della vita sociale ed economica: capitalizzando esperienze, competenze e capacità femminili potremmo affrontare meglio l’emergenza che stiamo attraversando anche dal punto di vista economico perché avremmo, come ormai noto da oltre un decennio, un notevole innalzamento del PIL e un miglioramento complessivo della vita.

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