Non si può guardare al mondo senza vedere la rete

Inizia oggi la rubrica "Social Network SiDe", nella quale Giovanni Boccia Artieri guarderà al mondo del business dal "lato" delle Reti

Pensare oggi la realtà che ci circonda ignorando lo stato di permanente e visibile connessione prodotto dall’accesso a Internet e alla realtà di blog e siti di social network significa ostinarsi ad avere una visione sfuocata rispetto a come la nostra società sta evolvendo.

Ognuno di noi si trova infatti all’interno di un network quotidiano di comunicazione mediata costituito da relazioni amicali, lavorative, di consumo e affettive, da azioni di reciprocità che ci legano gli uni agli altri e che ruotano attorno a forme organizzative, di lavoro ed intrattenimento, di informazione e di formazione.

In particolare abbiamo cominciato ad essere consapevoli di un cambiamento dello stato delle cose che ha a che fare con l’empowerment dei cittadini e dei consumatori. Le esperienze della rivoluzione verde in Iran e il ruolo che ha avuto Twitter oppure la rivolta dei consumatori Israeliani attraverso Facebook contro il costo del formaggio “Cottage”, sono segnali, più o meno grandi, di un cambiamento che stiamo affrontando.

Le risposte che sono provenute dalle imprese, spesso dalle PMI, a questo cambiamento del senso di marcia del rapporto con i consumatori/cittadini sono altalenanti.

Una soluzione è stata, ad esempio, quella di entrare a far parte di una “big conversation” senza avere un piano preciso. Si tratta di un ingresso – spesso a basso tasso di consapevolezza –  in una realtà comunicativa fatta di tweet per “dire”, di pagine Facebook per attrarre “audience”, di blog da cui poter lodare i propri prodotti. Si è finiti talvolta per non ascoltare quello che i consumatori dicevano già delle imprese, per cancellare i commenti negativi o non saper dare risposte ai quesiti che comparivano nei commenti né in modo esaustivo né in modo tempestivo.

Un’altra strada è stata quella della partecipazione. Co-progettazione di prodotti, co-produzione della comunicazione e ideazione di logiche “virali” per far sì che ci contagiassimo gli uni con gli altri di contenuti pensati dalle aziende spesso poveri e poco differenti da uno sport pubblicitario. La strategia di un coinvolgimento che assomiglia ad uno sfruttamento, all’interno di un ambiente come Internet in cui l’economia del dono e della reciprocità, non è il modo migliore per strutturare un rapporto.

Un ingresso frettoloso, con scarso impegno e il desiderio di avere risultati subito ha prodotto una prima ondata di esperienze che, in particolare per molte piccole imprese – ma non solo – non sono stati esaltanti. Vale la pena oggi riprovarci mettendo meglio a fuoco che il cambiamento che ci circonda come cittadini e consumatori passa dalla consapevolezza crescente che abbiamo del nostro “valore” all’interno del mondo e delle sue dinamiche economiche e sociali. Dall’essere “oggetto” delle operazioni di comunicazione e del marketing da parte delle imprese cominciamo a sperimentare le possibilità di essere “soggetto” attivo. E ne siamo sempre un po’ di più collettivamente consapevoli. Così le cose che quotidianamente facciamo sono sempre più in relazione con il nostro modo di vedere e di vederci come parte di questo stato di connessione, qui, sul versante dei social network.

Si tratta di uno sguardo che possono imparare ad avere le imprese per mettere a fuoco quali forme assumono “conversazione” e “partecipazione” su questo versante di una realtà connessa. Uno sguardo capace di cogliere un processo che io definisco come “cambiamento di senso della posizione nella comunicazione”, non solo un rovesciamento dalle forme di passività a quelle di interattività dei soggetti nella comunicazione ma anche la consapevolezza dell’essere in connessione reciproca e la visibilità e trasparenza di questi rapporti che costruiamo. Questo processo riguarda allora il modo in cui le persone smettono di poter essere pensate come il bersaglio di persuasori neanche più tanto occulti – spesso abbiamo cambiato i termini ma li continuavamo a pensare così – per fare dell’esperienza del consumo qualcosa che ha a che fare con la propria identità e con le proprie relazioni. Si tratta allora di capire quanto le imprese sono disponibili a farsi coinvolgere da una nuova relazione anche quando sono uscite da una brutta storia.

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2 COMMENTS

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