Social evoluzioni: verso un’esperienza unificata

Nelle ultime settimane i vari Social sono stati protagonisti di un po’ di cambiamenti e “chiusure” che, sotto certi punti di vista, potrebbero essere leggibili tanto come un tentativo di andare verso una maggiore omologazione, quanto verso una più precisa specializzazione.

Non è una contraddizione.

Mi spiego: mentre ogni Social si è affermato anche grazie alla capacità che ha avuto di distinguersi in virtù di una propria “grammatica” ed in base all’esperienza offerta all’utente, sembra che adesso vi sia il tentativo più ampio di offrire un’esperienza che da un lato è sempre più Social, mentre dall’altro pare voler valorizzare le caratteristiche uniche e sviluppare ulteriormente le potenzialità di ogni piattaforma.

Così G+ si è aperto agli eventi offrendo una serie di features che, in parte, ricalcano quelle di Facebook Eventi e che, dall’altra, puntano a sfruttare ad esempio Hangout ma soprattutto a collegare il singolo evento al brand e comunque – anche quando non collegato ad un marchio – a dargli persistenza. A differenza di quanto accade su Facebook, infatti, gli eventi non “scompaiono” dalla piattaforma al loro termine ma restano disponibili come se fossero delle normali pagine che fungono (bravi, ci voleva!) da collettore delle foto e dei commenti a posteriori dei partecipanti.

Motivo in più per dare una chance a G+ (se non l’avete ancora fatto).

Facebook invece mantiene la sua base utenti in costante crescita ma evidentemente ha compreso che urge – anche per essere più convincente in borsa – aprirsi ad un più ampio ventaglio di potenzialità di business, direzione verso cui dovrebbe andare l’eventuale attivazione del bottone “want“, che rappresenterebbe il preludio per una gamma di attività di Social commerce (peccato che al momento il plugin sia sparito dalla circolazione…).

Non solo, ma punta a farla da padrone recuperando anche ruoli – come quello di piattaforma più usata per l’aggregazione delle conversazioni che si sviluppano durante gli eventi TV – rubando quello scettro che gli utenti hanno spontaneamente dato a Twitter. Lo dimostrano gli accordi stretti con CNN ed NBC rispettivamente per le US Elections e le Olimpiadi, occasioni per le quali Facebook punta molto sulla misurazione del buzz prodotto al suo interno intorno a questi eventi, come già ho sostenuto altrove.

Twitter nel frattempo ha chiuso parte delle sue API sciogliendo anche accordi ormai triennali, come quello con LinkedIn, che segna la fine del cross-posting da una piattaforma all’altra.

In questo caso, però, credo che sul lungo periodo LinkedIn possa trarre giovamento dalla scissione dell’accordo: è vero, infatti, che gli utenti dovranno “riabituarsi” a condividere spontaneamente link ed aggiornamenti sul network di professionisti, ma è anche vero che quest’ultimo non sarà più “sporcato” dal rumore di un certo numero di post che – a volte – poco avevano a che fare con LinkedIN e con il proprio lavoro. Insomma, potrebbe diminuire il volume degli aggiornamenti ma, a tendere, crescerebbero qualità e specificità degli stessi.

D’altra parte in questo panorama di (de)contaminazione non fa eccezione neppure Instagram. Il fatto che il primo grande aggiornamento dall’acquisizione di Facebook dello scorso aprile sia andato in questa direzione dà da pensare.

E’ stata potenziata l’integrazione con Facebook – come atteso da tutti – e la stessa app mobile è ormai caratterizzata da un pervasivo blue-Facebook. Soprattutto, Instagram si è aperto maggiormente sul versante Web, che sinceramente offriva un’esperienza utente limitata. Intendiamoci: non si possono ancora navigare le pagine profilo degli utenti o esplorare i contenuti per tag (poco male, basta usare Followgram), ma la nuova “Photo Page” consente di visualizzare – con buona risoluzione – gli scatti realizzati attraverso Instagram ed il relativo engagement generato (like e commenti).

Al centro di tante fatiche, chiaramente, gli utenti e la conquista di una loro “esclusività”.

La sensazione, infatti, è che in qualche modo ognuna delle piattaforme citate cerchi di offrire un’esperienza immersiva e auto-conclusiva, tale da consentire all’utente di svolgere le sue attività preferite senza mai uscire dal Social di riferimento.

Questo processo è particolarmente evidente negli ultimi sviluppi di G+ rispetto a Facebook certo, ma in generale – e com’è ovvio che sia, soprattutto in ottica di potenzialità di advertising – la vera battaglia si gioca sulla profilazione degli utenti e sul targeting di azioni mirate. Non solo pubblicitarie, ma anche di offerta di informazioni: Google Now, ad esempio, sembra andare esattamente in questa direzione, continuando il discorso aperto con Knowledge Graph.

Lo stesso dicasi per le “tailored suggestions” e le nuovissime “targeted ads” di Twitter, così come l’opportunità offerta agli utenti più attivi di Foursquare di “dialogare” con i loro brand preferiti.

Insomma, a fronte di una crescente raccolta di informazioni su gusti, abitudini ed attività degli utenti, si cerca di fare diventare i Social delle esperienze complete, dei luoghi all’interno dei quali trovare tutto ciò che è necessario. Non credo però in questa strategia. Non credo nello sforzo omologativo.

Il rilascio di nuove features non modifica necessariamente le abitudini degli utenti, neanche quando si tratta di consentire loro di fare in un unico posto ciò che prima facevano in modo disaggregato in giro per il Web (altrimenti G+ – a poco più di un anno dal lancio – avrebbe fatto molta più strada).

Ovvio che il vero vantaggio consiste – lato piattaforma – nell’acquisizione di una maggiore mole di dati, come dicevo, e dunque nell’offerta di una migliore targettizzazione dell’adv.

Ma allora dove va a finire l’identità di ogni Social?

La sensazione è che la piattaforma che abbia saputo trarre il massimo dalla sua stessa specificità, trasformandosi man mano in qualcosa di ancor più preciso sia stata Foursquare. Ed è questa la direzione in cui devono andare allora Facebook, G+ e Twitter.
Certo, sono Social più “generici” nei fini e negli usi rispetto a Foursquare, ma come dicevo all’inizio, hanno saputo caratterizzarsi anche per precisi scopi d’uso. E non necessariamente la contaminazione sarà un bene.

La chiave dell’affermazione (e della competizione), sul lungo termine, potrebbe trovarsi proprio nella capacità di inventare qualcosa di nuovo (o acquisire qualche start up promettente): dati e informazioni raccolte andrebbero allora sfruttati prima di tutto per offrire qualcosa di unico.

Il rischio altrimenti è quello di avere un’alta ottimizzazione di uno stesso servizio offerto da più piattaforme ed una scarsa innovazione nei servizi offerti. Google ha basato la sua filosofia di lancio prodotti proprio sulla sperimentazione (e sugli eventuali successivi abbandoni) e sull’osservazione. Che sia destinato ad essere davvero il prossimo grande Social player?

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2 COMMENTS

  1. Condivido pienamente quanto hai scritto Emanuela. L’unico dubbio è sul presunto ruolo che Facebook sta cercando di riguadagnare come aggregatore delle conversazioni attorno alle trasmissioni TV. Nelle intenzioni è corretto, peccato però che l’esperienza mobile offerta dall’app ufficiale sia quanto mai scandalosa soprattutto se paragonata alla user experience ottima di G+ e più che buona di Foursquare e Twitter. Magari questo potrà essere di stimolo per lo sviluppo di un’app decente finalmente 🙂

    • Ciao Sildra,
      allora direi che siamo allineatissimi e ti confermo che già da tempo la quantità di lamentele per il malfunzionamento dell’app mobile (io ho problemi non solo su iPhone ed iPad ma anche se cerco di accedere da mobile con Safari o Chrome!).
      Di certo – come giustamente noti – è rischioso lanciare l’hub e NON pensare che molti – visti anche gli elevati dati di fruizione di tablet e Web durante gli eventi televisivi – avranno problemi con l’applicazione.
      Allora mi chiedo: e se tutto questo si trasformasse in un danno reputazionale e trovasse forma in una serie di lamentele?

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