La democrazia del quiz

Oggi parliamo di consultazioni pubbliche online. Il merito di averle riportate in auge spetta al governo dei tecnici. Nacquero quasi per caso, al termine di un Consiglio dei Ministri, durante il quale si discusse, senza trovare la quadra, sull’abolizione del valore legale del titolo di studio. Risultato: in conferenza stampa il Presidente annunciò che la parola sarebbe passata ai cittadini, con una consultazione online. Detto, fatto. Di lì a poche settimane il Miur mise su un portale dedicato. Per inciso: la consultazione decretò la vittoria del valore legale.

sondaggioEra soltanto la prima di una lunga serie. Ne sarebbero seguite oltre 10, sui temi più disparati: dalla spending review, passando per la trasparenza, per arrivare alla sicurezza del trasporto delle merci. Alcune ebbero grande impatto mediatico, altre furono praticamente ignorate. Qualcuna, tutto sommato, riuscì bene. Altre, organizzate alla carlona, non lasceranno traccia (tra tutte, l’esempio più eclatante è quello della consultazione fatta dal Ministero del lavoro: un indirizzo e-mail per inviare le proprie osservazioni).

Tutto sommato la consultazione online fa contenti tutti. Per questo ha successo. Sono contenti i cittadini, che si sentono lobbisti. Secondo il Censis 45 italiani su 100 si dichiarano interessati a essere coinvolti nelle decisioni pubbliche tramite internet. E contente sono anche le amministrazioni, che sentono di aver fatto il compitino in democrazia, senza vincolarsi troppo.

Finché, come tutte le cose, si finisce per abusarne e il giochino si rompe. Pochi giorni fa l’Istituto Bruno Leoni in un post che ha avuto molta risonanza l’ha chiamata la “democrazia del quiz da spiaggia”. E cioè la politica trasformata in questionario. Fatta di tante domandine a risposta multipla, senza impegno, da compilare tra una parola crociata e un “unisci i puntini”, per dire la propria su come cambiare le cose. La critica era riferita all’ultima consultazione del governo, quella sulle riforme costituzionali. Ma, volendo, si può applicare a tutte le altre senza problemi.

Quelli del think tank torinese hanno ragione, fino a un certo punto. È vero che ridurre discussioni importanti a poche domande online è controproducente. Illude chi partecipa (ma anche chi non partecipa) del fatto che si tratti di processi tutto sommato semplici. È un’illusione pericolosa. Il famoso portale statunitense We The People doveva essere l’aggregatore delle proposte della società civile per il governo. Ha certamente prodotto molte proposte interessanti. Ma tra le petizioni più firmate c’è anche quella che chiede al governo di ricostruire l’astronave di Star Trek. Non proprio quello che si dice coscienza civica.

democrazia digitale 3Un secondo difetto di questo tipo di consultazioni è che offrono a chi dovrà decidere una scappatoia soltanto apparente. Perché il votante, per quanto insulsa possa essere la sua posizione, vuole sempre il rendiconto. Vuole sapere quanti hanno deciso come lui e perché la decisione finale è stata di un tipo anziché di un altro. Insomma, le consultazioni online (come quelle offline) sono un’arma a doppio taglio.

Oltretutto c’è il solito, antico, problema del digital divide. E cioè del fatto che non tutti accedono al web, o se lo fanno non hanno necessariamente la dimestichezza necessaria per compiere certe operazioni. Quindi se opti per una soluzione, il digitale, scontenterai necessariamente molte persone. Quanti? Circa il 40% degli italiani. Quelli che, stando sempre ai dati Censis, non frequentano affatto la rete (ai quali vanno aggiunti quelli che, pur frequentandola, lo fanno saltuariamente).

Tutto vero. È vero però anche che etichettare le pratiche di democrazia partecipativa online come rozze o banali è, a sua volta, esercizio di banalità e rozzezza. Per tre motivi.

  • Primo: perché una consultazione online può avere un valore puramente mediatico e dare all’istituzione un supporto comunicativo, piuttosto che decisionale. Fu il caso della consultazione sulla spending review. Beppe Grillo tuonò dal suo blog “il governo chiede aiuto alla casalinga di Voghera”. In realtà si cercò in quella occasione di dare un supporto forte a decisioni che sarebbero state impopolari non per i cittadini, ma per quelli che poi le avrebbero davvero discusse e approvate: parlamento e grand commis dello Stato. Furono in pochi a comprenderlo.
  • Secondo: perché una buona consultazione online può dare a chi decide un orientamento. Va combinato con altri canali di consultazione e va soppesato con tutti i se e i ma detti prima, ma può essere un valido alleato.
  • Terzo: perché la partecipazione online non deve essere necessariamente un processo chiuso, con inizio e fine. Può, e anzi dovrebbe, trasformarsi in un processo di confronto costante tra istituzione e società civile. Ci provò il governo Monti con il “Dialogo con il Cittadino”. Fu un’operazione complessa, ma gratificante. Ne riparleremo prossimamente. Purtroppo il governo in carica lo ha cancellato. Quando si dice capitalizzare l’esperienza.

 

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