Il refloating dell’Italia Digitale

Tempi duri, per chi scrive di Agenda Digitale: dopo la grande kermesse di Digital Venice, non è successo più nulla che non sia riconducibile al gossip, allo smaltimento della bile e al disperato e inelegante arroccamento di tutti coloro i quali hanno tutto da perdere.
Non essendo né esperto né particolarmente amante della tetrapiloctomia, mi trovo quindi in difficoltà: di cosa parlare, quali pensieri condividere, che non siano riferiti all’equipollenza di titoli accademici e alla corsa a smontare dal carro del non-si-sa-ancora-se-vincitore?
In cerca di ispirazione, mi sono messo a seguire lo streaming dell’ultimo viaggio della Costa Concordia: guardare qualcosa di mastodontico che si muove a 2 chilometri l’ora, paragonato all’immobilismo perfetto di questo nostro piccolo mondo pettegolo e tracimante bile, è un po’ come essere a Indianapolis.

costa-concordia-rimorchiataDopo alcune decine di minuti di osservazione della Concordia trainata dai due rimorchiatori capita persino che ti vengano in mente similitudini divertenti: ti si materializzano i profili dei non pochi Schettini Digitali andatisi a schiantare contro lo scoglio per quella maledetta e perversa attitudine all’inchino.
Ma tant’è. Archiviamo il passato.
Aldilà dei passaggi e degli intoppi burocratici, prima o poi questo Governo dovrà pur decidere in quale direzione vuole andare: quelle famose “politiche digitali” di cui vado predicando la necessità e la centralità ormai da mesi.
Perché è da qui, che dobbiamo partire: dalla definizione di una politica digitale a livello di Paese.
Forse non tutti se ne sono accorti, ma il decreto di istituzione dell’AgID ne ha cambiato notevolmente il ruolo rispetto al vecchio CNIPA e DigitPA: alla funzione di “Centro Tecnico per l’Information Technology della PA” si sono aggiunte funzioni centrali a livello di promozione e diffusione delle tecnologie nel Paese.
Se era assolutamente naturale che CNIPA e DigitPA fossero guidate da tecnici, anche plurilaureati in ingegneria/informatica, non lo è altrettanto rispetto alla “nuova” AgID.
Fare “politiche digitali” significa avere a disposizione un team rigorosamente multidisciplinare: abbiamo bisogno di economisti, ingegneri gestionali, comunicatori, insieme agli informatici. E non necessariamente le figure di Digital Architect, CIO e CTO devono coesistere in un’unica persona.
Sarò monotono, ma qui dobbiamo partire dall’inizio: mettendo in fila le cose a partire dal “perché le facciamo”. Perché, cosa, con quanti soldi, come, quando. E l’ordinamento non è casuale.
Il “foglio del come” (così direbbe Crozza imitando Montezemolo) è necessario ma non può prescindere dal perché, dal cosa e dal quanto.

E di “quanto”, mi sa che sono anni che non se ne parla. Anche perché fino a quando continuiamo a interpretare l’AgID come “il posto dove si fanno programmi e progetti” ci schiantiamo inevitabilmente contro l’elemento fattuale rappresentato dal “non ci sono soldi”.
Potrebbe essere interessante e fruttifero immaginare un’AgID come “il posto dove si pensano le politiche digitali del Paese”.
Soprattutto, potrebbe essere il caso di considerare l’ipotesi che AgID diventi finalmente un centro di ricavo piuttosto che un centro di costo in perenne mancanza d’ossigeno.
Il nucleo tecnologico dell’Agenzia, diretto da un “vero” CTO, non potrà che beneficiare di uno scenario radicalmente diverso e maggiormente focalizzato sulle strategie.

Il ritardo da recuperare è notevole: di fatto, non succede nulla da almeno quattro anni.
La politica ha il suo bel fardello di responsabilità, facilmente individuabili in quel grandissimo partito trasversale della conservazione la cui (speriamo) definitiva rottamazione ha avuto inizio qualche mese fa.
L’Italia Digitale, un po’ come la “Concordia”, ha dormito mollemente adagiata su uno scoglio: il refloating è possibile, basta volerlo davvero.

 

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