Rapporto 2016 Cotec-CheBanca!: Italia pronta a innovare ma non troppo?

Quale il rapporto tra gli italiani e l’Innovazione? Questa è la domanda alla quale ha cercato di dare risposta “Italia CheFuturo! – Rapporto 2016 Cotec-CheBanca! sulla cultura dell’innovazione” a cura del Censis. Lo scopo è quello di comprendere quanto l’innovazione venga vissuta nei modi diversi di lavorare, comunicare, spostarsi, alimentarsi, curarsi. Un’occasione per capire anche quanto l’Italia stia guardando davvero al futuro (e quanto gli italiani abbiano consapevolezza di tutto questo).

I primi dati rilevano che per gli italiani il futuro passa per l’innovazione e le nuove tecnologie. Il 64% ritiene, infatti, necessario compiere un passo in avanti e adottare le nuove tecnologie in grado di ridurre l’impatto sugli ecosistemi e rendere più efficiente e produttivo l’utilizzo delle risorse. Poco più di un terzo (il 35%) crede, invece, che occorra fermare la crescita, ridurre i consumi e lo sfruttamento delle risorse, ripensare tutto e tornare al passato.

L’attitudine ad innovare viene vista più come una dote innata che un’attitudine acquisita nel tempo. Le caratteristiche personali che corrispondono alla predisposizione ad innovare sono la creatività (lo pensa il 48,4%), l’intuito (31%), la curiosità (30,1%), la disponibilità a rischiare (19,9%), l’intelligenza superiore alla media (18,6%), addirittura l’attitudine alla disobbidienza (14,7%). Al contrario, le doti acquisite, sviluppate con l’impegno e il lavoro, passano in secondo piano: l’istruzione universitaria (9,7%), l’esperienza (12,6%), le conoscenze informatiche (9,9%).

Per quanto concerne i protagonisti dell’innovazione in Italia, le opinioni (38,6%) sembrano convergere sulle piccole e medie imprese, capaci di sperimentare e di adattare la propria attività al contesto in evoluzione. Debole, invece, è il ruolo di stimolo che viene riconosciuto ai soggetti di governo (12,8%) e agli investitori (14,5%). Il quadro è completamente diverso quando si raccolgono le opinioni su quello che avviene nel mondo, dove vengono ritenute importanti le università e i centri di eccellenza (49,4%), le grandi aziende (49,5%), i venture capitalist che scommettono sulle nuove imprese (32,5%) e i governi che creano le condizioni favorevoli all’innovazione (36,2%).

Solo benefici dalle innovazioni o anche nuovi problemi?

Gli italiani che pensano che le innovazioni abbiano portato esclusivamente benefici sono pochi: solo il 14,2%. La maggior parte (57,9%) pensa, infatti, che ci siano stati molti benefici, ma anche qualche problema. I più critici ritengono che l’innovazione abbia portato più problemi che benefici (7,3%). Nei singoli ambiti di applicazione si rilevano importanti differenziazioni. Le scoperte nel campo dell’ingegneria genetica sono valutate positivamente nelle loro concrete applicazioni in campo medico dall’87,2% degli italiani, ma negativamente quando riferite all’agricoltura e alla controversa questione degli Ogm (solo il 40,3% di pareri positivi).

Inoltre il 57,1% degli italiani ritiene che, nel nostro Paese, le innovazioni abbiano contribuito ad ampliare i divari sociali. Guardando alle tecnologie digitali, non è un mistero che il Digital Divide alimenti di fatto due mercati dei beni e dei servizi: uno tradizionale, con costi di accesso più elevati, e uno innovativo, con costi più contenuti e opportunità maggiori. Lo stesso vale per il rapporto tra i processi innovativi e le opportunità di lavoro. Anche in questo caso una quota importante di italiani (il 39,8%, e il dato sale al 50,7% tra le persone meno istruite) si mostra molto critica ritenendo che l’automazione sostituirà sempre di più il lavoro umano. Il 31,6% pensa invece che si stiano aprendo scenari occupazionali in ambiti nuovi e fino ad ora inesplorati, mentre il 28,5% ritiene che il numero delle opportunità rimarrà identico: quello che cambierà è il tipo di lavoro.

Al momento i lavoratori che hanno tratto vantaggi dalle innovazioni degli ultimi vent’anni sono individuati soprattutto tra gli imprenditori, che hanno visto aumentare i profitti: lo pensa il 38,5%; seguono i manager, che hanno ottenuto ingaggi migliori (23,6%).

C’è da dire che tutti gli obiettivi contenuti nell’Agenda Digitale trovano larga condivisione tra gli italiani, che nel 90% dei casi li ritengono fondamentali o comunque importanti. Su questo tema si gioca gran parte della credibilità dell’azione di governo in relazione al supporto all’innovazione. Supporto che, fino a questo momento, viene giudicato dai cittadini largamente insufficiente e inferiore a quello garantito negli altri Paesi europei.

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