Mi succede spesso di parlare con imprenditori che non condividono la mia posizione riguardo al ruolo dei dati. Le aziende lavorano con i dati da sempre, mi dicono. Sono abituate a manipolarli, a valutarli e a farli pesare il giusto nelle decisioni. Quindi, prosegue il ragionamento, non ha senso pretendere di trovarsi di fronte a un cambiamento epocale, si può procedere per aggiustamenti progressivi come si è sempre fatto. Questa è la posizione di chi vuole un’azienda data-informed: i dati ci sono, vengono raccolti, analizzati, discussi, valutati e poi si prende una decisione.
Verrebbe da rispondere “benvenuti nel secolo scorso”, ma sarebbe sminuire il problema, che è la patologica resistenza del nostro tessuto imprenditoriale al cambiamento.
Quindi fingiamo che nelle nostre aziende le decisioni siano da sempre basate sui dati (anziché, per esempio sull’intuito o sull’abitudine) e veniamo a cosa distinge il data-driven dal data-informed.
- se, al verificarsi di certe condizioni, ci si riunisce per decidere, l’azienda è data-informed
- se il verificarsi di certe condizioni avvia determinate azioni, l’azienda è data-driven.
Dove sta la differenza? Sta nel fatto che in un’azienda data-driven esiste una strategia, ossia, tutte le decisioni su cosa fare di fronte a un certo evento sono già state prese. Questo permette all’azienda di reagire immediatamente al cambiamento, e allo stesso tempo permette ai livelli decisionali di concentrarsi sulla visione d’insieme, svincolandoli dai dettagli del quotidiano.
Prima che qualcuno abbia dei dubbi, questo non significa che i livelli decisionali non abbiano il polso della situazione: significa solo che ciò che può venire deciso in anticipo, lo è. Non è necessario ritornare ogni volta sugli stessi argomenti.
Facciamo un esempio terra-terra: diciamo che a magazzino l’articolo X comincia a scarseggiare. In un’azienda data-informed l’imminente rottura delle scorte viene segnalata, qualcuno valuta il da farsi, magari in una riunione, e si prende la decisione di riapprovvigionare. In un’azienda data-driven, il livello minimo di scorta è fissato a priori, e nel momento in cui la quantità dell’articolo X raggiunge la soglia, il sistema di gestione invia automaticamente un ordine di riapprovvigionamento a uno o più fornitori, basandosi su tutti i parametri necessari: stagionalità, deperibilità, tempi di consegna, affidabilità dei fornitori, eccetera.
La grande differenza sta nel fatto che in un’azienda data-driven le decisioni che riguardano il funzionamento normale dell’azienda vengono prese in anticipo e rivedute periodicamente. Detto in altre parole, la routine non ha bisogno di decisioni. E questo è esattamente il punto, perché prendere meno decisioni significa:
- meno potere discrezionale (e quindi meno potere in generale)
- siccome ogni decisione non è più un caso a sé, diventa necessario valutare secondo criteri oggettivi che valgano in generale
- i criteri oggettivi possono essere discussi per il tempo necessarrio, senza la spada di damocle di una decisione incombente
- la tradizione (che è il nome di marketing dell’abitudine) non rappresenta necessariamente un valore
- l’intuito come strumento di decisione viene limitato, come è giusto, ai soli casi di emergenza
- l’emergenza stessa non è più la condizione normale dell’azienda e non rappresenta più la modalità normale di gestione.
Ci sono anche altre conseguenze sull’organizzazione:
- una immediata riduzione dei livelli decisionali
- una maggiore autonomia dei livelli operativi
- una spinta a una maggiore qualità delle decisioni a ogni livello
- più peso ai risultati che ogni decisore porta, meno alle sue capacità politiche.
Personalmente, già l’ultimo punto da solo dovrebbe bastare a garantire il supporto entusiasta al data-driven di chiunque si trovi a giudare un’azienda. Il vero freno al data-driven non è tecnologico ma umano, perché il data-driven va a incidere sui tre fattori che distolgono energie dalle esigenze dell’azienda, e sui quali si sono costruite fin troppe carriere: l’abitudine, il territorio e il potere.
Il data-driven permette di ridimensionare pesantemente questi fattori e di riportare le gestione dell’azienda sul terreno dei fattori oggettivi. Siamo pronti?
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