La notizia è apparsa sui media nazionali come la svolta epocale, il punto di non ritorno nel cammino dell’italica nazione verso l’innovazione politica e tecnologica: il prossimo 22 ottobre, quando il corpo elettorale lombardo verrà chiamato ad esprimersi con un referendum sulla volontà di chiedere allo Stato maggiore autonomia regionale, lo farà utilizzando per la prima volta nella storia d’Italia il voto elettronico. Sembra bello. Anzi, bellissimo. E invece no.
Le ragioni delle perplessità sono più d’una, e di diversa natura.
La risposta prima della domanda
Per quanto riguarda gli aspetti politici, il referendum lombardo del 22 ottobre è un referendum consultivo. Quindi per sua natura il risultato, qualunque esso sia, non imporrà alle istituzioni regionali nessun vincolo. Si tratta di uno strumento per chiedere l’opinione della popolazione. Nella fattispecie viene chiesto ai lombardi se vogliono che la Regione Lombardia “intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia […]”. L’esito appare scontato: quale regione non vorrebbe maggiore autonomia (che significa in sostanza maggiori risorse da spendere)? Ma da Roma hanno già risposto, prima ancora che gli venisse chiesto, che sono disponibili a parlarne. Una domanda di cui si conosce già la risposta è sostanzialmente inutile. O no?
Milano come il Venezuela
Veniamo agli aspetti tecnici, cominciando con la questione del voto elettronico. L’idea dell’utilizzo di strumenti tecnologici per facilitare e velocizzare le operazioni di voto non è affatto nuova, e ancora oggi non tutti i dubbi legati alle questioni di sicurezza e trasparenza delle operazioni di voto sono da considerarsi definitivamente risolti. Ma evidentemente a Palazzo Lombardia hanno pensato che per un semplice referendum consultivo valga la pena provare.
La gara d’appalto (GECA 25/2015) è stata vinta da SmartMatic, azienda olandese specializzata in materia. Tra le storie di successo raccontate sul suo sito web, quella più simile a quella lombarda ci sembra essere quella legata al voto elettronico usato in Venezuela nel 2015. Alla luce dei recenti accadimenti abbiamo ragione di credere che dopo questa notizia più di un lombardo abbia la fronte imperlata di sudore, e non per il caldo.
Trasformeranno le loro (costose) VM in (economici) tablet
Veniamo agli aspetti economici. Gli 1,6 milioni di euro finora spesi tra manifesti e spot informativi sono briciole: infatti il sistema per dotare di 24.000 Voting Machines (VM) i circa 3mila seggi lombardi costerà alla Regione circa 23 milioni di euro. Ma non pensate subito male: non significa brutalmente circa mille euro per ogni VM; dentro quel bando c’è anche lo sviluppo di software dalle caratteristiche molto stringenti, il supporto tecnico in loco (almeno un tecnico per ogni seggio), la memorizzazione ridondante dei dati, la formazione del personale, la riconfigurazione delle macchine dopo il voto (cancellazione definitiva e irreversibile dei dati di voto), i consumabili (carta per la stampa dei voti nei seggi di controllo) eccetera eccetera. Roba che costa, e molto.
Ma il presidente Maroni ha già fatto sapere che non ci dobbiamo preoccupare, perché dopo il voto “i tablet saranno poi lasciati in comodato d’uso alle scuole sedi dei seggi”.
Invece ci siamo preoccupati, e molto: tra le dotazioni hardware di SmartMatic non abbiamo visto nessuna VM che assomigli molto a un tablet, né potrebbe, dato che si richiede espressamente che abbia “una scocca in materiale indeformabile, anti urto ed anti manomissione che racchiuda totalmente il dispositivo e renda accessibile dall’elettore solamente il touch screen per la votazione”. Al massimo possiamo immaginare che le costose macchine abbiano la possibilità di essere smontate per separare un tablet – ammesso che dentro ce ne sia uno – dalla scocca; e i chiarimenti, che su questo aspetto chiariscono ben poco, non hanno contribuito affatto a diminuire il nostro livello di preoccupazione.
L’idea che si spendano 23 milioni di euro pubblici per fare una domanda inutile usando – come in Venezuela – uno strumento tecnologico che non sappiamo se potrà poi davvero servire in qualche aula scolastica come auspicato dal presidente Maroni, ci preoccupa, eccome.
Facebook Comments