Ponti, torri, vele e lo strano caso della libertà di panorama

Uno spettro si aggira per l’Europa, e per fortuna questa volta è un po’ meno odioso di quello proverbiale. La scomparsa del diritto di panorama. Per diritto di panorama significa l’aspettativa che molti – lo confesso, me compreso – hanno, di poter fare fotografie a un panorama senza doversi preoccupare di violare il copyright di qualcuno. Purtroppo, con riforme, riformicchie e interpretazioni estremistiche, questo diritto è stato via via eroso negli anni fino a diventare una vero problema per chi raccoglie fotografie scattate da ignari contributori del tutto benintenzionati.

Consci della follia di questa pretesa di controllare fotografie ed altre riprese che non fanno altro che immortalare beni esposti al pubblico e che occupano ben visibili i nostri panorami, con la riforma del copyright in discussione al Parlamento Europeo si è tentato – lo svelo subito, inutilmente – di introdurre un principio secondo cui se mi metti davanti un bene coperto da copyright (un palazzo, un ponte, un qualsiasi manufatto che occupa la vista), io ho comunque diritto di utilizzare come voglio le mie riprese che incidentalmente comprendono quell’oggetto, senza che queste subiscano le interferenze delle opere riprese.

Le opere di architettura sono protette dal copyright. Ad esse la legge sul diritto d’autore riserva una menzione speciale e speciali diritti morali:

Art. 2

In particolare sono comprese nella protezione:

[…] 5) i disegni e le opere dell’architettura;

E ancora, l’articolo 20 si occupa del diritto morale dell’architetto:

Tuttavia nelle opere dell’architettura l’autore non può opporsi alle modificazioni che si rendessero necessarie nel corso della realizzazione. Del pari non potrà opporsi a quelle altre modificazioni che si rendesse necessario apportare all’opera già realizzata. Però, se all’opera sia riconosciuto dalla competente autorità statale importante carattere artistico, spetteranno all’autore lo studio e l’attuazione di tali modificazioni.

Il fatto che i disegni e le opere architettoniche siano soggette al copyright, fa sì evidentemente che non solo i disegni non possano essere duplicati, ma non possono essere duplicate neppure le opere rappresentate da tali disegni. Ci si chiede tuttavia se la riproduzione di un’opera architettonica comprenda anche la fissazione su strumenti che ne riproducono l’immagine, non l’opera in sé. Ma è così?

Ancora, l’art. 92 ci parla del diritto connesso della fotografia e menziona le opere architettoniche.

Per fotografie riproducenti opere dell’arte figurativa e architettonica o aventi carattere tecnico o scientifico, o di spiccato valore artistico il termine di durata è quaranta anni, a condizione che sia effettuato il deposito dell’opera a termini dell’art. 105.

Ma il fatto di avere un diritto su un’opera fotografica nulla ci dice sul fatto che ciò che viene riprodotto sia soggetto a copyright. Il diritto previsto dall’art. 92 si applica a qualsiasi fotografia. Anche di un fungo. Infatti, l’art. 87 ci dice cosa è fotografia soggetta al diritto esclusivo di riproduzione, diffusione e spaccio:

Sono considerate fotografie, ai fini dell’applicazione delle disposizioni di questo capo, le immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale e sociale, ottenute col processo fotografico o con processo analogo, comprese le riproduzioni di opere dell’arte figurativa e i fotogrammi delle pellicole cinematografiche.

Tuttavia si può argomentare dall’art. 13 che la fotografia di un’opera architettonica sia in realtà una riproduzione riservata all’autore, che infatti ricade tra i diritti esclusivi conferiti (anche) all’autore dell’opera architettonica:

Art. 13.

  1. Il diritto esclusivo di riprodurre ha per oggetto la moltiplicazione in copie diretta o indiretta, temporanea o permanente, in tutto o in parte dell’opera, in qualunque modo o forma, come la copiatura a mano, la stampa, la litografia, l’incisione, la fotografia, la fonografia, la cinematografia ed ogni altro procedimento di riproduzione.

“La moltiplicazione in copie diretta o indiretta”. Ciò vuol dire che l’opera deve consistere ancora nella sua riproduzione, perché altrimenti non avremmo una “moltiplicazione”. Ad esempio, se eseguo una fotografia di una rappresentazione teatrale, potrò avere come interferenza i diritti della scenografia (se esistenti) o del ritratto, ma non certo quelli dell’autore della pièce. Allora potremmo avere una “trasformazione” o un’“elaborazione”, parimenti previsti come diritto esclusivo. Purtroppo la norma non è molto chiara, in quanto afferma che il diritto di elaborazione comprende anche… il diritto di elaborazione, oltre a quello di traduzione e di trasformazione, ma è una tautologia che non ci porta molto lontano.

Si può ritenere che l’elaborazione sia qualcosa che contiene ancora alcuni elementi creativi dell’opera originale, pur adattati in altra forma espressiva. Ad esempio la riduzione teatrale di un’opera letteraria, o il diritto di riprodurre in opera cinematografica un’opera teatrale. L’art. 4 rende il tutto sufficientemente chiaro. Riconosciamo che non vi è dubbio che se riprendo un’opera architettonica particolare (per esempio, i ponti di Calatrava a Reggio Emilia), la mia fotografia riproduce sicuramente elementi creativi dell’opera architettonica, sia dei disegni, sia dell’opera stessa.

Pertanto, almeno in teoria, una fotografia che riproduce un’opera architettonica è una elaborazione dell’opera architettonica e la sua realizzazione ricade nei diritti esclusivi del titolare dei diritti economici relativi. Questo in punto di puro diritto positivo letteralmente interpretato.

Un po’ di analisi economica

Dovrebbe, tuttavia essere protetta questa forma di riproduzione di un’opera architettonica? O non dovrebbe essere considerato il fatto che essa è esposta alla pubblica visione e in parte la sua riproduzione è inevitabile?

Un’opera artistica solitamente viene riprodotta su un mezzo di elezione: disegno, fotografia, cinematografia, libro, registrazione fonografica, quadro, statua, modellino, eccetera. Per usufruirne debbo munirmi di quel mezzo, andare in un museo, frequentare un teatro, e così via. Un’opera architettonica, invece, sfrutta uno spazio pubblico e si impone, letteralmente, alla visione pubblica, volenti o non volenti. Sfrutta un bene pubblico, lo spazio visivo. Appunto il panorama. Io posso decidere se vedere o non vedere un film, leggere o non leggere un libro, in certa misura tapparmi le orecchie per certa musica orribile che viene trasmessa alla radio. Ma non posso facilmente esimermi di vedere il ponte di Calatrava se passo dalla A1 in entrambe le direzioni (soprattutto se guido).

In secondo luogo, lo sfruttamento della attività creativa dell’architetto non consiste nello sfruttamento del mezzo espressivo immediato in sé (il disegno, il progetto), ma nell’opera, intesa come edificio, monumento o altro. Solo per alcune opere vi può essere un interesse minimamente rilevante e autonomo alla loro riproduzione, gli esempi sono limitati. Ma ciò non esaurisce il numero di opere protette, perché non è il pregio estetico a determinare la protezione, ma la sua originalità. Anche le Vele di Scampia, per intenderci, sono opera architettonica protetta. Anche certi orrori che architetti e geometri ingiustamente strappati alla più nobile attività agricola piazzano con la complicità di involontari mecenati in giro per il nostro martoriato Paese.

Come ho altrove argomentato l’attribuzione di diritti economici esclusivi per le opere creative, come per tutti i diritti di privativa, si traduce in un monopolio limitato e giustificato dalla remunerazione dell’attività creativa, al fine di avere una maggiore e migliore produzione artistica e scientifica. Il tutto bilanciato dall’esiguità del sacrificio per la collettività, con il complemento dei liberi usi, che controbilanciano questo monopolio. Ci si interroga se la pretesa di sfruttamento delle opere architettoniche pubblicamente esposte e imposte sia giustificata alla luce delle esternalità negative che crea.

Un’esternalità è l’obiettiva incertezza sulla sussistenza e titolarità dei diritti. Un’altra esternalità è il fatto che la ripresa di scene cinematografiche in vari luoghi possa essere involontariamente lesiva di diritti, e la necessità di soddisfare tutti i potenziali titolari di diritti comporti uno sforzo di indagine eccessivo rispetto al valore dell’opera riprodotta (delle varie opere) e sia un freno alla produzione artistica che le norme del diritto d’autore dovrebbero promuovere. Ciò soprattutto in assenza di un soggetto collettore che in altri campi, come quello musicale, si fa da interlocutore unico per i soggetti rappresentati. Tali esternalità per diritti la cui presenza o assenza non si oppongono affatto nello sfruttamento normale dell’opera creativa, che è infatti diretta alla creazione di opere architettoniche uniche, non alla loro riproduzione.

Tanto è vero che la stessa Direttiva 2001/29/CE, la quale detta regole uniformi per il copyright nei paesi europei, prevede la possibilità ‒ ma solo opzionale ‒ che le opere architettoniche pubbliche non siano soggette a copyrigt, art. 5.3 (eccezioni e limitazioni):

  1. quando si utilizzino opere, quali opere di architettura o di scultura, realizzate per essere collocate stabilmente in luoghi pubblici;

Ma appunto la nostra legge non ha previsto tale limitazione.

L’articolo 71 nonies ci soccorre in questa lettura, anche se non si applica al caso in esame (si tratta in realtà di un principio generale che dà una giustificazione economica a tutte le eccezioni e limitazioni dei diritti):

  1. Le eccezioni e limitazioni disciplinate dal presente capo e da ogni altra disposizione della presente legge, quando sono applicate ad opere o ad altri materiali protetti messi a disposizione del pubblico in modo che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelto individualmente, non devono essere in contrasto con lo sfruttamento normale delle opere o degli altri materiali, ne arrecare un ingiustificato pregiudizio agli interessi dei titolari [enfasi aggiunta]

Sulla Tour Eiffel, a più di settant’anni dalla morte dell’autore

La Tour Eiffel viene citata spesso come un caso paradossale. La sua immagine è ormai caduta in pubblico dominio, per decorso del termine. Tuttavia non è detto che possiate fare un qualsiasi panorama di Parigi (e come far capire che è Parigi se non usando l’iconica torre?). Se lo fate di notte, la combinazione di luci che la illuminano viene considerata un’opera creativa e la Città vi potrebbe chiedere ragione di ciò.

Non illudetevi, non è un’eccezione. Anche in Italia non ci facciamo mancare casi in cui si cerca di proteggere opere il cui autore è addirittura scomparso prima dell’entrata in vigore di una qualsiasi legge sul diritto d’autore (e che quindi difficilmente potrebbe essere stato incentivato alla sua creazione dall’aspettativa di goderne i frutti). Ma di questo parleremo nella prossima puntata.

Conclusioni

Il diritto di panorama è compromesso dall’incertezza dei diritti di manufatti che vengono imposti alla nostra vista e sono inevitabili. Certo, ci sono casi in cui la ricerca di quel particolare elemento è intenzionale, ma non è questo il punto. Il punto è che per tutelare (dubbi) incentivi accordati a poche archistar, si introduce una severa limitazione alla creazione di altre opere creative, per consumo privato o pubblico non importa. E messi di fronte a queste incongruenze ci si rifiuta di apportare una limitazione che contemperi i diritti dei pochi casi meritevoli di tutela con quelli della generalità della popolazione. Purtroppo è un tratto comune di questa lunga stagione di ipertrofia protezionistica della cosiddetta “proprietà intellettuale”.

Ciò è sbagliato, e lo si capisce se, come sostengo in questi miei scritti, i diritti di privativa sui beni immateriali debbano essere valutati sempre secondo principi di analisi economica e giustificati in
base agli incentivi che forniscono.

 

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