POP content tra citazioni, anatre e galline

Alzi la mano chi non ha mai corredato con una citazione o un aforisma il proprio profilo social. No, non mi riferisco solo alle starlette della Tv seminude su Instagram e alle didascalie a commento delle proprie pose provocatorie e audaci, ma a quei riquadri che inneggiano a una saggezza di altri tempi, facendo mostra di una sempre maggiore necessità di auto motivazione.

Voglio portare questa tendenza, tutta pop e mainstream, tra queste righe per ragionare insieme di contenuti, galline e anatre.

Le anatre

«Fate come le anatre, che da fuori sembrano ferme, ma sott’acqua pedalano come pazze» (M. Caine)

Mi sono sempre state simpatiche le anatre, sin dai tempi di Paperino e Duffy Duck, per capirci. Ho sempre provato una certa empatia con il brutto anatroccolo della favola di Andersen e, ancora di più, ho nutrito la convinzione che le parole di Caine fotografassero l’essere, al di là di ogni apparenza. La mia filosofia di vita mi ha sempre suggerito di agire come un’anatra, negli studi, nel lavoro, in ogni cosa. «Fatti, non storytelling!» come direbbe in modo epurato un comico di Zelig.

Fino a un certo punto, però.

Mi occupo di contenuti da troppo tempo per incentivare l’attitudine a incasellarsi in un cantuccio, sperando che qualcuno prima o poi si accorga di quel valore costruito in anni e anni di sudatissime carte.

Scrivere ottimi contenuti e non avere lettori è frustrante, tuttavia avere molti lettori e scrivere mediocrità è deleterio.

E se è sacrosanto che non si può ragionare di content senza conoscere e vivere ciò che vi è contessuto (il contesto), non si può nemmeno dimenticare che se si cela in un mite silenzio ogni creazione, nessuno potrà apprezzarla o beneficiarne.

«Le anatre depongono le loro uova in silenzio. Le galline invece schiamazzano come impazzite. Qual è la conseguenza? Tutto il mondo mangia uova di gallina», diceva Henry Ford.

Se non si fa rumore, se non si distribuisce in modo opportuno quello che si vuole comunicare al mondo, si resta raggomitolati nella propria cieca convinzione che, prima o poi (succederà, forse, prima o poi) qualcuno srotolerà la matassa e ci libererà dalla paura.

Quella paura che forse è solo timidezza, poca convinzione delle proprie capacità o magari scudo delle proprie manie di perfezionismo che vivono borderline tra la snobbistica avversione delle “galline” starnazzanti e la volontà di non volersi mischiare e confondere con la massa, con quell’essere pop poco erudito e spesso sciatto.

Gallina o anatra?

Ma è meglio fare come le anatre o comportarsi da galline, quando si parla di contenuti? Sicuramente bisogna lavorare per non diventare il pollo dell’aia digitale, preda delle fake news e del common sense che spesso devia di più dei lavori in corso in autostrada.

Riflettendoci su, dalle anatre possiamo imparare 2 arti:

  1. L’arte del fare per sé, a prescindere da quello che altri possono percepire e vedere all’esterno. Il dover/voler raccontare, sempre o comunque, in alcuni casi diventa narrazione effimera che, come nelle storie di Instagram, si esaurisce nell’arco di una giornata.
  1. L’arte della dignità, ovvero l’apparire placide e “sorridenti” anche se sott’acqua stanno muovendo le zampe palmate all’impazzata. In alcuni casi, questo mindset (non vedevo l’ora di inserire la buzzword del momento) è strategico perché impedisce ai concorrenti di capire cosa stai facendo, pensando o progettando.

Le uova di anatra sono meno “nazional popolari”, certo, ma gli intenditori sanno riconoscerle e ricercarle, e tra di loro si passano parola. Il fatto di non essere dati in pasto a tutti per qualcuno è solo una gran benedizione, e poi la popolarità bisogna saperla gestire, nel bene e – ancor di più – nel male.

Dalle galline, invece, possiamo augurarci di accogliere l’ignoranza, come direbbe un romagnolo, una veracità ruspante e quasi ingenua che non si pone troppi limiti, che osa e ha coraggio di mostrare agli altri quello che fa, anche se quello che produce è semplice, poco “elevato” o, per certi aspetti, “già sentito e già visto”.
Non dimentichiamoci che l’additare, con il naso stropicciato, la cultura pop è sovente l’immagine di un’anatra che non riesce a far scivolare l’acqua dell’invidia lungo le proprie piume.

La nicchia è POP

Che poi, pensandoci bene, questa cosa delle nicchie è più POP di un quadro di Andy Warhol, specie se si opera nel mondo digitale. I guru del marketing invitano a segmentare, profilare, restringere il campo, trovare la propria cerchia, il proprio gruppo, la propria community che, se nutrita a dovere, come le galline e le anatre, cresce e si allarga fino a diventare un fenomeno più che popolare. Vuoi vedere che le nicchie diventano più pop del folclore della tradizione?

Mentre ci crucciamo sull’arte del fare dell’anatra e quella del pubblicizzare della gallina, da qualche parte, sui social, qualcuno starà pubblicando l’ennesima frase celebre. Io non voglio essere da meno e ti lascio con le parole di Lev Tolstoj, augurandomi di non fare la fine dell’anatra sciocca o del pollo:

«Una notte, un’anitra sciocca nuotava nel fiume a caccia di pesci.
Vide la luna riflessa nell’acqua, la scambiò per un pesce e cercò di prenderla. Le altre anitre risero di lei. Da quel giorno l’anitra sciocca ebbe paura di sbagliare e non prese più pesci. Cosi morì di fame»

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Stratega del content marketing, appassionata di customer experience e co-fondatrice di Simmat, da oltre 15 anni scrive per la carta e il web. Comunicazione e marketing digitale sono materia degli eventi e dei corsi ai quali partecipa come speaker e docente in giro per l’Italia. Ambasciatrice del karma marketing, il content di valore è il suo credo, l’experience design la sua metodologia e l’ironia lo strumento per rendere usabile e comprensibile a tutti il mondo dei bit. Giada è membro dell’Internet Marketing Association, consigliere di Assintel Umbria e di Terziario Donna Umbria. E' autrice del libro "Customer Experience: fai marketing di valore nell’era dell’esperienza". Conduce il podcast Buzzword: https://www.spreaker.com/show/buzzword

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