Questa volta la polemica è divampata in fretta: scoppiata per via di una foto pubblicata sui quotidiani, esacerbata dalla discussione online e (forse?) risolta dai diretti interessati, il tutto nel giro di una giornata.
Protagonisti di questa domenica di fuoco, l’acqua Uliveto da una parte e il cosiddetto “popolo del web” dall’altra, con in mezzo le atlete della Nazionale femminile di pallavolo, reduci dalla medaglia d’argento ai Mondiali appena tenutisi in Giappone.
Le cose sono andate così: domenica 21 ottobre su diversi quotidiani italiani è apparsa una pubblicità a tutta pagina firmata Uliveto, che celebra le pallavoliste azzurre e il loro secondo posto ai Mondiali di pallavolo femminile. Come sappiamo, la squadra italiana ha perso in finale contro la Serbia, salendo sul secondo gradino del podio ma appassionando gli italiani con un torneo particolarmente avvincente.
La pubblicità di Uliveto, sponsor ufficiale della Nazionale di pallavolo, è questa:
In molti non hanno potuto fare a meno di far notare come la bottiglia dell’acqua Uliveto vada a “coprire” Miriam Sylla e Paola Egonu, le due schiacciatrici protagoniste della spedizione azzurra. Nota per chi non seguisse la pallavolo femminile e fosse rimasto nella famosa stanza imbottita nelle ultime due settimane: Sylla ed Egonu, nate e cresciute in Italia da genitori di origini ivoriane l’una e nigeriane l’altra, sono due atlete italiane di colore.
In realtà, si scoprirà poi che la foto scelta da Uliveto una è foto non relativa ai Mondiali ma più vecchia, che fa riferimento a una partita in cui Miriam Sylla non era presente: a essere coperte dalla bottiglia sono quindi, effettivamente, Paola Egonu e Serena Ortolani, altra atleta della rosa azzurra.
Ma la polemica è servita su un piatto d’argento e non può non essere cavalcata: la foto rimbalza dalle pagine centrali dei quotidiani direttamente su Twitter, dove scoppia la discussione e si accusa Uliveto di aver volontariamente coperto le due atlete a causa del colore della loro pelle.
Insomma, le accuse sono pesanti e Uliveto si affretta a spiegare che la foto in questione è appunto una vecchia foto d’archivio passatagli dalla Federazione, che non c’era nessun intento di “censurare” le due atlete di colore – una delle quali non era nemmeno effettivamente presente nello scatto – e che l’immagine era stata scelta perché vi compariva anche il tricolore.
A sostegno della sua posizione, l’azienda pubblica una nota sulla sua pagina Facebook:
La faccenda, però, non finisce qui e la discussione sul web prende una piega piuttosto interessante: mentre le spiegazioni dell’azienda rimangono quasi sullo sfondo, a smontare l’ipotesi di un intento doloso da parte di Uliveto sono gli utenti stessi. In particolare Gipi – al secolo Gian Alfonso Pacinotti, regista, fumettista e illustratore – dà vita sul proprio profilo Twitter a una conversazione piuttosto animata che parte da una sua osservazione sul funzionamento della “macchina pubblicitaria” di un brand famoso a livello nazionale:
Oltretutto, Gipi è tra coloro che fanno presente che soltanto un paio di giorni prima, in seguito alla vittoria in semifinale contro la Cina, Uliveto aveva pubblicato un’altra foto commemorativa sui quotidiani italiani, uno scatto dove erano presenti e “visibili” tutte le ragazze della squadra:
Alla fine, in molti sono arrivati alla stessa conclusione: la pubblicità di Uliveto non è razzista, è “soltanto” brutta, pressapochista e trascurata, forse realizzata in fretta e furia da un grafico che non aveva tempo di trovare una foto migliore, o così poco interessato alla pallavolo da non sapere che Paola Egonu è stata una delle protagoniste indiscusse del Mondiale e che magari non era il caso di piazzare con Photoshop una bottiglia proprio addosso a lei o ancora talmente inesperto da non rendersi conto che coprire le persone in una foto è “brutto” a prescindere.
Certo, questo non solleva Uliveto dalle proprie responsabilità, se non nei confronti delle atlete che sponsorizza, almeno nei confronti di se stessa: una comunicazione fatta “male”, senza cura e attenzione, mette a repentaglio l’immagine del brand in ogni momento. Ne è un esempio proprio Uliveto, che per via di un lavoro approssimativo ora si trova a dover fronteggiare l’accusa di razzismo in un momento già di per sé delicatissimo e molto, molto caldo.
Una parola, però, va spesa anche per i “complottisti” e per quanti hanno subito puntato il dito accusando Uliveto di averlo fatto apposta. È quasi commovente sapere che “il grande pubblico” sia ancora così convinto che la comunicazione pubblicitaria sia sempre tutta studiata a tavolino, con uno squadrone di creativi, tecnici e psicologi pronti a farcire i contenuti di messaggi subliminali e di significati nascosti, discutendo su ogni dettaglio per giorni, se non addirittura per settimane. La verità è molto meno avvincente e – purtroppo – anche molto più simile al pungente siparietto immaginato da Gipi: a causa del ritmo incessante con cui si sviluppano le conversazioni sul web e nel tentativo di cavalcare sempre e a ogni costo l’unicorno della viralità, sempre più spesso si lavora male. Si lavora di fretta, senza avere il tempo di ragionare su quello che si sta facendo e di verificare che il proprio operato sia efficace e ben strutturato, sia in termini di ritorno d’immagine per il brand che in senso assoluto.
Ovviamente in questo caso si potrebbe obiettare che la pubblicità di Uliveto non era un caso di instant marketing, e che chi doveva produrre l’immagine ha sicuramente avuto un certo margine di tempo per pianificare, realizzare e vagliare la grafica prima di darla alle stampe. Impossibile non accorgersi di quanto fosse sciatta quell’immagine e così tanto “sbagliata” sia dal punto di vista grafico che da quello comunicativo: ma fatto che un errore così grossolano si sia comunque verificato non è altro che la riprova di come la logica del pubblica-quello-che-hai-basta-che-fai-in-fretta stia cominciando a caratterizzare anche altri ambiti al di fuori del web, tradizionalmente esenti da quel carattere di immediatezza che, invece, distingue la Rete.
Ed è così che il caso di Uliveto ci regala un epicfail triplo: il primo, da parte di Uliveto stessa, per essersi andata a ficcare in un gran brutto pasticcio a causa di una pubblicità fatta male, il secondo da parte del cosiddetto “popolo del web”, sempre più pronto a gridare “al lupo” per accendere la polemica e sempre meno capace di guardare in modo oggettivo i contenuti che gli si presentano sotto il naso; e il terzo da parte della comunicazione tout court, che sempre più spesso manca completamente i propri obiettivi e finisce per generare conversazioni sterili, se non addirittura per fornire il pretesto per facili strumentalizzazioni.
Lesson Learned: Nemmeno la comunicazione apparentemente più innocua ti mette al riparo da una potenziale crisi di immagine. Soprattutto se stai lavorando male (e lo sai).
Facebook Comments