“Un ecosistema, in natura, è un ambiente nel quale gli organismi viventi interagiscono in un determinato ambiente costituendo un sistema autosufficiente e in equilibrio dinamico. Un ecosistema che si evolve e si adatta al variare dell’ambiente che lo ospita, co-determinandone le variazioni” – afferma Stefano Epifani, presidente del Digital Transformation Institute. “Lo stesso possiamo dire per un ecosistema per l’innovazione, tuttavia – rispetto al suo equivalente biologico – vale la pena di fare due piccole ma sostanziali distinzioni: in primo luogo gli ecosistemi per l’innovazione sono tutt’altro che “autosufficienti” nel senso più stretto del termine. Vivono anzi di continui collegamenti con il mondo che li circonda, ed anzi da questi dipende una parte importante del loro successo. In secondo luogo mentre negli ecosistemi biologici l’equilibrio dinamico è di tipo adattivo – ossia si adatta al variare del contesto per ricreare una condizione di stabilità, in quelli sociali ed economici orientati all’innovazione è di tipo generativo, ossia non si limita ad un processo di adattamento ma promuove il cambiamento funzionale ad un miglioramento delle condizioni del sistema stesso. Per far questo servono ovviamente una serie di ingredienti di base: presenza diffusa di infrastrutture (di connessione, ma non solo) che consentano ai nodi della rete (perché ogni ecosistema per l’innovazione è un ecosistema di rete) di essere in contatto, finanziamenti costanti per la ricerca di base ed applicata, capacità di sviluppare processi di trasferimento tra il mondo della ricerca e quello dell’impresa, presenza di competenze che spazino dalla dimensione tecnica a quella umanistica, standard condivisi e riconosciuti che abilitino i processi interni all’ecosistema ed esterni ad esso (nessun ecosistema è isolato da ciò che lo circonda), sinergia tra i diversi stakeholder che lo costituiscono, consapevolezza diffusa delle potenzialità dell’innovazione, capacità di collaborare. Insomma: una ricetta complessa, ma della quale oggi non si può fare a meno”.
Un framework per migliorare i progetti di smart city
Dopo aver parlato diffusamente della importante esperienza “nostrana” E015, si può (e si deve) gettare uno sguardo fuori dai confini nazionali per comprendere come si stanno muovendo altri territori. E a questo scopo è utile consultare il lavoro portato avanti dal NIST, National Institute of Standards and Tecnology, nella definizione di uno strumento, quale il Framework Smart City, utile a individuare temi e criteri di confronto nella progettazione di smart city.
Questo con l’obiettivo di abbattere le principali barriere che limitano lo sviluppo di città davvero intelligenti, ovvero la realizzazione di sistemi non interoperabili e scalabili, l’uso di formati non standard e i diversi standard architetturali su cui si sta investendo (come ISO / IEC JTC1, IEC, IEEE, ITU) non ancora convergenti.
Oltre al lavoro di analisi descrittiva, è disponibile un foglio di calcolo comparativo che mette a raffronto 6 importanti ecosistemi su cui si sono sviluppati modelli di smart city virtuosi per vedere i punti comuni (Pivotal Points of Interoperability) e i margini di miglioramento per ciascuno.
Quali le esperienze selezionate da guardare con attenzione?
Il framework, insieme a E015, presenta altri 5 casi di successo:
- oneM2M, un progetto coreano sperimentato nelle smart city di Busan, Goyang e Daegu
- FIWARE, piattaforma europea di “generic eneabler” per la costruzione di Smart City application gestita da Fiware Foundation
- CVRIA, adottata da USDOT, il dipartimento dei trasporti americano, per la gestione del traffico e delle infrastrutture viarie
- OpenIoT, progetto open source europeo incentrato sullo scambio e gestione dei dati provenienti da Internet delle cose
- AWS, Amazon Web Services, adottato dal Dipartimento dei trasporti della città di New York, da Singagore e Kansas City.
Prospettive per il futuro?
“Occorre riflettere sull’esigenza di definire un modello “italiano” degli Ecosistemi per l’innovazione, partendo dai comportamenti che i diversi attori di un ecosistema devono tenere” – afferma Emanuele Spampinato, vicepresidente Assintel. “Se osserviamo alcuni esempi europei di ecosistemi, uno su tutti Barcellona, ci possiamo rendere conto come le infrastrutture “sociali” abilitanti sono indispensabili perché si possa attivare quel circuito virtuoso basato sul “give-first”, ossia prima di tutto investire una parte del proprio valore nell’ecosistema puntando ad un ritorno a lungo termine. E’ il primo attore che deve muoversi è il pubblico che, anche in partnership con le grandi imprese, può mettere a disposizione o favorire la rigenerazione di spazi urbani per ospitare i luoghi dove animare gli ecosistemi. Milano, oggi considerata la città più innovativa del paese, ospita circa 20 spazi di co-working, contro gli oltre 100 di Barcellona che da anni persegue una strategia pubblica di insediamento e diffusione degli spazi innovativi. Partire dagli spazi e da iniziative in cui pubblico e privato mettano a disposizione asset materiali abilitanti e palinsesti attrattivi di animazione, cercando di diffondere cultura di condivisione dell’innovazione, può essere la strada per la creazione di Ecosistemi “autentici”, in cui start-up e pmi-innovative possano essere realmente attratti nel condividere il proprio talento. Ecosistemi in cui il valore condiviso sta anche nella generazione di opportunità di business, di progetti di ricerca e sviluppo che sostengano lo sviluppo di tutti i partecipanti, dove grandi imprese e pubblico si pongano l’obiettivo di accompagnare e far crescere le piccole imprese investendo risorse tangibili, senza imporre condizioni di “esclusività”. Un modello inclusivo e autentico, che superi gli attuali limiti delle iniziative, a dir vero poche, presenti nel nostro paese legate ad alcune grandi imprese, che spesso si rivelano essere esclusivamente iniziative di brand reputation”.
Ecosistemi opportunità per le imprese?
“In un mondo sempre più fluido e privo di barriere, la condivisione e collaborazione fra diversi player diventano fattori chiave di successo” – afferma Emiliano Verga, esperto di Ecosistemi Digitali presso Cefriel. “Gli scenari Smart City sono soltanto alcuni dei possibili utilizzi di valore degli Ecosistemi Digitali. Gli Ecosistemi Digitali rappresentano oggi (e rappresenteranno sempre di più in futuro) il principale campo da gioco per la competitività delle imprese. Le aziende possono cogliere l’opportunità di acquisire i meccanismi tipici degli Ecosistemi Digitali per essere proattive. In altre parole, le imprese possono trarre beneficio, diventando sempre più loro stesse degli Ecosistemi Digitali: maggiore sarà la digitalizzazione e l’organizzazione interna a Ecosistema, maggiore potrà essere il potenziale competitivo espresso sul mercato”.
Un ecosistema, in natura, è un ambiente nel quale gli organismi viventi interagiscono in un determinato ambiente costituendo un sistema autosufficiente e in equilibrio dinamico. Un ecosistema che si evolve e si adatta al variare dell’ambiente che lo ospita, co-determinandone le variazioni
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