Obsolescenza programmata o obbligata?

Multe da 5 e 10 milioni quelle che di recente l’Antitrust ha inflitto a due tra i maggiori produttori di smartphone, Apple e Samsung, per aver attuato pratiche commerciali scorrette in relazione al rilascio di software che ha portato gli utenti ad accelerare la sostituzione dei propri device. Non è citato il termine “obsolescenza programmata” ma tutto porta a pensare a quest’ultima: lo spingere un utente a installare nuovo software che possa rallentare uno smartphone è praticamente un po’ come programmare volontariamente la rottura di un elettrodomestico a un tempo x.

Del resto, la velocità che contraddistingue l’evolversi della tecnologia sembra portare a scelte obbligate, per cui di obsolescenza programmata non si parla più. “L’importante è che l’utente sia informato e consapevole”.

Giancarlo Trapanese, scrittore e caporedattore del TgR Rai Umbria, proprio per portare a riflettere sul meccanismo perverso dell’obsolescenza e del nostro modello di economia, ha pubblicato di recente “Obsolescente”, un romanzo il cui protagonista è un esperto programmatore di “morte annunciata” degli oggetti.

Per scrivere una storia che sia il più verosimile possibile, lei si è confrontato con esperti di obsolescenza. Che idea si è fatto a riguardo? Qual è il punto di equilibrio (se ce n’è uno) tra necessità delle aziende di incentivare consumi e bisogno di tutela del consumatore? E soprattutto, il consumatore ritiene che senta ancora il bisogno di essere tutelato?

Il protagonista immaginario ( ma forse non tanto) del libro, l’ingegner Inna ha dedicato una vita all’obsolescenza programmata, divenendone il più grande esperto mondiale. Nelle sue considerazioni c’è anche il senso della risposta alla domanda sul punto di equilibrio. In un mercato che ha scelto la strada del consumismo assoluto, figlio dell’abbandono agricolo degli anni ‘50-60 , dell’urbanizzazione e dell’acquisto di massa, questo equilibrio è un punto difficile da trovare. La risposta all’interrogativo che diventa esistenziale per chi ha dedicato la vita a “far in modo che si rompa” è in fondo una excusatio “intima”: la natura non fa lo stesso? Per evitare la sovrappopolazione non programma la morte delle cellule? Che altro è l’invecchiamento umano se non una obsolescenza programmata?

Un sociologo tempo fa rimarcava la necessità di educazione alla complessità per ragazzi e adulti in questo mondo caratterizzato da una sempre più veloce obsolescenza (non solo degli oggetti). Quale immagina possa essere un “antidoto” o un correttivo al poco controllabile consumismo tecnologico?

Probabilmente solo la riflessione, il rallentare i ritmi di questa vita usa e getta potrebbe, se non porre un freno, tornare a dare sostanza all’approccio dei giovani alla bellezza, all’apprezzamento della “fatica per”. Il massimo risultato con il minimo sforzo è il totem di quest’epoca poco attenta alla qualità che resta, alla filosofia di fondo e molto più attenta al risultato finale, a quella che sembra essere la sostanza ma che spesso appare in realtà un imbroglio. Un esempio per tutti: i quiz televisivi una volta erano riservati a quelli “bravi” , capaci di ricordare cose inimmaginabili per molti. Domande impossibili che appassionavano perché ammiravamo gli Inardi o la signora Longari, che sapevano tutto. Oggi il quiz è in genere a quattro risposte suggerite, possibilmente semplici, in modo che lo spettatore abbia la possibilità di sentirsi in grado di “centrare” la risposta giusta magari anche a caso. Massimo risultato, appunto, con il minimo sforzo. La filosofia dei tempi moderni.

Quale potrebbe essere il ruolo della stampa e dell’informazione e della stampa nell’aiutare i consumatori a non essere “vittime” di acquisti pilotati da profilazione, obsolescenza (programmata e non), tendenze sui social?

La stampa in un mondo che non legge (soprattutto in Italia) e non ha tempo sopravvive a stento in una crisi esistenziale profonda: da una parte non è ancora riuscita a reinventarsi nell’epoca dell’overdose di informazione tramite altri mezzi, dall’altra sopravvive aggrappata a vecchi schemi grazie alla pubblicità. E chi fa la pubblicità è proprio, nella stragrande maggioranza dei casi, quell’industria che ha nel DNA l’obsolescenza programmata. Difficile attendersi una forte spinta verso la presa di coscienza collettiva dalla stampa tradizionale, ivi comprese le televisioni.

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