La storia la conosciamo tutti, visto che è finita sui principali quotidiani nazionali ed è stato uno degli argomenti più caldi della settimana: Zalando, noto store online di abbigliamento che spedisce abiti e accessori un po’ in tutta Europa, ha pubblicato su Facebook un post per pubblicizzare l’arrivo della nuova collezione di intimo firmato Calvin Klein.
Un post “normale”, come ce ne sono a centinaia sulla pagina Facebook di Zalando: qualche foto per mostrare il prodotto, un lancio catchy, il link diretto al sito dove si può acquistare il prodotto in pochi click. Un post come tanti alti, dunque, ma che ha scatenato un piccolo terremoto:
Inspiegabilmente, il post è stato preso d’assalto da decine di commenti contro le modelle curvy scelte per indossare slip e top della maison statunitense. “Inspiegabilmente” perché, essendo quella pubblicizzata una collezione dedicata alle taglie dalla XL in su, sarebbe stato strano vedere nelle foto le classiche modelle taglia 36 che invece compaiono nel resto del catalogo. Evidentemente, però, qualche utente frettoloso deve aver pensato che la scelta delle modelle curvy volesse essere una sorta di dichiarazione d’intenti da parte di Zalando, uno schierarsi dalla parte delle “donne normali”, nell’ormai noto dibattito sugli irreali canoni di bellezza femminile propinati dalle passerelle di mezzo mondo.
Insomma, nei commenti al post di Zalando improvvisamente si scatena l’inferno: piovono insulti alle modelle, accusate di essere “brutte” e “ciccione”; arrivano insulti a Zalando, accusato di promuovere un modello estetico “poco sano” e “non salutare”; compaiono insulti a chi insulta. Commenti pesanti, che arrivano dagli uomini, ma anche da parecchie donne: il tutto condito con una finezza e una grazia espressiva tipiche della più classica rissa da saloon.
Così i social media manager di Zalando intervengono, cominciando a oscurare i commenti offensivi e pubblicando a propria volta un commento perentorio riassumibile in “va bene la libertà di espressione, ma le offese gratuite anche no”:
Al di là della questione più strettamente etica e discostandosi un attimo dal tema della questione (siamo tutti d’accordo che ci vuole coraggio a definire “brutte” o anche “obese” le modelle delle foto e che la violenza verbale gratuita è una cosa avvilente e odiosa), da un punto di vista comunicativo e di social media management, Zalando ha gestito la faccenda in modo impeccabile. Per almeno tre motivi:
1. La scelta di oscurare i commenti non è “censura”, ma una precisa azione di community management. I social media manager di Zalando – a quanto pare più di uno, e che si firmano alla fine di ogni messaggio – intervengono nella discussione, nascondendo i post più offensivi. Nascondere, non cancellare. Si utilizza quella funzione di Facebook che permette all’amministratore della pagina di nascondere un commento nel thread: il che significa che quel commento resta visibile a chi l’ha scritto e ai suoi contatti, ma non viene visualizzato agli altri utenti che visitano il post. Un’azione che, in questo caso, Zalando notifica personalmente all’autore del commento, e pure con un certo garbo:
Zalando non vuole certo passare per “quello che cancella i commenti”, ma non esita a utilizzare legittimamente il “cartellino rosso” davanti a un commento non accettabile. Il messaggio in cui si avvisa l’utente del commento oscurato, però, ha una doppia funzione: da una parte è un modo per “bacchettare” chi esagera ma, dall’altra, funge anche da “segnale” per dimostrare la propria presenza nella conversazione: un modo per dimostrare che Zalando sta monitorando costantemente la situazione, a salvaguardia degli altri utenti ma anche di se stesso. Sappiamo tutti che non c’è niente di peggio di un brand assente in una conversazione finita a scatafascio, così come sappiamo tutti che mettersi a polemizzare con gli utenti non è mai una mossa saggia. Zalando non si butta nella mischia e non cede alle provocazioni. Però c’è. E lavora senza sosta per evitare che la situazione precipiti ulteriormente.
2. I commenti oscurati non sono commenti “utili”. Si dice spesso che la cosa peggiore che un social media manager possa fare sia quella di mettersi a cancellare i commenti negativi o di “tappare la bocca” agli utenti che esprimono un’opinione. Beh, non è il caso di Zalando. I commenti negativi che sono arrivati al post sull’intimo Calvin Klein non servivano a “denunciare” un comportamento scorretto da parte del brand o a far notare un’incongruenza nella costruzione della campagna. Il post di Zalando non ha niente che non va: pubblicizza una linea di intimo in “taglie comode”, come si può facilmente leggere sul catalogo, cliccando sul link. Se Zalando avesse scelto delle modelle taglia 36 per pubblicizzare una collezione “curvy” allora sì che ci sarebbe stato qualcosa per cui arrabbiarsi (l’ha fatto Zara un paio d’anni fa, ed è venuto giù l’Internet), e se Zalando avesse cancellato quei commenti sarebbe stato in torto marcio. Ma non è questo il caso, e i commenti che sono arrivati al post di Zalando erano offese belle e buone, di nessun valore per nessuno. Cosa che ci porta al punto 3.
3. Una pagina piena di violenza verbale è avvilente per la comunità e lesiva per il brand. Nessuno vorrebbe mai vedere il proprio brand buttato in mezzo a una conversazione presa d’assalto da bulli e da leoni da tastiera della peggior specie: oltre che a essere un momento triste per la Rete in generale è anche rischioso per l’immagine del brand che, se non interviene in modo netto e preciso, rischia di essere indelebilmente associato a quello specifico episodio negativo. Del resto Zalando lo dice chiaro e tondo: “rispettiamo le opinioni di tutti, ma non accettiamo che la nostra pagina diventi un luogo per diffondere messaggi di odio”:
E no, non si tratta di “pluralità di idee”, come scrive qualcuno: gli insulti gratuiti non interessano a nessuno, tantomeno a un’azienda che vende abbigliamento per tutte le tasche e che quindi non può permettersi di inimicarsi una fetta di pubblico, ma che anzi deve tenersi stretta la più vasta clientela possibile. Ed è per questo che Zalando non si limita a riportare l’ordine nella conversazione: una volta eliminati i commenti peggiori, è il momento di un compito ancora più arduo, ristabilire un sentiment positivo sul proprio brand. Così, se da una parte i social media manager di Zalando oscurano i commenti più cattivi, dall’altra si prendono cura del proprio pubblico, mostrandosi concilianti ma fermi, pacifici e tolleranti…
… fino ad arrivare a vezzeggiare gli utenti con piccoli messaggi di apprezzamento:
Il tutto per tornare a far sentire “a casa” i clienti abituali e per mostrare un’immagine positiva a chi, sulla pagina di Zalando, magari ci era capitato per la prima volta, forse proprio sull’onda della polemica. Sarebbe stato “brutto” se, in tutto il thread, gli unici commenti di Zalando fossero quelli sull’oscuramento dei commenti: qualcuno avrebbe potuto sentirsi a disagio, percepire un clima di eccessiva tensione e rigidità da parte dell’azienda, e decidere che quello non era una posto adatto a lui. L’obiettivo, invece, è comportarsi in modo da far capire a tutti che sì, in questo momento stiamo risolvendo un problemino, ma siamo simpatici e vogliamo bene a tutti.
Inutile dire che si è trattato di un lavoro non indifferente per il team social di Zalando, che ha monitorato una quantità enorme di commenti e ha interagito in modo costante e attento. Un lavoro che però ha dato i suoi frutti: quello di Zalando è senza dubbio uno dei migliori casi di gestione di una crisi sui social media da molto tempo a questa parte.
Lesson Learned: Anche quando sei nel bel mezzo di una crisi e stai arginando i “nemici”, non dimenticarti di prenderti cura anche degli “amici”.
Immagine di copertina DennisM2, Flickr, pubblico dominio
Bellissimo esempio di come gestire una community con una policy aziendale che blocchi l’aggressività che spesso si crea dietro uno schermo.