Percezioni e aspettative sull’Intelligenza Artificiale

Intelligenza artificiale è un concetto complesso e oscuro per la grande maggioranza dei politici, dei giornalisti, degli imprenditori e, soprattutto, dei cittadini/consumatori: non è qualcosa di tangibile o di cui si fa diretta esperienza. Le strategie commerciali – ed anche scientifiche – tendono a occultare qualsiasi aspetto di trasparenza quando si progetta un punto di contatto con sistemi basati su AI, perché è giustamente considerato un valore aggiunto evitare la consapevolezza che si sta attraversando una soglia e che il dialogo – o l’azione su uno stato del mondo esterno – è presidiato da agenti “non umani”.

Ovviamente non arriviamo a questa fase del tutto impreparati: abbiamo avuto un paio di decenni in cui siamo entrati in confidenza con le tecnologie digitali, abbiamo imparato a “addomesticare” (una espressione cara agli studiosi di tecnologie della comunicazione, coniato da Roger Silverstone) i device personali, a considerarli indossabili e a utilizzarli come un sorta di porta di entrata “virtuale” a molte esperienze del mondo fisico (trovare una strada, verificare le informazioni su un oggetto, ecc.). La confidenza che progressivamente abbiamo acquisito è correlata alla funzionalità dei servizi e alla rispondenza a bisogni percepiti come centrali ma soprattutto alla progressiva configurazione “naturale” dell’interazione mediata dalle interfacce: poter usare le dita o un comando vocale sicuramente ha abbassato di molto la soglia di accesso e ha contribuito a attenuare il disagio che altrimenti si avvertirebbe nel dialogo con un motore di ricerca (la prima soglia di IA con cui si entra in contatto) o nell’accettare suggerimenti che vengono da “sistemi esperti” (questa mattina nel mio caso: ricordati di uscire all’ora x perché altrimenti perdi il treno che hai prenotato – lo so dalle tue mail e dal tuo calendario: ma questo non te lo dico).

Esploratori di una linea di confine

Dunque, possiamo essere considerati tutti esploratori di una linea di confine, presidiata per ora da wearable media personali: i nostri assistenti di fiducia nell’“osservare” e “manipolare” le informazioni che “aumentano” l’esperienza di realtà in cui siamo immersi senza soluzione di continuità. La linea di confine è disegnata – in senso quasi letterale – dalle interfacce: la zona di tensione tra il corpo dell’uomo e la “macchina” che tratta informazione; tra la struttura della mente (e i suoi desideri) e le infinite risorse della “luce virtuale” (è il titolo di un famoso romanzo di Gibson) che può avvolgere qualsiasi oggetto o persona. Dipende solo dalle interfacce la concreta possibilità di attualizzare le potenzialità di accesso e manipolazione dell’informazione in una forma compatibile con la dimensione umana e il contesto tecnologico e sociale in cui si vive. Ma poiché si tratta pur sempre di «interfacce culturali» (Manovich 2001- 2015), che consentono di manipolare informazioni, simboli o interi sistemi culturali e mediali, la linea di confine (come d’altro canto è ampiamente prevedibile) si trasforma in una zona di tensione.

AI e retail

I dati raccolti dalla ricerca “Retail Transformation: il senso di una rivoluzione di senso” ci aiutano a studiare la soglia evolutiva a cui siamo pervenuti, il livello di accettabilità culturale e sociale delle interfacce attualmente disponibili (e utilizzate), il livello di trasparenza più opportuno per questa specifica modalità di “accoppiamento strutturale” – termine caro alla teoria dei sistemi autopoietici (Varela, Luhmann) – tra la mente e il corpo dell’uomo e le nuove potenzialità che l’intelligenza artificiale espone attraverso i diversi dispositivi di interfacciamento.

«Attraverso accoppiamenti strutturali un sistema può essere raccordato a sistemi altamente complessi dell’ambiente, senza che esso debba raggiungere o ricostruire la loro complessità. La complessità di questi sistemi dell’ambiente resta intrasparente per il sistema» (Luhmann, De Giorgi, Teoria della società, FrancoAngeli, Milano 1992, p. 35).

Nel lessico della teoria dei sistemi, i dispositivi di interfacciamento attualizzano le possibilità di dialogo trasformando “irritazione” e “disturbo” (noise) che provengono da input esterni in risorse percepite come utilizzabili e manipolabili per i momentanei scopi del sistema e, soprattutto, per perpetuare una comunicazione funzionale e task oriented tra sistema (individuale) e ambiente.

Intelligenze Artificiali e consumatori: quale rapporto?

Questa lunga premessa serve per descrivere sul piano più astratto e metaforico quanto sta avvenendo sulla linea di confine storicamente e fattualmente disegnata dall’accettabilità funzionale e sociale delle interfacce che puntano a risorse (sistemi/servizi) di AI. L’atteggiamento di base è complessivamente molto positivo e aperto: “fiducia”, “sorpresa”, “attesa” sono prevalenti nella sfera delle emozioni e doppiano quasi sul piano numerico una visione che vede il prevalere dell’”ansia”. Nella proiezione verso il futuro, le conseguenze stimate “positivamente” rispetto all’impatto delle tecnologie innovative e/o che prevedono il ricorso all’AI, raggiungono addirittura l’80% del totale.

Le paure riemergono in quella sfera spesso indistinta e magmatica in cui la dimensione umanoide dell’Intelligenza Artificiale, impersonata e incorporata (anche negli immaginari condivisi) da automi e robot, sembra candidata a sostituirsi, anche in modo non del tutto trasparente, alla relazione tra: “l’idea che un giorno non riusciremo più a distinguere le persone reali dai robot mi terrorizza” (42% degli intervistati, con picchi sulle persone più anziane e meno competenti rispetto alle tecnologie digitali). Chiamati a rispondere sul significato dell’espressione Intelligenza Artificiale, i consumatori hanno dato diverse definizioni quali “Computer che ragionano, ovvero il cervello dei Robot”, “Abilità di un sistema tecnologico di risolvere problemi analizzando dati”. “Processi elettronici in grado di simulare il ragionamento umano”; oppure “Una intelligenza certamente superiore alla nostra. Uno strumento con cui elimineremo le emozioni”. Tra le parole più utilizzate dagli intervistati capacità, umana, robot, macchine e computer. In questi stilemi si riverbera una visione spesso molto lontana dalle applicazioni in cui l’AI è coinvolta, più ancorata a immaginari cinematografici o di science fiction un po’ datata.

La dichiarazione di disagio rispetto ad interfacce che assumano tratti umanoidi non pone tanto in questione la dimensione emozionale dell’interazione tra uomo e “macchina”: il 68% dei consumatori intervistati ritengono importante che le macchine possano rilevare le emozioni delle persone che hanno di fronte. La soglia di confine da non varcare è però molto netta e esprime una decisa inclinazione a favore di interfacce in linguaggio naturale ma che non “simulino” necessariamente l’umano in quanto configurazione tecnologica dotata di una specifica proiezione corporea: il 26% degli intervistati ritiene che l’interazione più importante tra le persone e i sistemi dotati di Intelligenza Artificiale oggi sia auditiva, ovvero la possibilità di conversare con una voce e, con stessa percentuale, visiva, ovvero riferita al dialogo attraverso una video chiamata con una figura virtuale. Per contro, percentuali molto più basse si riscontrano rispetto alla possibilità di interagire con avatar (12%) e robot/androidi (9%).

AI ed esperienze di acquisto

La parte della ricerca dedicata all’analisi dell’accettabilità di interfacce utente basate su sistemi di intelligenza artificiale nel corso dell’esperienza di acquisto, sia online che nei punti di vendita fisici, conferma che il disorientamento delle persone di fronte a una tecnologia non conosciuta tende a attenuarsi quando si colloca l’interazione (il dialogo con l’automa) in una specifica esperienza d’uso, comprensibile e finalizzata. La maggioranza dei consumatori (55%) si dichiara molto o abbastanza disponibile a conversare con un assistente virtuale, dotato di AI, pronto a fornire consigli personalizzati rispetto alle esigenze del cliente; solo il 14% degli intervistati rifiuta infatti del tutto l’idea di avere un dialogo con un “commesso virtuale”.

I consumatori sono straordinariamente capaci di definire le esperienze di acquisto in cui i sistemi basati sull’Intelligenza Artificiale possono sostituirsi all’umano e in quali aree invece l’intelligenza e la sensibilità delle relazioni con persone fisiche si dimostra insostituibile. E non operano a livello percettivo alcuna particolare differenza tra contesti in cui l’acquisto è gestito online o avviene in un negozio fisico. Il dialogo con l’AI conquista la maggioranza relativa dei consumatori rispetto a esperienze di acquisto in cui si possono “evitare situazioni imbarazzanti” oppure si ha l’obiettivo di ottenere un “prezzo migliore” o l’applicazione di uno “sconto” sul prezzo d’acquisto. I consumatori tendono invece a preferire la consulenza umana quando si prendono in considerazione motivazioni non di tipo strumentale ma di qualità dell’esperienza: gli umani possono assicurare una “migliore comprensione dei bisogni” e hanno la “capacità di rendere piacevole l’esperienza di acquisto”. Nella vasta “zona ibrida”, in cui le aspettative non sono decisamente polarizzate in un senso o nell’altro, prevalgono altre fasi dell’esperienza di acquisto in cui si è più task oriented: ottenere risposte “precise” e “adeguate” rispetto alla domanda; individuare il prodotto/servizio più adatto al consumatore. E’ ragionevole prevedere che in tutte queste aree la confidenza rispetto al dialogo con i sistemi basati su AI sia destinata rapidamente a crescere, soprattutto se le aziende mostreranno rispetto per il consumatore su una richiesta pressoché unanime: quasi tutti sono d’accordo (87%) nel chiedere la massima trasparenza da parte delle aziende quando ricorrono a una interazione con un’assistente virtuale.

Infine, sono ancora molto contrastanti le opinioni rispetto ad un settore come quello della guida autonoma, che sta raccogliendo un quantità massiccia di investimenti da parte dei maggiori player del mercato automotive e high-tech. La quota parte della popolazione che esprime maggiore attenzione e fiducia nei confronti di innovazioni tecnologiche, anche disruptive rispetto agli stili di vita consolidati, è destinata a trasformarsi nel nucleo degli early adopters dei sistemi di AI applicati ai diversi settori. Anche in questo caso, la sfida dell’accettabilità (la linea di confine) si gioca sul piano delle interfacce on board dei veicoli e sulla loro capacità di inserirsi in modo naturale ed efficace nelle abitudini di guida consolidate.

Il quadro d’insieme che la ricerca propone è decisamente fuori linea rispetto alla retorica imperante, soprattutto nei media e in alcuni settori del mondo politico e imprenditoriale, che considera i consumatori e le imprese italiane come arretrati e poco disponibili all’innovazione, concentrati esclusivamente sulla tutela della privacy e inguaribilmente affezionati alle “interfacce umane”. La spinta del commercio elettronico negli ultimi anni e la differente consapevolezza con cui i consumatori operano in tutte le fasi del processo d’acquisto, attraverso il ricorso ai touch point online nelle fasi di formazione degli obiettivi e di valutazione comparata di opportunità e prezzi, sta producendo in parallelo un assuefazione e una maggiore confidenza rispetto ai sistemi basati su AI. Se è evidente che questa fiducia per ora accoglie una maggioranza di cittadini giovani, istruiti e già competenti sul piano delle opportunità del mondo digitale, è altrettanto chiaro che tutti i processi di diffusione dell’innovazione si poggiano su questa tipologia di consumatori e che per conquistare la grande (e “attardata”) maggioranza si dovrà investire molto sulla semplicità e la naturalezza delle interfacce, insieme alla trasparenza sulle modalità di dialogo con sistemi automatizzati.

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