Smart Meter, tecnologie applicate all’automazione domestica, app per l’assistenza nella raccolta differenziata e molto altro ancora. La trasformazione digitale mette oggi a disposizione importanti strumenti per contribuire all’obiettivo comune della salvaguardia dell’ambiente, che si parli di ottimizzazione dei consumi – domestici e non solo – o di una migliore gestione dei rifiuti. Per questo motivo, comprendere il punto di vista in merito dei cittadini, i principali artefici del cambiamento, è un obiettivo di cruciale importanza.
Ed è proprio questo l’obiettivo che la Fondazione per la Sostenibilità Digitale si è posta con la sua nuova ricerca Sustainable Energy & Environment (qui il link per scaricare la ricerca completa), seconda “tappa” – dopo quella, lo scorso maggio, nel settore del Retail – del percorso di ricerca sviluppato nel 2023 nell’ambito del proprio Osservatorio, presentata ieri pomeriggio nel corso di un evento online moderato da Barbara Gasperini, giornalista e autrice di Green&Blue.
Il rapporto è basato sul DiSI City, l’indice sviluppato dalla Fondazione in collaborazione con l’Istituto di Studi Politici “S. Pio V” per misurare il livello di sostenibilità digitale dei cittadini delle 14 Città Metropolitane italiane. I risultati, presentati e commentati, durante il webinar, da numerosi esponenti del settore energetico nella tavola rotonda guidata da Luciano Guglielmi, Direttore del Comitato di Indirizzo della Fondazione, hanno quindi mostrato le opinioni e i comportamenti dei cittadini rispetto ai principali strumenti e servizi digitali disponibili in quest’ambito, e la loro percezione rispetto al potenziale della tecnologia come strumento di risposta alle sfide della sostenibilità ambientale.
Un potenziale senz’altro importante, in particolare in un settore come quello energetico. Un settore che, per sua natura, intercetta fortemente la sostenibilità in ogni sua accezione, e che oramai vede nel digitale un potente elemento trasformativo. A sottolinearlo è stato Roberto Serra, Partner Energy & Utilities di BIP, nel suo keynote speech che ha preceduto la tavola rotonda: “Il settore Energy è, da un lato, assolutamente centrale per tutti i temi della sostenibilità, non soltanto ambientale ma in ogni sua declinazione, e dall’altro è stato investito dall’ondata del digitale, attraverso uno svariato numero di tecnologie che insistono sulla value chain in maniera pervasiva e spesso combinata, dall’Intelligenza Artificiale all’Internet of Things e molte altre ancora. In questo settore, quello tra digitale e sostenibilità è un legame inscindibile: le tecnologie rappresentano infatti abilitatori essenziali nella prospettiva di una transizione energetica che sia realmente sostenibile, più inclusiva e giusta”.
I cittadini italiani non conoscono il reale impatto del digitale
Il digitale è uno dei migliori strumenti che abbiamo a disposizione per gestire le complesse sfide poste dalla sostenibilità. Ma ciò non significa che non abbia esso stesso un impatto sull’ambiente, che non può certo essere trascurato: un impatto che però, come mostrato dai dati della ricerca, viene ancora sottostimato da più di un quarto dei cittadini italiani. “Ancora oggi, una parte significativa dei cittadini italiani sottostima il digitale”, ha commentato Stefano Epifani, Presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale, “e parliamo del 27% della popolazione, un dato che è cresciuto di sei punti percentuali rispetto alle rilevazioni dello scorso anno, quando a sottostimare l’impatto dei servizi digitali era circa un italiano su cinque. Si tratta comunque di un dato preoccupante, che mette in evidenza quanto sia urgente, da parte delle Istituzioni, formare adeguatamente i cittadini per fornire loro i giusti strumenti tecnologici e, in parallelo, culturali. È una sfida che le istituzioni stanno perdendo, sia in termini di commitment reale che di visione strategica”.
Ancora più significativo osservare che, a domanda specifica, è soltanto il 4% degli italiani a stimare in modo corretto a quanto effettivamente ammonti il consumo dei servizi digitali di uso quotidiano – come ad esempio lo streaming – contro un restante 96% che ha, invece, la percezione di un impatto energetico del digitale più basso o – nel 2% dei casi – più alto di quanto non sia nella realtà: dunque, nonostante un’ampia quota della popolazione comprenda che il digitale ha un proprio impatto, la maggior parte di essi non è pienamente consapevole di quanto questo sia forte. E il fatto che tale mancanza non sia correlata né al livello di sostenibilità né al livello di competenza digitale rilevato nei cittadini, rende evidente la necessità di lavorare allo sviluppo di una consapevolezza diffusa sul tema, per minimizzare gli impatti negativi di un errato utilizzo di questi strumenti.
“La consapevolezza di chi usa il digitale è il punto centrale della questione”, ha commentato Fabrizio Locchetta, CIO di Siram Veolia. “Oggi molte persone, soprattutto i più giovani, fanno un uso smodato della tecnologia senza comprendere realmente i rischi del proprio comportamento. Non si può e non si deve fermare il vento con le mani, perché impedire l’uso del digitale sarebbe anche peggio: per questo è fondamentale intervenire sulla formazione, e lavorare nell’ottica di un’alfabetizzazione digitale. Questo è il motivo per cui, come Siram Veolia, siamo entrati nella Fondazione per la Sostenibilità Digitale, fare sistema per cercare di portare tutti a un livello minimo di consapevolezza per rendere il pianeta e la nostra vita più sostenibile per le generazioni future”.
L’importanza di una cultura della Sostenibilità Digitale
Guardando, invece, alle opinioni dei cittadini italiani circa il potenziale positivo dei nuovi strumenti, dai risultati della ricerca emerge come per quasi un quarto degli intervistati (22%) la tecnologia digitale non sia utile nell’ottica di una migliore gestione della raccolta dei rifiuti, e per la stessa percentuale gli Smart Meter – contatori intelligenti – non sono in grado di abilitare una significativa ottimizzazione dei consumi energetici. È, invece, poco meno di un cittadino italiano su cinque (19%) a ritenere che le tecnologie applicate all’automazione domestica – Smart Home – non siano utili a migliorare i consumi, generando impatti positivi sull’ambiente.
Alla luce di questi dati, appare evidente la necessità di accompagnare all’acquisizione – fondamentale – di consapevolezza circa il reale impatto del digitale anche una comprensione dei molteplici benefici che tale strumento può offrire nella direzione della salvaguardia dell’ambiente. Un tema, questo, rimarcato con forza da Carlo Bozzoli, Global Chief Information Officer di Enel Group, nel suo intervento nella tavola rotonda, in cui ha sottolineato l’importanza di competenze digitali diffuse per i cittadini. “Quella che emerge dai risultati della ricerca è la necessità di lavorare congiuntamente e a tutti i livelli per lo sviluppo di una cultura della Sostenibilità Digitale nel nostro Paese”, ha spiegato. “È fondamentale acquisire consapevolezza rispetto all’importanza di produrre e utilizzare il digitale in modo sostenibile, senza però dimenticare il suo ruolo abilitante per la transizione ecologica, ambientale, economica e sociale. Ma per far sì che il digitale possa esprimere tutte le sue potenzialità e contribuire in modo determinante alla transizione sostenibile occorre puntare sulla creazione di competenze digitali per tutti i cittadini, per far sì che ognuno si senta incluso in questo processo. La Sostenibilità Digitale, infatti, rappresenta un’opportunità non solo per contrastare il cambiamento climatico, ma anche come elemento di inclusione sociale, e strumento in grado di condurci verso una transizione che non lasci indietro nessuno”.
Gli italiani tra domotica e questioni di privacy
La possibilità di controllare, attraverso la tecnologia, elementi della casa come l’illuminazione o gli elettrodomestici non impatta solamente sui consumi, ma solleva anche importanti questioni di privacy che è importante esaminare. Ed è proprio sul tema della privacy in relazione alla domotica che i risultati della ricerca mostrano opinioni fortemente ambivalenti.
Da una parte, infatti, il 68% dei cittadini italiani dà la priorità alla privacy, ritenendo che il controllo da remoto sia potenzialmente in grado di rivelare i propri comportamenti. Allo stesso tempo, però, una percentuale analoga degli stessi concorda con l’utilità del servizio e, nonostante possa comunque rivelare i propri comportamenti, pongono in questo caso la privacy in secondo piano. Dunque, se a livello generale la privacy è in questo contesto un elemento importante per i cittadini, tale elemento perde spesso di importanza di fronte alla comodità del servizio.
“Si tratta dell’eterno dilemma tra il mantenere o cedere libertà per ottenere dei vantaggi, peraltro collettivi, che possono scaturire esclusivamente dalla conoscenza dei dati, e questo si vede dall’ambiguità delle risposte”, ha commentato Emanuele Spampinato, Presidente e Amministratore Delegato di EHT. “Occorre però far capire che la condivisione del dato, tutelata dalle normative vigenti, è un comportamento socialmente responsabile: la condivisione di informazioni riguardanti le abitudini d’uso di dispositivi che consumano energia o risorse, o dello stile di vita in diversi ambienti, siano essi ambienti domestici, ambienti interni o esterni, potrebbe consentire di indirizzare opportunamente le persone verso atteggiamenti che possano ottimizzare i consumi. Ma se per fare sistemi di supporto alle decisioni serve disporre di tanti dati, occorre intervenire dal punto di vista culturale rassicurando i cittadini che la condivisione del dato non determina di per sé una violazione della privacy, e che allo stesso tempo chi li condivide contribuisce allo sviluppo di soluzioni che possono condurre a comportamenti virtuosi e sostenibili”.
Le percentuali di accordo con entrambe le affermazioni risultano in crescita rispetto alla rilevazione realizzata dalla Fondazione nel 2022. L’incremento più elevato, tuttavia, si riscontra tra coloro che vedono la privacy come prioritaria (+8%): aumenta, quindi, la sensibilità dei cittadini rispetto a un elemento, come la privacy, senz’altro importante in tema di sostenibilità sociale.
Gli strumenti utilizzati dai cittadini italiani
Quanto all’uso degli strumenti disponibili in quest’ambito, la ricerca mostra risultati particolarmente significativi. Leggermente più diffuso l’utilizzo di quelli appartenenti strettamente all’ambito della domotica – come elettrodomestici intelligenti o connessi in rete, usati rispettivamente dal 26% e 24% degli intervistati, o le lampadine e/o prese intelligenti controllabili tramite assistenti vocali (23%) – meno quelli che, in questo contesto, consentirebbero ai cittadini di fare la differenza in ottica di sostenibilità ambientale. Per esempio, gli Smart Meter: strumento utilizzato solamente dal 14% degli italiani intervistati, di cui solamente il 5% dichiara di farne un utilizzo regolare.
Dato, quest’ultimo, che come sottolineato da Paola Osto, Head of Sustainability & ESG di Plenitude, ribadisce l’importanza di un’operazione culturale nel nostro Paese, che faccia comprendere l’utilità e il reale potenziale di questi strumenti. “Nell’uso di strumenti come gli Smart Meter da parte dei cittadini c’è senz’altro una curva d’apprendimento che è necessario tenere in considerazione: per questo motivo ritengo di fondamentale importanza la creazione e la diffusione di una cultura per un utilizzo corretto di questi strumenti, oltre che per un corretto ed efficiente utilizzo dell’energia in senso assoluto”.
E in questo percorso, in cui tutti gli attori coinvolti sono chiamati a dare il proprio contributo, la formazione avrà un ruolo imprescindibile: lo ha spiegato Marco Barra Caracciolo, CEO & Chairman di Bludigit, sottolineando come sia in primis la scuola il luogo fertile in cui far emergere una cultura della Sostenibilità Digitale. “Come già detto oggi in diversi contributi, l’argomento centrale è proprio la consapevolezza dei cittadini e, in questo senso, evidentemente non è più sufficiente tentare soltanto di comunicare. Occorre fare qualcosa in più: ci sono dei temi sui quali è giusto insistere, e cercare di coinvolgere tutta la popolazione. Dai dati della ricerca che sono stati presentati, si evidenzia chiaramente una generale distanza tra le opinioni e i comportamenti dei cittadini, e lo vediamo ad esempio dal livello d’uso di strumenti come gli Smart Meter. C’è quindi tanto lavoro da fare, e se in questo percorso ognuno di noi può dare il suo contributo, bisogna far capire che si deve partire dalla formazione, dalle scuole, spiegando cos’è il digitale e quali sono i suoi impatti, sia positivi che negativi, sulla sostenibilità”.
Tra gli altri strumenti, meno di un cittadino su quattro utilizza app per l’assistenza nella raccolta differenziata, mentre altre applicazioni utili, come quelle che controllano la qualità dell’acqua o dell’aria, sono usate rispettivamente solo dal 13% e 16% degli italiani, di cui – in entrambi i casi – solamente una quota residuale (4%) ne fa un uso regolare.
Tra gli aspetti più interessanti da osservare c’è che, per ognuno degli strumenti analizzati, la maggiore quota di fruitori si riscontra tra i cittadini più abituati all’uso del digitale. Si evidenzia, dunque, quanto le competenze digitali rappresentino il driver per l’adozione di comportamenti più sostenibili, più di quanto non lo sia il livello di sostenibilità dei cittadini.
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