Una delle hot keyword di questo momento storico è senz’altro sostenibilità. L’accentuato interesse verso i temi globali legati all’ambiente ci obbliga a valutare con attenzione le scelte da effettuare rispetto a qualsiasi ambito di decisione, sia esso professionale o personale.
L’obiettivo 12 di Agenda 2030 “Responsible production and consumption” è un buon punto di partenza per riflettere sulla sostenibilità dei progetti, non solo in termini di risultati ma anche di processi di gestione seguiti.
Da circa due anni questa rubrica propone una lettura divulgativa del Project Management, con l’obiettivo di mostrare come questa materia non debba rimanere confinata nelle sale meeting della multinazionale di turno o nei cantieri di qualche grande infrastruttura in costruzione, ma possa fornire degli spunti utili nel lavoro e nella vita. In accordo allo slogan che caratterizzò la prima puntata di questa serie, secondo cui “l’umanità si divide in due categorie: I Project Manager e coloro che ancora non sanno di esserlo”.
La sostenibilità è un attributo cruciale dello sviluppo e del cambiamento, di cui i progetti sono lo strumento principale di attuazione. Di sostenibilità si può parlare con diverse accezioni. Quella che proverò ad usare è legata al concetto di “efficienza”. I progetti efficienti sono quelli che “stanno in piedi” e contribuiscono a “far stare in piedi” lo scenario sistemico di riferimento in cui si realizzano.
Warm up
Partiamo da un’affermazione di tutta evidenza: tutto ciò che è sostenibile è anche efficiente, ma non tutto ciò che è efficiente è anche sostenibile. Un matematico direbbe che l’efficienza è condizione necessaria ma non sufficiente di sostenibilità.
Qual è la parte mancante che chiude il cerchio? Un’etica condivisa. Ciò che è sostenibile è al contempo sia efficiente che etico. Delocalizzare una produzione manifatturiera in un Paese in via di sviluppo impiegando manovalanza minorile sottopagata migliora l’efficienza economica del processo produttivo ma di certo non può essere considerata sostenibile, né localmente né, nel medio-lungo periodo, globalmente.
Possiamo allora riformulare meglio l’affermazione di prima: “qualsiasi soluzione che non violi principi etici condivisi, per essere sostenibile deve essere necessariamente anche efficiente”.
L’efficienza è legata a quanto in uno specifico processo sprechiamo o non utilizziamo. Di cosa? Della capacità di compiere lavoro e realizzare cose, cioè di energia. La buona notizia è che possiamo esprimerla in modo molto semplice.
La cattiva notizia è che in qualsiasi processo venga messa in gioco dell’energia (praticamente tutti quelli che conosciamo) una parte di questa andrà sempre irrimediabilmente perduta (è il secondo principio della termodinamica, bellezza). In altre parole, l’energia non utilizzata sarà sempre e comunque maggiore di zero. Come esempio, applicando la formula precedente, se in un processo consumi 100 unità di energia e ne dissipi 20 avrai un’efficienza pari a 1 – 20/100 = 1 – 0,2 = 0,8 (80%)
Perciò l’aumento della sostenibilità passa, al netto dei principi etici di cui sopra, dal guadagno di efficienza, ossia dalla diminuzione della quota parte di energia sprecata rispetto al totale.
In realtà, abbiamo quasi sempre a che fare con efficienza bassissime. La tabella seguente riporta, a titolo di curiosità, l’efficienza di alcuni processi di trasformazione in relazione all’energia totale che sarebbe possibile mettere in gioco.
Tornando al mondo dei progetti, possiamo dare una interpretazione manageriale di efficienza. Un progetto efficiente è quello che trasforma risorse e impegno (aka, energia) in unità di risultato minimizzando la quota di risorse e impegno non utilizzata.
In una puntata di qualche tempo fa descrissi per sommi capi un generico progetto dalla A alla Z, individuando le azioni e i processi principali coinvolti. Provo nuovamente a ripercorrere quel sentiero, cercando di individuare dove e quando durante il progetto dovresti porti un problema di efficienza e quindi di sostenibilità, dando per assodato il rispetto di principi etici e di responsabilità senza i quali l’impianto non sta in piedi.
Esercizi
La figura seguente evidenzia uno schema generale di progetto (decisamente semplificato) da usare come mappa di orientamento, dove collocare i principali punti in cui dovresti tener conto di aspetti di efficienza/sostenibilità.
Esercizi di sostenibilità prima del progetto (1)
Di sostenibilità si deve parlare già prima che un progetto parta, quando valutiamo il business case per capire se l’iniziativa debba o meno essere intrapresa. Da quel momento in poi, ogni scelta di gestione progettuale è guidata da best practice di efficienza volte ad ottimizzare l’uso delle risorse, per definizione limitate, per creare il maggior valore possibile.
In questa fase consideri di solito degli indicatori finanziari, per capire se il gioco valga la candela. Come il ROI (Return of Investment), che misura in percentuale quanto un investimento genererà di ritorno in futuro. Oppure l’NVP (Net Present Value, o Valore Attuale Netto), dato dalla sommatoria dei flussi di cassa (negli anni da i ad N) attualizzati scontando un tasso di interesse K e sottraendo l’investimento iniziale. In sostanza l’NVP esprime riportato ad oggi del bilancio complessivo tra futuri ritorni economici del progetto e investimento iniziale per sostenerlo.
Dovendo scegliere tra due ipotesi di progetto, quella con il ROI e/o NVP più alto in generale dovrebbe essere più “sostenibile”. Attenzione però alle regole troppo facili. Tra due alternative potresti preferire un progetto con un ROI più basso, perché fornisce altri benefici immateriali che compensano alcuni mancati benefici finanziari, come l’essere parte di un piano strategico più grande.
Oppure potresti preferire un progetto meno profittevole ma più grande, in grado cioè di generare maggiori flussi di cassa, soprattutto se devi sostenere una struttura di costi fissi non trascurabile.
L’esercizio che puoi provare a fare, niente affatto facile, è il seguente: sei in grado di determinare il ROI o l’NVP del tuo progetto con buona approssimazione, per valutarne la sostenibilità almeno da un punto di vista economico e finanziario? Ad esempio, un progetto per la realizzazione di un reattore a fusione nucleare è in grado di assicurare una resa energetica che renda l’investimento commercialmente sfruttabile? (Purtroppo al momento la risposta è no, ma confidiamo in rapidi progressi dell’ingegneria nucleare, Cfr. https://www.ifp.cnr.it/iter_f4e_demo).
Esercizi di sostenibilità in avvio di progetto (2)
Quali sono gli obiettivi del tuo progetto? Sono fattibili e realistici? Considera che circa il 90% delle persone che progettano diete e perdite di peso pre-estive falliscono l’obiettivo ed è per questo motivo che le palestre si riempiono in primavera. Qual è il 10% che ha successso? Sono coloro che si pongono obiettivi “SMART”, sfidanti ma sempre intelligenti e sostenibili, compartimentando quello che vogliono ottenere.
SMART non significa “voglio dimagrire”, significa piuttosto “voglio perdere 5kg (specifico, misurabile), vorrei non sforzarmi ma dovrò farlo io e dovrò faticare (assegnabile), non posso dimagrire troppo poco in troppo poco tempo, ne andrebbe della mia salute (realistico), mi dò 3 mesi di tempo (time-bounded)”.
L’esercizio qui è esaminare gli obiettivi dichiarati del tuo progetto (se non riesci ad individuarli hai un problema più grande) e passarli al setaccio degli attributi SMART. Ad esempio, l’obiettivo di implementare una criptovaluta tramite Blockchain può essere definito SMART se il relativo carbon footprint è pari a quello dell’intera Danimarca? (Fonte https://digiconomist.net/bitcoin-energy-consumption)
Esercizi di sostenibilità durante la pianificazione di progetto (3,4 e 5)
Ai progetti possono essere applicati sani principi di economia circolare, semplicemente riutilizzando le cosiddette lesson learned da altri progetti, ossia riapplicando tutte quelle scelte, azioni, pratiche e procedure che in situazioni analoghe si sono rivelate utili e positive.
Durante la pianificazione di progetto esaminerai che cosa, di quello che devi fare o realizzare, sia riutilizzabile da esperienze precedenti, che si spera qualcuno avrà avuto cura di raccogliere e descrivere in maniera più o meno strutturata. Se così non è, ricordati almeno di raccogliere e descrivere tu le lesson learned del tuo progetto a beneficio dei posteri.
Se in partenza hai definito degli obiettivi SMART, un passo essenziale della pianificazione consiste nel valutare il lavoro necessario da fare. In pratica, devi individuare il perimetro che stabilisca cosa è dentro e cosa è fuori, giungendo ad una rappresentazione analitica o comunque strutturata del cosiddetto “scope di progetto”. Potrebbe essere una WBS o un Product Backlog. In ogni caso, l’importante è catturare tutto e solo il lavoro da svolgere. Se l’attenzione a non dimenticare qualcosa la si dà per scontata, molto meno lo è quella di limitarsi a fare solo quanto serve, il cosiddetto q.b. (quanto basta), senza eccedere in cose non richieste.
Spesso infatti, in particolare in progetti per un cliente esterno, il costume di fare qualcosa in più di quanto dovuto o condiviso viene usato come leva commerciale, secondo una logica da triscount che nel Project Management viene considerata una pessima pratica e alla quale viene dato il nome di “gold plating”. Tradotto letteralmente significa placcare d’oro qualcosa, nella sostanza significa realizzare livelli di qualità e/o di funzionalità non richiesti. Ciò che non viene richiesto o concordato, anche se non soddisfa un’esigenza o un obiettivo esplicitamente individuati, dovrà essere comunque gestito nel tempo e, in definitiva, è quasi sempre uno spreco di risorse a discapito della sostenibilità. Del gold plating torneremo a parlare tra poco.
Una volta identificato tutto e solo il lavoro necessario per la realizzazione del progetto (non necessariamente solo all’inizio di questo ma, come accade ad esempio nei progetti agili, anche “in itinere”) si devono stimare risorse necessarie e durate delle attività.
Sui processi e sui metodi di stima sono stati scritti migliaia di libri, nessuno realmente definitivo, perché stimare qualcosa significa operare una previsione affetta per definizione da incertezza. L’ammontare di tale incertezza dipende fortemente dal momento in cui la stima viene effettuata. Più questa viene anticipata e più risulta utile ai fini della pianificazione, ma al contempo più l’incertezza risulterà elevata, perché molti dubbi si chiariscono e molte informazioni si rendono disponibili solo in corso d’opera. D’altra parte, una stima molto precisa ma effettuata a fine progetto sarebbe decisamente inutile. Per questo, è necessario trovare un punto di equilibrio soddisfacente tra tempestività e accuratezza, anche perché l’esito delle stime contribuisce in modo decisivo alla valutazione di sostenibilità del progetto.
L’esercizio più utile che ti consiglio di fare qui è di unire due aspetti: quello di sostenibilità delle stime e quello di economia circolare delle lesson learned. Tenere traccia delle stime di progetti passati, unitamente ai valori di consuntivo con cui poterle confrontare per valutarne a posteriori l’efficacia, può fornirti utili lesson learned per stimare progetti futuri con caratteristiche simili.
Ad esempio, volendo stimare quanta percentuale di metalli ferrosi e non ferrosi sia possibile estrarre dalle ceneri pesanti di un impianto di termovalorizzazione, possiamo ipotizzare un valore di almeno il 90% basandoci su quanto attualmente ottenuto con il nuovo termovalorizzatore al centro di Copenhagen (fonte http://www.mater.polimi.it/nuovo-termovalorizzatore-a-copenhagen/).
Esercizi di sostenibilità durante il monitoraggio e controllo di progetto (6 e 7)
Durante l’esecuzione del progetto, ad intervalli regolari, ti fermi per misurare come stanno andando le cose e se ci sia necessità di qualche aggiustamento. In pratica, si tratta di misurare gli scostamenti tra quanto pianificato e quanto effettivamente rilevato. Tali scostamenti potrebbero verificarsi sia a causa di una pianificazione poco accurata che di intervenuti cambiamenti in corso d’opera.
Se c’è qualcosa, infatti, di cui puoi star sicuro è che durante il progetto le cose cambieranno. Nuove esigenze si manifesteranno, dando luogo ad altrettante richieste che verranno avanzate da parte dei diversi attori. Per la legge di Murphy, tali nuove esigenze e richieste riguarderanno sempre qualcosa in più da aggiungere piuttosto che qualcosa da togliere.
Per questo motivo, devi tenere sotto controllo lo “scope” di progetto, il perimetro di lavoro che hai definito durante la pianificazione. Non perché esso non possa cambiare, qualora ve ne fosse la necessità, ma affinché tale cambiamento sia governato senza pregiudicare la sostenibilità del progetto.
Due sono i nemici principali della sostenibilità. Uno è il gold plating, di cui abbiamo parlato prima, cioè la realizzazione di cose non richieste e non concordate. L’altro è lo “scope creep”, ossia l’espansione incontrollata dello scope di progetto a seguito di richieste di cambiamento non correttamente filtrate.
Per questo motivo, tutte le richieste di variazione e modifica in corso d’opera, a qualunque titolo espresse, devono essere sottoposte ad un processo di vaglio per decidere quali debbano essere recepite e quali debbano invece essere respinte. Sovente, infatti, la sostenibilità del progetto passa dal tenere la barra dritta e dire qualche no, naturalmente ben motivato e circostanziato.
Gli esercizi da praticare giornalmente per evitare il gold plating consistono nel:
- Non consentire l’aggiunta di extra features al prodotto/servizio da realizzare senza una preventiva valutazione e approvazione.
- Evitare il gold plating come merce di scambio, per compensare difetti noti da altre parti.
- Verificare e nel caso rivedere i flussi di comunicazione con il team di progetto. Accade infatti spesso che il gold plating nasca su iniziativa (sia pure in perfetta buona fede) di membri del team che realizzano elementi aggiuntivi non concordati per “fare bella figura” o soddisfare richieste dirette del cliente/utente.
Gli esercizi per evitare lo scope creep consistono invece nel:
- Non autorizzare modifiche se non previa revisione e approvazione.
- Avere un canale di comunicazione istituzionale con il cliente (aka, non lasciare che il cliente parli direttamente con il team).
- Formalizzare una descrizione delle scope di progetto da condividere con il cliente, che aiuti a verificare cosia sia dentro e cosa sia fuori.
- Definire un processo di verifica delle richieste di modifica, da applicare senza deroghe.
- Tracciare rigorosamente i progressi del progetto.
Un esempio di espansione incontrollata dello scope, con conseguente insostenibilità sia del progetto che del prodotto realizzato, è quello della centrale elettrica dell’Alto Lazio (Montalto di Castro) progettata e costruita all’inizio degli anni ‘80 come centrale nucleare, mai entrata in funzione come tale e successivamente re-ingegnerizzata per essere riconvertita a termoelettrica policombustibile (olio e gas), senza però mai funzionare a pieno regime per la progressiva ascesa dell’uso delle rinnovabili, sino alla sua imminente demolizione parziale con possibile riconversione in porto turistico e distretto nautico.
Esercizi di sostenibilità per la chiusura di progetto (8)
Potresti pensare che quando il progetto si sta chiudendo non abbia più senso chiedersi come migliorarne la sostenibilità, dato che ormai quel che è fatto è fatto. In ogni caso, che il progetto abbia avuto successo o ci siano stati problemi, sicuramente avrai imparato qualcosa da questa esperienza, che è importante venga descritta in maniera chiara e riusabile come lesson learned. Così il progetto in chiusura potrà dare un contributo concreto di sostenibilità a quelli che verranno.
Ad esempio, un programma di semplice riduzione delle emissioni di CO2 potrebbe non portare i benefici attesi in termini di rallentamento del riscaldamento globale per via della persistenza di un’elevata concentrazione di CO2 per molto tempo nell’atmosfera e dell’inerzia termica degli oceani (fonte https://skepticalscience.com/climate-inertia.html ). La lesson learned potrebbe essere in questo caso concentrarsi su modalità di riduzione “forzata” dei gas serra, ad esempio attraverso programmi di intensa re-forestazione di specifiche zone del pianeta.
Appendice
Un ulteriore ed importante contributo alla sostenibilità dei progetti viene, infine, dall’adozione di metodi e pratiche Lean e Agili.
Tra i 12 principi del Manifesto Agile, due in particolare richiamano in maniera esplicita principi di sostenibilità. Il principio N. 6 “Agile promotes sustainable development. The sponsors, developers and users should be able to maintain a constant pace indefinitely” si riferisce alla sostenibilità del carico di lavoro che grava su chi realizza il progetto, richiamando l’attenzione su quei principi di etica e responsabilità professionale di cui parlavamo all’inizio.
Il principio 10 “Simplicity, the art of maximizing the amount of work not done, is essential” richiama invece l’attenzione sulla necessità di realizzare solo che veramente sia utile, senza inutili orpelli e sprechi.
E attorno al concetto di eliminazione degli sprechi (muda, come definito in Giappone nel Toyota Production System) è letteralmente costruito l’approccio Lean, i cui obiettivi sono il guadagno di efficienza e l’ottimizzazione dell’uso delle risorse. La logica pull (produci in funzione della richiesta) piuttosto che push (produci comunque e poi cerchi di vendere quello che hai prodotto) rende questo approccio intrinsecamente sostenibile.
Defaticamento e stretching
La sostenibilità del nostro sviluppo futuro ha un legame stretto con il Project Management. Essa è infatti riferita all’indirizzo che dovremo riuscire a dare al cambiamento, che si attua per mezzo di progetti o programmi di progetti, cioè “iniziative temporanee e coordinate per conseguire risultati specifici”.
La sostenibilità deriva dall’efficienza. Qualcosa di non efficiente alla lunga è poco o per nulla sostenibile. Tuttavia, l’efficienza è “condizione necessaria ma non sufficiente” per la sostenibilità.
La sostenibilità è efficienza nel rispetto di principi etici condivisi. Non è solo il risultato o il prodotto/servizio realizzato, ma “il progetto” stesso a dover essere sostenibile. L’installazione di pannelli fotovoltaici (prodotto sostenibile) gestita in modo inefficiente o con scarsa qualità di azioni e materiali potrebbe non essere sostenibile.
Il Project Management efficace ed efficiente non può che essere sostenibile, dalle prime valutazioni in sede di Business Case prima che il progetto parta, attraverso la definizione all’avviamento di obiettivi realistici, pianificando e stimando in modo consapevole e informato per indirizzare al meglio l’esecuzione, monitorando e controllando i cambiamenti in corso d’opera e infine raccogliendo e capitalizzando le lesson learned ad uso futuro.
E se pensi che tocchi sempre a qualcun altro occuparsene, ricorda che secondo Anand Mahindra “sustainability has to be a way of life to be a way of business”.
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