#25Novembre, il digitale per il contrasto alla violenza di genere

Eliminare ogni forma di violenza contro tutte le donne, bambine e ragazze nella sfera pubblica e privata”. Uno dei target del goal 5 di Agenda 2030, se letto vicino ai dati dei femminicidi italiani e della violenza sulle donne nel mondo, appare davvero molto lontano all’orizzonte, quasi utopistico. L’Organizzazione mondiale della sanità affermava diversi anni fa che il 35% delle donne in tutto il mondo ha subìto violenze sessuale da parte del partner o estranei. Secondo il rapporto Eures 2019 “Femminicidio e violenza di genere in Italia“, il numero di vittime è in crescita costante: sono state 142 nel 2018 le donne uccise (+0,7%) di cui 119 in famiglia (+6,3%). 94 le vittime nei primi dieci mesi del 2019. Mai, si legge nel rapporto, si era registrata una percentuale così alta di vittime femminili (40,3%), uccise per lo più per “gelosia e possesso”, spesso impropriamente definito “passionale” (32,8%). In aumento anche le denunce per violenza sessuale (+5,4%), stalking (+4,4%) e maltrattamenti in famiglia (+11,7%) che “vantano” un incremento record nel quinquennio.

Come le tecnologie digitali possono contribuire a contrastare la violenza di genere?

Diversi sono i progetti finalizzati a supportare le donne vittime di violenza. Per esempio in Thailandia si sta sperimentando un assistente virtuale dotato di intelligenza artificiale in grado di fornire, tramite chat, non solo supporto in caso di emergenza ma anche aiuto tramite consulenze legali e contatti utili con istituzioni e associazioni no profit. Il progetto è stato ideato da Peabrom Mekhiyanont, un poliziotto che lavorava sui casi di violenza domestica, che ha voluto dar vita a una vera e propria piattaforma tramite la quale attivare forme di collaborazione anche tra soggetti diversi con lo scopo di aiutare le vittime. #MySis è sostenuto DTAC, Thailand Institute of Justice, Thai Health Promotion Foundation, Women and Men Progressive Movement Foundation, UNICEF, UN Women, OpenDream, BotNoi e ChangeFusion.

Progetto similare I am Gloria”, piattaforma che utilizza l’Intelligenza artificiale per proteggere, collegare, unire, aiutare le vittime di violenza. Voluto dalla Commissione per la difesa dei diritti della donna della Camera dei deputati brasiliana, il progetto non solo intende dare voce alle donne maltrattate ma anche raccogliere dati sulla violenza domestica per poter individuare politiche finalizzate a contenerla.

La violenza corre sui social network?

L’analisi delle conversazioni sul tema violenza di genere presenti sui social network sicuramente consente di avere una visione più amplia del problema. Per questa ragione è interessante consultare un articolo a firma di quattro ricercatori Harnessing big data for social justice: An exploration of violence against women related conversations on Twitter”, che hanno analizzato circa 2,5 milioni di tweet dal 2007 al 2015. Secondo il rapporto, il 53% delle 261 associazioni che tutelano le donne vittime di violenza sono presenti in Internet e il 23% di queste è su Twitter. Lo studio ha evidenziato come esistano community su Twitter che conversano intorno al tema della violenza di genere. A far parte delle comunità utenti che pubblicano e si rispondono reciprocamente, producendo più thread di conversazione rispetto a quelli pubblicati su altri argomenti di tendenza. Lo studio si propone in futuro di verificare se analisi di questo tipo potrebbero essere utilizzate per mettere in campo azioni di tipo preventivo.

Quando si parla di digitale, il pensiero non può non andare all’odio on line e al ruolo che alcuni attribuiscono direttamente alle piattaforme piuttosto che a chi, difficilmente in forma anonima, l’odio lo pratica, lo fomenta, lo strumentalizza. Secondo la Mappa dell’Intolleranza 2019, realizzata da Università Statale di Milano, Università di Bari, La Sapienza di Roma e il Dipartimento di sociologia dell’Università Cattolica di Milano, i tweet misogini e ad elevata dose di aggressività sono aumentati dell’1,7% rispetto al 2018. Nella classifica dei più odiati, subito dopo gli immigrati contro i quali sono stati rivolti il 32% dei messaggi negativi, ci sono le donne con un 27% di tweet di odio.

Solo odio on line?

Gli strumenti digitali, utilizzati per fare stalking, per controllare in modo ossessivo, per tracciare o per insultare, possono anche rappresentare una risorsa per le vittime. Perché è attraverso i social che le persone in difficoltà possono contattare qualcuno senza mostrarsi in viso, senza svelare la propria identità, avendo la possibilità di creare relazioni, provare a costruirsi intorno una rete di protezione. E’ grazie al potere comunicativo dei social che possono intercettare messaggi di speranza, raccoglierli, usarli per denunciare e uscire dal silenzio. Lo so perché, nel piccolo delle esperienze personali non significative statisticamente, ricevo un giorno un messaggio su Facebook. E’ una persona che avendo percepito attraverso il profilo una mia sensibilità sul tema della parità di genere mi chiede aiuto. Non la conosco, non ci conosciamo, non so cosa fare. Poi, in un attimo, capisco: posso costruire un ponte virtuale tra lei, probabilmente un fake, e persone reali, associazioni fantastiche conosciute grazie ai social network che sono convinta potranno aiutarla. Lo faccio, senza esitare. Loro tendono la mano, e se è un fake pazienza. Dopo qualche mese ricevo un altro messaggio, l’ultimo, con un grazie scritto in maiuscolo e quattro righe di spiegazione sul come si può ritrovare la speranza grazie a una rete solo apparentemente virtuale. E’ per questa ragione che tra gli obiettivi da raggiungere entro il 2030 c’è “Migliorare l’uso della tecnologia che può aiutare il lavoro delle donne, in particolare la tecnologia dell’informazione e della comunicazione, per promuovere l’empowerment, ossia la forza, l’autostima, la consapevolezza delle donne“. Forza, autostima, consapevolezza delle donne necessarie perché sia sempre 25 novembre.

 

 

“Le donne provano la temperatura del ferro da stiro toccandolo. Brucia ma non si bruciano. Respirano forte quando l’ostetrica dice «non urli, non è mica la prima». Imparano a cantare piangendo, a suonare con un braccio che pesa come un macigno per la malattia, a sciare con le ossa rotte. Portano i figli in braccio per giorni in certe traversate del deserto, dei mari sui barconi, della città ai piedi su e giù per gli autobus. Le donne hanno più confidenza col dolore. Del corpo, dell’anima. È un compagno di vita, è un nemico tanto familiare da esser quasi amico, è una cosa che c’è e non c’è molto da discutere. Ci si vive, è normale. Strillare disperde le energie, lamentarsi non serve. Trasformandolo, invece: ecco cosa serve. Trasformare il dolore in forza. Ignorarlo, domarlo, metterlo da qualche parte perché lasci fiorire qualcosa. È una lezione antica, una sapienza muta e segreta: ciascuna lo sa”.

(Concita De Gregorio, Malamore)

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