Se riuscissimo a capire il verde, impareremmo a produrre tutto il cibo che ci serve in triplici strati, su un terzo del terreno di cui abbiamo bisogno adesso, con piante che si proteggono a vicenda dagli insetti.
(tratta da Richard Powers “Il sussurro del mondo”)
In questo momento di grande confusione in cui un virus sta tenendo in ostaggio le popolazioni di tanti paesi, si stanno pensando nuovi modelli sociali ed economici per il futuro. Sicuramente il passaggio, speriamo il più veloce possibile, di questo virus non lascerà i nostri modelli organizzativi così come sono. Il tema della sostenibilità ambientale diventerà fondamentale anche al fine di evitare tragedie come quelle che stiamo vivendo.
Da questo punto di vista, le imprese potranno giocare un ruolo importantissimo nell’offrire esempi significativi e concreti nella realizzazione di iniziative che vanno nella direzione della sostenibilità ambientale e della qualità del nostro cibo.
“Io so ancora, disse Candido, che bisogna coltivare il nostro giardino”. esorta Voltaire nel suo notissimo racconto satirico “Candido, o l’ottimismo”.
La prima volta che ho visto un “tetto verde” è stato nel 2009 a San Francisco, durante uno study tour organizzato dal mio studio per un’azienda italiana: la California Academy of Sciences progettata da Renzo Piano e da lui definita una «Ferrari a zero consumi e zero emissioni».
Negli anni, l’idea di rendere sempre più green non solo le città a livello urbanistico, ma anche i luoghi di lavoro, ha preso piede in maniera esponenziale e come spesso accade con l’innovazione, sono le grandi aziende a fare da apripista. Negli Stati Uniti li chiamano corporate gardens e vengono utilizzati gli spazi esterni delle organizzazioni per coltivare ortaggi e frutta che poi i dipendenti possono consumare a casa.
I primi esempi sono nati nella Google, nella Yahoo, ma anche la Timberland ha un suo corporate garden e la sede della Toyota a Georgetown, il grande magazzino Kohl, a Milwaukee e persino la PepsiCo, che ha un corporate garden rigorosamente biologico. La Microsoft ha dato vita ad Urban Farming, un sistema di auto-produzione alimentare dove per la coltivazione diretta di frutta e verdura sono state create delle micro-serre avveniristiche collocate nel campus di Redmond.
Non solo aziende, ma intere città votate all’hurban farm, come Detroit che, colpita dalla crisi dell’auto ha cambiato faccia, diventando la capitale delle fattorie urbane. Dove un tempo c’erano i capannoni delle fabbriche, ora ci sono 1400 orti gestiti dai cittadini, un intero quartiere agricolo, 45 fattorie scolastiche e si producono 200 tonnellate all’anno di frutta e verdura fresca. È un modello per tutta l’America e non solo.
In Italia sono arrivati un po’ dopo, ma in questi ultimi anni non mancano esempi lodabili come quello della Bellini SpA, un’azienda specializzata nella ricerca, produzione e commercializzazione di fluidi e lubrificanti industriali, che ha realizzato un orto a disposizione dei dipendenti. “Quello che ci ha spinti a ricavare dal giardino aziendale questo orto” dice Marco Bellini, presidente e amministratore delegato dell’azienda, “è stato il pensiero di permettere anche a tutti i collaboratori, che non hanno a disposizione a casa loro un fazzoletto di terra da coltivare, di prendersi cura e godere dei frutti della coltivazione della terra e al tempo stesso stare all’aperto a contatto con la natura e con i colleghi”.
Altri esempi sono quello della Diesel di Renzo Rosso, dove sono i bambini dell’asilo aziendale ad occuparsi della coltivazione dell’orto insieme ai propri genitori, quello della sede milanese dell’Unicredit, che ha fatto nascere due orti, lunghi otto metri ciascuno collocati sulle terrazze delle due torri che i dipendenti possono coltivare autonomamente in qualsiasi momento della giornata lavorativa e Bottega Veneta con il suo giardino Eco-Food, progettato per offrire ai dipendenti uno spazio di relax a contatto con la natura e contemporaneamente per rifornire il ristorante aziendale interno di prodotti freschi a chilometro zero.
Sempre a Milano è nata una onlus, Orti d’Azienda, che progetta insieme alle aziende la realizzazione degli orti. “Si individua l’area per le coltivazioni, che può essere più o meno estesa, e dopo si realizza la struttura dell’orto i cui prodotti possono essere destinati ai dipendenti, ai membri delle associazioni convenzionate o alle associazioni caritatevoli. Il tutto viene poi seguito da un gruppo di gestione interno all’azienda e con il passare dei giorni l’orto diventa un luogo di aggregazione per i dipendenti, di accoglienza per i visitatori, di integrazione per lavoratori stranieri o per i nuovi assunti”.
Indiscutibili gli effetti benefici riscontrati sui dipendenti che, durante le ore di lavoro, possono occuparsi di giardinaggio, allentando le tensioni e liberando la mente per dare spazio a nuove idee. Una pratica, questa, che favorisce la socializzazione tra colleghi e punta ad una corretta educazione alimentare, molto spesso infatti le verdure coltivate vengono cucinate nelle mense aziendali. Un’azienda che pone attenzione verso la green economy rafforza, tra l’altro, la propria reputation, dimostrando concretamente la sua corporate responsability.
Cosa aspettarci? Che nella politica della green economy si faccia strada una nuova figura professionale, quella dei green manager, persone che gestiranno le varie aree aziendali con criteri eco-sostenibili, per avere sempre più aziende a minor impatto ambientale.
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