Remote Working o Smart Working?

di Marco Rottigni, CTSO EMEA di Qualys

La recente situazione di emergenza pandemica ha forzato molte aziende a considerare una nuova condizione operativa della forza lavoro, precedentemente prevista solo in parte e soltanto per alcuni ruoli aziendali.

L’attivazione massiva e rapida di questa condizione ha causato e sta causando non pochi problemi, a più livelli e di non semplice soluzione.

L’idea di questo articolo è di approfondire, insieme, le differenze tra remote working – situazione fisica dove il lavoratore di un’azienda si trova ad operare da una postazione remota rispetto agli uffici principali – e smart working – situazione ideale della stessa condizione operativa dove sono però richieste nuove metodologie, dispositivi tecnologici e funzionalità innovative per ottimizzare l’esperienza sia per il lavoratore che per l’azienda.

Ci sono aspetti importanti che caratterizzano come “smart” una condizione di lavoro da remoto, riassumibili da un unico termine: ergonomia.

Normalmente associata alla postura fisica o al mondo del design, l’ergonomia è definita come la scienza che si occupa dell’interazione tra individui e tecnologia, con il proposito ultimo di ottimizzare tale interazione.

Definizione perfetta per la sfida del lavoratore aziendale remoto, che deve essere affrontata da tre aspetti fondamentali: forma mentale, infrastruttura e sicurezza.

La forma mentale è una condizione che si crea grazie alla messa in opera di alcuni princìpi per replicare la condizione operativa di un ufficio in un ambiente molto diverso; diverso per rumore, diverso per presenza di persone estranee, diverso per spazi e altro ancora.
È importante definirla però, per evitare situazioni di imbarazzo o disorganizzazione che contribuiscono a popolare vignette e filmati divertenti solo per chi non li vive.

L’infrastruttura è un elemento fondamentale, perché soprattutto in Italia definisce una condizione operativa spesso molto svantaggiata rispetto alla rete aziendale. Ma per infrastruttura si intende anche il resto dell’ambiente operativo – inclusi gli strumenti per poter telelavorare e incluso il personal computer – che a causa dell’emergenza è spesso una risorsa non aziendale e condiviso con un uso domestico.

Ecco l’importanza del terzo punto: la sicurezza.

Sicurezza che deve riguardare sia gli smart worker che l’azienda, salvaguardando e potenziando capacità fondamentali come la conoscenza approfondita di quanto vulnerabile e attaccabile sia la popolazione di telelavoratori.

Sicurezza che deve permettere di minimizzare l’impatto del TTR o Time To Remediate, cioè il tempo che intercorre tra la scoperta di una vulnerabilità ed il suo rimedio tramite configurazione o applicazione di una specifica patch.

Sicurezza che deve consentire al Responsabile IT della sicurezza aziendale di mantenere quella visibilità sul panorama digitale che è di cruciale importanza, soprattutto in un ambiente frammentato ed eterogeneo come quello che l’emergenza attuale ha determinato.

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