Il digitale per dire basta disuguaglianze e sfruttamento delle risorse: intervista alla presidente AIDP

Occorre passare da un’economia senza volto a un’ecologia integrale. Il percorso è ancora lungo, ma dobbiamo considerare che oggi l’economia va vista soprattutto come teoria del benessere e attenzione alla sostenibilità. In fondo, stiamo parlando di organizzazioni che devono essere attente a far stare bene le persone e il pianeta, ma guardando queste parole con la lente del lavoro”. Isabella Covili Faggioli, presidente AIDP, network di 19mila membri e oltre 3mila soci che dal 1960 promuove uno sviluppo serio e responsabile della cultura manageriale in ambito risorse umane, descrive in questo modo il legame tra le attività svolte dall’associazione e la sostenibilità

Qual è un progetto di AIDP al quale guardare con attenzione?

Scegliere un progetto tra i tanti che in questi anni abbiamo portato avanti non è semplice, ma ce n’è uno al quale teniamo, volendo stare sulla dura attualità: #AIDP_aid, una campagna di raccolta fondi e apparecchiature informatiche da poter donare, in seno ai territori, alle strutture sanitarie per affrontare meglio l’emergenza COVID-19. Questa emergenza ci ricorda, infatti, quanto dipendiamo gli uni dagli altri e quanto le aziende che aderiscono al nostro network possono fare per strutture pubbliche che vivono momenti di difficoltà. Devo dire che in AIDP abbiamo creato un’area specifica che si occupa di responsabilità sociale, con una referente nazionale, Matilde Marandola, che ha dimostrato in più di una occasione una sensibilità particolare sul tema e, conseguentemente, ha messo in campo diverse attività legate alla RSI.

Pensa che la tecnologia digitale possa essere strumento di sostenibilità?

La tecnologia non è che uno strumento a disposizione della persona. Non dimentichiamo che non esiste tecnologia senza la persona. Lo strumento tecnologico è di grande aiuto e sicuramente possiamo usarlo a favore di sostenibilità economica, sociale e ambientale. Possiamo per esempio fare di più con meno. Meno tempo e meno spazio e quindi meno inquinamento e meno spreco. Su questo svariati sono gli esempi, a partire dallo smart working, o anche solo dal telelavoro che andrebbero incentivati all’interno delle organizzazioni non solo nel periodo di crisi come quello attuale.
Se guardiamo ai singoli SDGs, possiamo comprendere con maggior facilità come il digitale potrebbe aiutarci nel raggiungimento dei singoli target. Non conosciamo il futuro, non conosciamo con quali strumenti potremo affrontarlo, ma quello di cui siamo certi è che dobbiamo avere chiaro cosa vogliamo e come lo vogliamo. Sappiamo che per fare questo occorre coraggio e in questo la trasformazione tecnologica e la rivoluzione digitale ci possono aiutare a capire. I confini non sono più quelli che abbiamo conosciuto e gli effetti fisici e psicologici di come si fa azienda sono anche sul territorio, oltre il cancello, nella società circostante e nella visione tante persone lontane ma più vicine grazie al digitale.

Pensa che ci sia consapevolezza diffusa sul suo ruolo del digitale per la sostenibilità o la tecnologia è vista ancora come nemica?

Per la mia esperienza posso dire che sono passati i tempi in cui la tecnologia era vista come nemica. Sono tre secoli che il rapporto uomo e macchina viene visto come qualcosa di non semplice, ma poi si arriva a comprendere che la macchina è un qualcosa di funzionale all’uomo, che può aiutare a rendere il lavoro delle persone più semplice, più sicuro e meno faticoso. Siamo tutti consapevoli che la macchina rappresenta un grande sostegno e che sempre di più la tecnologia ci farà stare meglio. Adesso sta alle persone usarla al meglio, senza diventarne dipendenti. Per esempio l’elogio dello smart working come panacea di tutti i mali trova il limite nel desiderio di confrontarsi guardandosi in faccia o nella necessità di interpretare il linguaggio non verbale. In azienda convivono solitamente tre o quattro generazioni, pertanto l’approccio nei confronti dell’innovazione necessariamente sarà differente e richiederà sforzi di adattamento più o meno grandi, a seconda delle caratteristiche di ciascuno.

Ottimismo o pessimismo sul raggiungimento dei goal previsti da Agenda 2030? Quale il goal potenzialmente più a portata di mano e perché e quale quello più difficile e perché?

Agenda 2030 presenta obiettivi concreti e necessari, sfidanti come tutte le necessità. Teoricamente i goal sono tutti raggiungibili, pertanto occorre essere ottimisti e concretamente realisti. Non è una contraddizione: se un sogno per una persona è solo utopia, per tanti diventa progresso. Gli SDGs sono il nostro futuro. In particolare l’8 che riguarda il lavoro dignitoso, di cui sentiamo maggiormente la responsabilità come network di imprenditori. Occorre ripensare al lavoro come lavoro generativo, che porti alla condivisione e alla sostenibilità. Se si considera il pianeta la casa comune è più facile capire che l’interesse individuale non può essere per nessuno un obiettivo. Insieme al lavoro, come associazione dobbiamo guardare alla lotta alla povertà, alla tutela della salute e del benessere, all’istruzione di qualità, alla valorizzazione delle diversità e alla riduzione delle disuguaglianze. Partiamo dal lavoro, senza perdere di vista tutto il resto. Occorre un pensiero positivo, una finalizzazione degli sforzi, un rifiuto delle disuguaglianze e dello sfruttamento delle risorse. Occorre ascolto e visione.

Facebook Comments

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here