Sostenibilità, lavoro e dimensione sociale: intervista a Gianluca Salvatori di Euricse

Ripensare il funzionamento dei sistemi economici e sociali e fare una riflessione sul ruolo che possono svolgere organizzazioni e imprese mosse da obiettivi diversi dal profitto“. Questo uno dei punti contenuti nella filosofia di Euricse, fondazione di ricerca sull’economia sociale fondata più di dieci anni fa, spiegato nel documento attraverso la necessità del  ripensare il ruolo di cooperative e imprese sociali, anche e soprattutto in un momento di crisi socio-economico come quella che stiamo vivendo.

Il presupposto su cui il suo lavoro poggia è che sia necessario sviluppare modelli di organizzazione dell’economia diversi da quelli che hanno prevalso negli ultimi decenni, essenzialmente basati sul fondamentalismo del mercato – precisa subito Gianluca Salvatori, segretario generale Euricse e della Fondazione Italia Sociale. “Un tempo questa poteva essere considerata una posizione di nicchia, ma le tendenze più recenti (accelerate dalle tre grandi crisi economico-finanziarie succedutesi negli ultimi venti anni) hanno contribuito a rafforzarne la diffusione. Anche tra autorevoli studiosi: sono sempre più numerosi gli scienziati sociali che sostengono la necessità, riprendendo le parole di Stiglitz, “di un esteso ripensamento del ruolo dello Stato e del mercato”, non solo per riproporre un maggior intervento pubblico nell’economia, ma anche con l’obiettivo di rivedere il ruolo finora assegnato alle diverse forme di impresa per costruire un “sistema economico pluralistico basato su più pilastri”. Per Dasgupta è dall’economia sociale che possono venire spunti per realizzare il nuovo rapporto tra capitale e lavoro necessario per reggere l’evoluzione demografica in atto. E Amartya Sen sostiene che per ripensare l’organizzazione dei sistemi economici alla ricerca di un nuovo equilibrio”.

Quali gli obiettivi di Agenda 2030 sui quali l’associazione sta lavorando? In quale modo?

Del ruolo dell’economia sociale per uno sviluppo più sostenibile non c’è traccia in Agenda 2030 di Nazioni Unite, ancora troppo condizionata da un approccio binario all’economia: lo Stato e le sue responsabilità di politica pubblica da un lato e dall’altro le imprese da convertire agli obiettivi della sostenibilità. Scorrendo i 17 SDG, la call to action sembra diretta principalmente agli Stati e, in via complementare, agli attori economici tradizionali. Mentre la necessità di coinvolgere la società civile emerge di meno e nulla del tutto si dice sul ruolo che possono svolgere il non profit e le organizzazioni dell’economia sociale. Euricse si concentra su questa assenza.

Quale il progetto della fondazione al quale guardare con interesse?

Insieme ad altri centri di ricerca e alle reti di organizzazioni che operano sui temi dell’impresa sociale, lavoriamo da un paio di anni con le Nazioni Unite per portare nella realizzazione dell’Agenda 2030 un contributo a partire dalle specificità dell’economia sociale. Un’apposita Task Force riunisce agenzie ONU e altre organizzazioni, tra cui la nostra fondazione, con il compito di elaborare una posizione comune che si rifletta nei diversi obiettivi di sviluppo sostenibile indicati dall’Agenda 2030. Con l’obiettivo di contribuire alla realizzazione di tutti gli SDG, senza esclusioni, in quanto la sostenibilità al loro cuore deve riguardare la dimensione sociale non solo come oggetto degli interventi ma anche come soggetto in grado di farsene carico. Perciò è importante il potenziamento che all’agenda può venire dal coinvolgimento di una pluralità ampia di soggetti e organizzazioni, anche al di fuori del ristretto schema stato-mercato. L’economia sociale va portata dentro l’Agenda 2030, per ragioni di coerenza e per ragioni di efficacia.

Quale il rapporto tra economia sociale e innovazione? Quale il contributo della tecnologia digitale in un quadro di sostenibilità?

Quando di parla di economia sociale il pensiero corre a organizzazioni – dalle cooperative alle imprese sociali – che non sempre brillano per la loro capacità di innovazione tecnologica. In effetti, la priorità assegnata al tema dell’innovazione in ambito sociale è stata spesso vissuta in forma esclusiva, quasi che dovesse assorbire ogni sforzo e fosse destinata a condannare le organizzazioni ad uno stato permanente di obsolescenza tecnologica. Questa condizione, che a volte è sconfinata nel pregiudizio culturale, è però sempre meno prevalente. Non c’è nessun motivo ideale perché un’impresa sociale per perseguire i suoi obiettivi di sostenibilità sociale non possa porsi alla frontiera dell’innovazione tecnologica. Anzi, è sempre più chiaro che la funzione sociale è potenziata se la componente tecnologica è presente e ben integrata all’interno delle attività di queste organizzazioni che non hanno il lucro come fine ultimo. L’esempio dell’assistenza socio-sanitaria, svolta da migliaia di cooperative sociali italiane, rende bene l’idea di come oggi alcuni servizi non possano essere erogati con la tempestività e la capillarità necessaria senza l’uso di tecnologie a sostegno degli operatori e degli utenti. Lo dimostrano esempi semplici, come la pianificazione degli interventi, e scenari più complessi, come la gestione della presa in carico del soggetto fragile con l’utilizzo di sistemi di monitoraggio e allarme a distanza. La tecnologia, in questi casi, non si sostituisce alla dimensione relazionale dei servizi erogati dalle imprese sociali ma anzi la rafforza perché consente di allocare con maggiore efficacia le risorse e di basare le attività su una conoscenza più approfondita delle situazioni in cui si interviene. È indiscutibile che i soggetti dell’economia sociale debbano sviluppare competenze relativamente a piattaforme digitali, sistemi di acquisizione e analisi dati, strumenti di intelligenza artificiale. Si può anzi dire che proprio il contesto in cui queste organizzazioni operano, e i valori in cui si radica la loro missione, sono una garanzia perché il rapporto con la tecnologia non si sviluppi in una dipendenza acritica e mantenga invece una sana dimensione di laicità che impedisce di scambiare il mezzo con il fine. Quindi, è certo che agli obiettivi di sostenibilità sociale serve un uso critico degli strumenti digitali. Probabilmente altrettanto può essere detto anche nell’altra direzione, sul fronte dei processi di innovazione tecnologica, che possono trarre vantaggio da una progettazione che sin dai primi passi tenga conto della dimensione sociale. Strumenti tecnologici che nascano senza aver chiare le condizioni concrete di utilizzo alle quali sono destinati, e senza un’idea della user acceptance che includa il punto di vista sociale, hanno ridotte possibilità di successo. Quindi il rapporto è di mutuo beneficio.

Quali i limiti alla trasformazione digitale nell’economia sociale?

Il punto, per quanto riguarda il livello di adeguatezza tecnologica delle organizzazioni dell’economia sociale, è che spesso la fragilità finanziaria e organizzativa è il vero ostacolo all’adozione delle novità tecnologiche ed impedisce il loro miglior uso all’interno dei processi operativi. C’è quindi un tema di dimensioni e un tema di capacità di investimento, che si condizionano reciprocamente. Su questo aspetto serve uno sforzo creativo per compensare le ridotte dimensioni di molti degli attori non profit con una abilità nel lavorare insieme, compiendo all’interno di una logica di rete quegli investimenti altrimenti fuori dalla portata delle singole organizzazioni. La logica collaborativa può sopperire al problema della taglia, favorendo la circolarità di idee e pratiche che assumono la tecnologia come elemento ormai irrinunciabile. Qui si vedrà, nel prossimo futuro, la capacità trasformativa del Terzo settore, e in particolare dei soggetti dell’economia sociale, intesa sia come trasformazione generata nei contesti in cui questi soggetti operano sia come capacità di trasformarsi, imparando a usare nuovi strumenti per assolvere ai propri compiti.

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