Il digitale per città e comunità resilienti e sostenibili: intervista a Raffaele Gareri

Nel nuovo appuntamento con Sustainability Talk, Raffaele Gareri, CIO di Roma Capitale, affronta i temi fondamentali di resilienza e sostenibilità applicati alla città, e di come questi possono essere abilitati dal digitale

In questo nuovo appuntamento con Sustainability Talk passiamo dal contesto delle aziende private al mondo della pubblica amministrazione, attore centrale per lo sviluppo di politiche di sostenibilità ed articolatore indispensabile degli sforzi di imprese, public utility, cittadini. Il nostro ospite è Raffaele Gareri. Ingegnere elettronico con alle spalle una vita trascorsa al servizio della pubblica amministrazione locale con ruoli di responsabilità sui temi dell’innovazione, è oggi Direttore del Dipartimento Trasformazione Digitale di Roma Capitale e Co-Founder di The Smart City Association Italy.

La necessità di progettare a lungo termine

Quando si parla di sostenibilità, il primo pensiero va all’ambiente. Tra le sue tre dimensioni (ambientale, economica e sociale), infatti, quella ambientale resta ancora – il più delle volte – quella verso la quale ci si concentra con maggiore attenzione e questo, secondo Raffaele Gareri, vale anche per dirigenti, funzionari e dipendenti della pubblica amministrazione. Tuttavia, nonostante secondo il CIO di Roma Capitale la consapevolezza dell’importanza della “tridimensionalità” della sostenibilità sia ancora lontana, qualcosa si muove. Ci si sta rendendo conto che la sostenibilità è intrinsecamente un processo di lungo termine e che, per il suo perseguimento, servono grande flessibilità operativa ed un approccio multistakeholder: “per esempio, dal punto di vista economico, cominciano a convergere opinioni secondo le quali la sostenibilità, nella realizzazione di servizi che abbiano un ampio impatto sulla popolazione e sulle imprese, vada ricercata tramite alleanze, modelli di partenariato pubblico privato ed altri approcci che consentano un coinvolgimento flessibile degli stakeholder”. In questo senso, sostiene Gareri, diventano particolarmente importanti modelli innovativi di gestione e finanziamento dei progetti, come il precommercial procurement o il project financing ed il partenariato per l’innovazione che, seppur ancora non ampiamente diffusi, contribuiscono a segnare una strada virtuosa da seguire.

Solo così si può supportare una città perché si muova verso una visione corretta e completa della sostenibilità. Il processo non può infatti non riguardare anche i modelli di governance degli attori del territorio, per far sì che la sostenibilità possa diventare davvero un obiettivo di governance. “Credo che sia inevitabile che questa visione abbia come obiettivo la creazione di comunità sostenibili, altrimenti lo sforzo nella direzione della sostenibilità non avrebbe un futuro duraturo. In questo senso, l’efficacia dei modelli di governance dei vari attori si avrà solo nel momento in cui si rafforza la convergenza degli obiettivi di medio-lungo termine di questi soggetti”.

Il digitale come abilitatore della resilienza

Così come non c’è ancora maturità diffusa nell’interpretare la multidimensionalità del concetto di sostenibilità, c’è anche scarsa consapevolezza sul ruolo del digitale per perseguirla. La dimensione della sostenibilità digitale, infatti è ancora lontana dall’essere una dimensione condivisa, anche se l’anno appena passato ha però, secondo Gareri, contribuito a diffondere anche tra i più restii la convinzione che il digitale sia in grado di abilitare un elemento fondamentale del quale – soprattutto in questo periodo – si è molto parlato, quello della resilienza: “il digitale è uno strumento trasversale in grado di supportare lo sviluppo  di città e comunità resilienti. Resilienza che è strettamente connessa con la sostenibilità – continua Gareri – perché è in prima battuta ambientale, ma anche economica, poiché se non si fa qualcosa di economicamente sostenibile non si riesce poi a diffonderlo. E sociale, perché una volta diffuso si impatta sulla gran parte degli attori della società. Quindi, adesso, è necessario insistere perché si comprenda come il digitale possa essere il ‘collante’ in grado di equilibrare tutte queste componenti”.

Per far sì che questa idea possa diffondersi, è importante che si sviluppino competenze digitali che, secondo il CIO di Roma Capitale, non sono solo strettamente tecniche: “la digitalizzazione è un processo da governare, che richiede di mettere in campo un elevato livello di multidisciplinarietà. È necessario saper lavorare in gruppo, operare ad ecosistema, gestire attività con scadenze ed obiettivi, sostenere la motivazione delle persone ad affrontare le difficoltà”. Tuttavia, osserva Gareri, nel contesto pubblico sono ancora predominanti le competenze amministrative e giuridiche che, seppur centrali, devono essere “integrate” con “azioni trasversali volte a rompere i ‘silos organizzativi’ che questa impostazione ha determinato, e che portino, tra le altre cose, a dover sapere usare linguaggi diversi, saper condividere e leggere dati con sensibilità diverse”. Una trasversalità che, per Raffaele Gareri, non deve fermarsi ai confini della singola organizzazione, ma deve espandersi nell’ecosistema di riferimento – cioè a tutti gli attori della comunità – per creare le condizioni affinché i decisori possano fare quelle scelte organizzative volte a supportare la sostenibilità digitale.

In questa direzione,  è proprio ai livelli decisionali che la formazione assume un ruolo di primo piano. “Troppo spesso si formano soltanto gli operativi, e questo tradisce un eccesso di attenzione all’immediato ed un conseguente svilimento del concetto di pianificazione. Per supportare la sostenibilità digitale, invece, si deve guardare al medio-lungo periodo, che è poi l’atteggiamento necessario per intraprendere gli investimenti infrastrutturali che possono cambiare radicalmente il contesto”.

Gli impatti ambientali, sociali ed economici delle tecnologie

La necessità di investire nello sviluppo di competenze digitali è un tema di primaria importanza, e questo è ancor più evidente nel momento in cui si comprendono quali potrebbero essere i reali impatti e benefici derivanti dall’implementazione delle tecnologie a sostegno delle diverse aree della sostenibilità. Innanzitutto, a livello ambientale “tutte le tecnologie emergenti, ma anche quelle consolidate come l’IoT, i big data, l’intelligenza artificiale o l’approccio in Cloud, possono fare la differenza nell’identificazione e creazione di servizi in grado di spingere la comunità verso comportamenti sostenibili. Ma non solo. Secondo Gareri, la complessità del tema dell’impatto ambientale richiede, per comprenderla appieno, una lettura trasversale agli specifici settori: “se mi occupo di mobilità, ad esempio, e voglio capire quale sia l’impatto dal punto di vista ambientale, devo avere una ‘lettura’ trasversale che può trovare nelle tecnologie un importante alleato grazie, ad esempio, alla  sensoristica, alla raccolta e gestione dati e via dicendo. Anche qui, però, ritorna il tema della governance condivisa, che è fondamentale per evitare che queste ‘letture’ vengano realizzate in modo parziale e non rappresentativo di quello che accade effettivamente in quella realtà”.

Impatto decisivo anche sulla dimensione sociale, in cui le tecnologie forniscono la “possibilità di creare servizi inclusivi, di raggiungere diverse fasce della popolazione, ma anche di differenziare i ritmi di crescita, focalizzando dei servizi più verso una fascia che rispetto ad un’altra”. Altro aspetto, centrale e per certi versi paradossale, riguarda gli effetti delle tecnologie sull’occupazione. “Creano sicuramente nuove opportunità lavorative, ma vanno considerati anche gli aspetti negativi di questa evoluzione: si stanno creando infatti grandi player, i grossi gestori delle piattaforme, che fanno da ‘buco nero’ rispetto all’attrazione dei clienti, rischiando di diminuire le opportunità di lavoro complessive”. Una soluzione in grado di mitigare questi effetti negativi è rappresentata, secondo Gareri, dalla creazione di modelli organizzativi di alleanza e collaborazione, che consentano anche ai più “piccoli” di dare il proprio contributo: “è importante anche il presidio locale, perchè i player di grandi dimensioni fanno le infrastrutture e le piattaforme, ma hanno sempre bisogno di un’azione più specifica su un dato comparto, territorio, popolazione”.

Di solito il digitale offre la possibilità di creare servizi con costi gestionali inferiori, ma questo non vuol dire che il processo di innovazione non richieda un importante investimento iniziale”, che però, secondo Gareri, è ampiamente giustificato dall’efficientamento e dalla costruzione di nuovi modelli di business: infatti, nonostante nel momento in cui si agisce per “ridisegnare un servizio questo potrebbe anche avere un costo superiore, potrebbe tuttavia fornire una quantità ed una qualità di servizio magari neanche paragonabile al precedente”. Altro aspetto economico fondamentale, abilitato dal digitale, per Gareri è legato al concetto di sharing. Una sostenibilità economica che, secondo il CIO di Roma Capitale, si ottiene quindi dalla costruzione di modelli aperti di gestione delle infrastrutture sulle quali si costruiscono i servizi, in modo tale da renderle disponibili per molteplici attori. “Se pensiamo, ad esempio, alle autostrade digitali, non possono essere soltanto di chi le realizza e le usa per sé, ma devono essere a disposizione di tutti, in modo che anche il più ‘piccolo’ possa costruirvi sopra il proprio modello di business remunerativo – continua Gareri – così facendo, il beneficio è anche per l’utente finale, che può contare su servizi anche arricchiti dal know how di altri soggetti”.

Innovare la città in ottica sostenibile

Il Dipartimento Trasformazione Digitale di Roma Capitale ha avviato dei progetti che guardano con attenzione alla sostenibilità sfruttando le potenzialità del digitale.

Sul tema della pianificazione abbiamo predisposto il piano Roma Smart City, frutto di un confronto durato più di un anno con tutti gli assessorati e i dipartimenti: abbiamo mappato e classificato circa 80 progetti secondo i loro criteri di smartness, declinati sulla sostenibilità finanziaria, coerenza delle infrastrutture digitali, governance del dato e così via – aggiunge Gareri – e questo è uno strumento che ci consentirà di fare in modo che quelle progettualità non si sviluppino più in maniera isolata, ma siano sempre più interconnesse tra loro”.

All’interno di questo piano, tra i progetti più interessanti e attenti alla sostenibilità c’è sicuramente il citizen wallet, una piattaforma per premiare i comportamenti virtuosi dei cittadini – come ad esempio l’utilizzo di servizi di sharing o servizi online, oppure il recarsi nelle isole ecologiche – con crediti spendibili in altre attività, anch’esse volte allo sviluppo della sostenibilità cittadina: un ottimo esempio di come il digitale possa contribuire ad incentivare e spingere i cittadini verso comportamenti sostenibili.

Altrettanto interessante è il progetto piazze smart, che rappresenta un tentativo di innestare il digitale negli interventi di riqualificazione di spazi destinati all’interazione sociale. “Panchine intelligenti, spazi gym in cui l’energia accumulata va ad alimentare gli altri dispositivi, possibilità di scaricare giornali, video, il tutto geo-coordinato da animatori di community che possono assistere le varie fasce della popolazione nell’approcciarsi a questi strumenti”. Insomma: la città deve diventare sempre più sostenibile, ed il digitale è uno strumento fondamentale per farlo.

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