Sostenibilità e mentalizzazione: due concetti provenienti da mondi diversi a confronto

Sostenibilità e Mentalizzazione condividono non poche similitudini: oltre ad essere entrambe l’esito di un lungo processo derivante dalla riflessione consapevole e aperta allo scambio sui bisogni propri ed altrui e su quanto il digitale possa fare per soddisfarli e quanto la sostenibilità possa fare a sua volta per orientare lo sviluppo della tecnologia digitale

Immagine distribuita da Rawpixel con licenza CCO

Due mondi

Nel quotidiano di uno psichiatra e psicoterapeuta ad indirizzo analitico le parole che più frequentemente ricorrono nelle sedute sono sofferenza, dolore, difficoltà, fatica, tristezza, ansia, angoscia, frustrazione. Se va bene, desiderio (per lo più insoddisfatto), piacere (generalmente solo agognato), sesso (abitualmente complicato), impulsi (spesso non controllati) e via nevrotizzando. Positivi o negativi che siano, si tratta comunque di vissuti, percezioni, sensazioni, fantasie, emozioni, pensieri che difficilmente si lasciano oggettivare, determinare quantitativamente, calcolare matematicamente, se non nei questionari dei dipartimenti universitari. Chiedo ora alla gentile lettrice, al gentile lettore, uno sforzo di fantasia per immaginare come si possa sentire lo stesso psichiatra e psicoterapeuta avvezzo a questi discorsi nel bel mezzo degli Stati Generali della sostenibilità digitale al cospetto dei 100 CIO e CINO delle principali aziende italiane che, insieme ai membri della Fondazione e ai partner universitari che ne fanno parte, discutono con precisione e concretezza tra l’altro di  DiSI Corporate, (l’indice che misura il livello di sostenibilità digitale delle imprese, composto a sua volta da tre elementi, la Prassi UNI/Pdr 147:2023 che prende in considerazione undici dei diciassette Sustainable Development Goals (SDG) di Agenda2030 e consta di 58 indicatori (KPI); la DiSI Corporate Platform; servizi a supporto, cioè da servizi di formazione e di affiancamento ai partner, ai soci ed ai membri della Community degli Stati Generali).

Credo risulti evidente che il passaggio dall’uno all’altro dei due mondi, da quello dei vissuti soggettivi a quello della concretezza degli indici è cosa non proprio facile, anche se la contaminazione tra i due sistemi può rivelarsi fruttuosa. Provo allora ad immaginare qualche parallelismo per avvicinare i due mondi. 

Due concetti a confronto

Proviamo a prendere un concetto chiave da ognuno di essi, rispettivamente sostenibilità e mentalizzazione.  Il Rapporto Brundtland definisce la sostenibilità come la necessità di soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri. (Stefano Epifani, Prefazione a Inconscio digitale e sostenibilità) La sostenibilità è dunque una necessaria e consapevole condizione di equilibrio tra generazioni. Se la generazione attuale soddisfa tutti i propri bisogni senza tenere in alcun conto le generazioni future, queste ultime non ci saranno letteralmente più. 

La mentalizzazione viene definita come quel processo mentale attraverso cui un individuo interpreta implicitamente ed esplicitamente, le azioni proprie e altrui come aventi un significato sulla base degli stati mentali intenzionali come i desideri, i bisogni, i sentimenti, le credenze e le motivazioni personali” (Fonagy and Bateman, “Mechanisms of Change in Mentalization‐based Treatment of BPD.”) Riesco cioè a dare un significato al mio comportamento e a quello altrui e dunque ad orientarmi tra l’uno e l’altro solo se faccio lo sforzo di immaginare ed interpretare correttamente i miei stati mentali (affetti, pensieri, desideri) e quelli altrui. Se non faccio lo sforzo di comprendere me e gli altri, il mio mondo è condonato all’insignificanza, niente più fa senso, tutto accade a caso o è determinato, senza alcuna via d’uscita. Non solo. Anche la mentalizzazione è una condizione di equilibrio consapevole e per certi versi necessario, tra me e l’altro. Se io mi immagino come perenne vittima degli altri, mi condanno ad una perenne schiavitù (con il vantaggio peraltro  di potermi sempre lamentare di non poter vivere la mia vita). Se io al contrario mi immagino come il padrone del mondo, mi condanno ugualmente alla privazione di ogni relazione – che è scambio, di pensieri, affetti e desideri – con la conseguenza di avere intorno a me un regno, fatto però solo di cose e persone morte, come accade al re, nella novella Un re in ascolto di Calvino. 

Condizioni di equilibrio dinamico

Le similitudini tra sostenibilità e mentalizzazione non si fermano qui. La sostenibilità è anche una condizione di equilibrio tra, almeno, tre sistemi, quello sociale, economico ed ambientale. La sostenibilità si esercita dunque in un sistema complesso ricercando un equilibrio sempre dinamico e fragile tra sistema sociale, economico e ambientale nella piena consapevolezza che una variazione in uno di tali sistemi ha ripercussioni sugli altri. Se prendiamo come unico parametro di riferimento quello ambientale non tarderemo ad accorgerci delle conseguenze negative sugli altri due sistemi e viceversa. 

Anche la mentalizzazione è un equilibrio sempre dinamico e fragile di quattro differenti dimensioni di noi stessi, organizzate secondo le polarità contrapposte di un continuum, sé verso altro; cognitiva vs. affettiva; automatica vs. controllata; interna vs. esterna. Sembra complicato ma non lo è non appena facciamo qualche esempio. 

Possiamo concentrare la nostra attenzione e la nostra consapevolezza verso noi stessi o verso gli altri/e. Anche qui si tratta di un equilibrio dinamico che prende avvio dal rapporto madre-bambino e si spinge fino alle nostre relazioni più sofisticate con gli altri/altre individualmente e in gruppo. Il pericolo non deriva dall‘uno o dall‘altro polo, ma dal fatto di fissarci su uno o sull‘altro e di perdere la flessibilità per adattarci di volta in volta alle circostanze, al nostro stato psichico a quello altrui e così via. 

Analogamente dobbiamo mantenere la capacità di oscillare adeguatamente tra affetti e pensieri se con vogliamo ridurci a esplosiva e devastante emozionalità o astratto e inospitale raziocinio. 

La nostra capacità di comprendere gli stati d’animo altrui deve essere allenata ad andare al di là della banalità (trema, ha freddo; suda, ha caldo) e dei soliti stereotipi (ha la faccia contratta quindi è arrabbiato, ha postato la foto di un paesaggio in tempesta quindi è in crisi) che altrimenti diventano pregiudizi, la nostra mentalizzazione oltre che implicita (o automatica) deve diventare cioè anche esplicita (o controllata) ponendosi domande e partendo sempre dalla convinzione di non sapere.

Infine la mentalizzazione può basarsi sui processi interiori (sto sognando molto, quindi qualcosa sta lavorando in me) o sui comportamenti esteriori (non mi ha salutato quindi gli/le sto antipatico ma anche in questo caso le informazioni più utili mi verranno dall’integrazione dinamica di entrambe le fonti, interiore ed esteriore.

Modalità pre-riflessive

Anche la sostenibilità infine, come la mentalizzazione è l’esito di un lungo processo, almeno la sostenibilità matura e consapevole di cui sono stati portati esempi concreti agli Stati Generali della Sostenibilità. Prima di arrivare alla mentalizzazione, ci insegna l’Infant Research , passiamo attraverso stadi meno maturi, detto appunto pre-riflessivi. 

 Quando, tra uno e due anni, facciamo i “capricci” per avere subito a nostra disposizione la mamma, il papà, il giocattolo caduto o rotto, siamo nella fase teleologica, nella quale ci interessa solo il nostro scopo e che gli altri lo portino a compimento come vogliamo noi. Nel caso della sostenibilità, si trova ancora in questa fase chi ha in testa un solo scopo, ad. esempio la sostenibilità ambientale ad ogni prezzo e contro ogni logica e vede negli altri solo degli strumenti per realizzarla. La disponibilità al confronto e alla collaborazione di queste persone – ma bisogna  aggiungere più correttamente di tutti/e noi quando ci comportiamo così – è pari a quella del bambino/a di uno, due anni. 

 Tra i due e tre anni ci muoviamo verso una fase in cui tendiamo ad assumere che la realtà sia come ci sentiamo noi. Se noi abbiamo paura la realtà è paurosa e minacciosa, se noi piangiamo la realtà è triste, se siamo convinti che sotto il letto c’è un fantasma o un coccodrillo a nulla varranno le rassicurazioni razionali dei nostri genitori per convincerci del contrario. È la modalità dell’equivalenza, tale per cui immaginiamo che la realtà corrisponda al nostro pensiero. Anche per quanto riguarda sostenibilità possiamo convincerci che l’unica sostenibilità possibile sia la nostra, che l’unico modello compatibile sia il nostro, che non esista sostenibilità al di fuori di quella, a senso unico, che noi percepiamo 

 Verso i quattro-cinque anni si va però sviluppando in noi la capacità di giocare con la realtà psichica, di separare gli stati mentali propri ed altrui dalla realtà esterna e dunque di fare “come se”, come se ad es. il papà che imita il lupo fosse il lupo stesso. In questa modalità- che è bene sottolinearlo è propria di tutti noi anche da adulti/e – corriamo però il rischio di fare a parole come se il lupo non ci fosse ma dentro di noi di rimanere paralizzati dalla paura, di operare cioè una dissociazione tra affetti e pensieri, tra realtà esterna ed interna. È il caso ad es. di chi si dice consapevole dell’utilità del digitale per la mobilità, ma non è disponibile ad utilizzare metodi per la riduzione dei consumi di carburante, a spendere di più per l’auto elettrica, a fare sforzi per il car sharing etc. Ma è anche la modalità di chi vuole una sostenibilità digitale al ribasso utilizzando come minimo comun denominatore ciò che è accessibile a tutti/e anziché giocare al rialzo ed arricchire l’accessibilità con soluzioni specifiche per ciascuna disabilità o diversa forma di percezione. 

Riflessione consapevole ed aperta allo scambio

Non ho alcuna competenza per definire quale sia la sostenibilità matura, riflessiva, a maggior ragione in ambito digitale. Credo però che, come la mentalizzazione, anche la sostenibilità digitale non sia un processo automatico, spontaneo, né facile, ma derivi dalla riflessione consapevole e aperta allo scambio sui bisogni propri ed altrui e su quanto il digitale possa fare per soddisfarli e quanto la sostenibilità possa fare a sua volta per orientare lo sviluppo della tecnologia digitale.

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