Diete mediatiche sbilanciate


Le aule non hanno più pareti

Abbiamo visto nella precedente puntata come il Censis ritenga che il “Press Divide” (la mancanza nella dieta mediatica dei mezzi a stampa) “si stia avviando a limitare fortemente le potenzialità cognitive di un’intera generazione”. L’esperienza mi offre sinceramente una visione meno disperante, ma evidenzia anche alcune problematicità specifiche.

Sono all’Università, come professore a contratto (diciamo uomo d’azienda in prestito) da circa dieci anni. Tradotto, vuol dire: oltre duemila studenti, duecento tra tesi e project work, vari laboratori, eventi progettati e vissuti insieme, un colloquio costante sia on line sia in aula. Aula che, metaforicamente, si misura sempre di meno in metri quadrati e sempre di più in pixel: quello che si discute, infatti, tracima subito on line e le domande non arrivano solo dai banchi ma anche da studenti che sono in Erasmus a Dublino, a Barcellona, a Oslo e che seguono tramite Skype o simili. Sarebbe presuntuoso affermare “conosco i giovani”, ma posso esprimermi con qualche cognizione di causa sul loro sistema di apprendimento e di proposizione.

Quando il media plan è sulla Tshirt
Esemplifico. Siamo alla Sapienza di Roma, durante l’ultimo appello estivo dell’esame di “Pianificazione dei media”. L’esemplare della specie “nativo digitale” che ho davanti, mi sta illustrando un progetto di “piano mezzi” per una campagna sociale. Con gli strumenti che gli vengono più familiari: a ogni domanda risponde con poche parole. Quelle che bastano per riempire l’intervallo di tempo necessario perché sul suo Ipad faccia comparire la soluzione che ha messo a punto, utilizzando un software enfatico e un paio di “apps” per la rappresentazione dei contenuti con effetti speciali. Ovviamente non si è fatto mancare la “AR” (realtà aumentata) e una versione più leggera del piano che presenta è scaricabile anche su smartphone, semplicemente inquadrando il Qrcode che si è stampato sulla maglietta. Davanti e dietro. I colleghi, alle sue spalle, apprezzano. E scaricano.

Considero quindi affrettata l’affermazione che Internet genererebbe comunque nei giovani una cultura superficiale, che appiattirebbe la loro creatività e che da tutto questo ne discenderebbero anche carenze linguistiche ed espressive. Non rilevo sostanziali differenze sotto questi aspetti dalle generazioni che li hanno preceduti: sono parimenti intuitivi e creativi con linguaggi inevitabilmente diversi e suggestivi, grazie anche alle possibilità offerte dalla tecnologia.

La progressiva dissociazione tra conoscenza ed esperienza
Concordo con il Censis invece sulla progressiva dissociazione tra conoscenza ed esperienza per le nuove generazioni, e sulla difficoltà a gestire la complessità (in particolare nei maschi, le donne sono decisamente più attrezzate). A fronte di un’informazione a pioggia e di un sistema relazionale quantitativamente debordante nel quale sono immersi, i giovani rischiano di “conoscere senza sapere” tutto quello che succede nel mondo; molto spesso cioè senza averne esperienza, senza una vera consapevolezza.

I messaggi preferiti sono quelli audiovisivi, i testi li leggono prevalentemente (o esclusivamente) su schermo. E’ difficile concentrarsi sui testi “a video” così com’è possibile fare su un testo stampato: più che leggere, navigano. In pratica s’introducono “a una dimensione che è tipica della comunicazione orale, in cui le cose vanno comprese nel minor tempo possibile, in cui l’impatto emotivo ha la preponderanza sulla coerenza logica degli enunciati, in cui lo stesso spazio concesso agli argomenti assume valore di significato, in cui l’aspetto agonistico del confronto tra persone prende il sopravvento sulla capacità argomentativa*”.  Ma questa “dimensione” preoccuperebbe di meno (del resto la comunicazione orale è irrinunciabile) se fosse integrata da una dieta mediatica bilanciata, nella quale i mezzi a stampa continuassero a giocare un ruolo.

Lo dico anche sulla base di alcune esperienze, che vi racconterò nella terza e ultima puntata, dalle quali sembra emergere che chi ha una dieta mediatica più bilanciata riesce a procedere fino in fondo nel processo sapere-capire-avere consapevolezza-metabolizzare. Come dire che è capaci di elaborare le informazioni fino a farle diventare patrimonio proprio. E a valore aggiunto.

*Censis-UCSI Nono Rapporto sulla Comunicazione, pag.74 – Franco Angeli editore

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4 COMMENTS

  1. Un’analisi ben circostanziata e supportata da esperienza diretta che rivela grande sensibilità e conoscenza del mondo studentesco giovanile. Concordo con la visione di un’era mediatica caratterizzata da overload informativo e dalla progressiva dissociazione tra conoscenza ed esperienza per i giovani, non sempre in grado di affrontare un sistema comunicativo e relazionale elaborato. Nuovi strumenti come smartphone, tablet, internet tv, console, sono solo alcuni dei device che stanno trasformando, insieme ai social network, le modalità di fruizione di contenuti. In un’ottica crossmediale, l’informazione online e quella offline si integrano ma, come giustamente segnalato, spesso accade che l’utilizzo di media tradizionali e quello dei media digitali, non sia ben bilanciato.

  2. Vedi Laura, io credo che lo sbilanciamento sia anche tra sfera emotiva e sfera razionale: Nel senso che la prima, che finisce per prevalere, è sollecitata troppo spesso da espedienti tipici di quello che definisco “consumismo emotivo”. Ne parleremo nella terza, e ultima puntata, dal titolo: “ANCORA CORRI DOVE TI PORTA IL CUORE? NON BASTA.”

  3. Sono incuriosita e affascinata dal tema. Non perderò la prossima puntata. Grazie Marco.

  4. Scusi prof.! ma non sta esagerando con l’effetto teaser…? Quando esce sta terza puntata? sta storia del cuore che non basta più intriga, ma quando esce?

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