Gli stakeholder dell’agenda digitale

Non pensavo che una diretta  radiofonica (via web naturalmente) potesse essere così utile nello spiegare cosa sta accadendo attorno a quello che è già un tormentone nazionale, vale a dire l’Agenda Digitale Italiana.

La diretta di Radio Radicale sul dibattito parlamentare in materia di emendamenti al Decreto Semplificazioni di  venerdì 17 febbraio è stata in realtà illuminante, al di là di momenti fantozziani, difficoltà di lettura dei termini un po’ più ostici e del brusio di fondo, chiaramente legato alla volontà di tornare rapidamente a casa propria, prima che scuocesse la pasta.

L’Europa ci guida
Ormai lo sappiamo, e in fondo ci conviene, obiettivi e strategie ci vengono indicati da Bruxelles, mentre a noi spetta la localizzazione nazionale e la definizione delle azioni più opportune. L’Agenda Digitale è la pietra angolare della politica europea perl’uscita dalla crisi e il rilancio dell’economia, nonostante il gioco di tutte le lobby settoriali che ovviamente cercano di fare i propri interessi. Non a caso, l’Agenda Digitale è strettamente interconnessa con l’ammodernamento del sistema pubblico, in primis la sanità, ma anche con le politiche di risparmio energetico e di sviluppo sostenibile.

Moltiplicatore digitale
Senza arrivare alla vetta dei modelli econometrici che tentavano di spiegare la valenza mirabolante in termini di moltiplicatore del PIL del progetto per portare l’Olimpiade a Roma, sembra esserci un ragionevole consenso sul fatto che investire oggi risorse nell’economia digitale può portare a effetti positivi e duraturi sullo sviluppo del Paese. Il motivo è molto semplice: perché stiamo parlando di innovazioni che sono intrinsecamente sia di prodotto che di processo, con impatti che si estendono dalla dimensione aziendale fino alla sfera istituzionale. La metafora prevalente è stata l’informazione come energia vitale del ventunesimo secolo.

Ritardo Italia
Tutti hanno letto le pagelle che ci ha inviato l’Unione Europea sullo stato dell’arte dell’economia digitale in Italia. A differenza del passato, anche perché l’attuale Governo è geneticamente innocente, sono state snocciolate tutte le nostre debolezze, a partire dalle carenze infrastrutturali fino al nostro livello di alfabetizzazione digitale, più vicino a quello della sponda meridionale del Mediterraneo che non dei fiordi del Nord Europa. Si percepiva quasi un po’ di sadismo nell’elencare l’arretratezza  del nostro paese, salvo incespicare ad ogni passaggio che richiedeva una comprensione meno che basilare dei temi trattati. Ad onor del vero, la manualità nell’utilizzo degli smartphone sembra largamente consolidata anche sugli scranni parlamentari, a cominciare del multitasking.

Switch Off
I modelli televisivi ci piacciono sempre molto. Lo spegnimento della TV analogica è probabilmente l’unica cosa che siamo riusciti a fare nei tempi concordati dal dopoguerra ad oggi. Visto che poi ora tocca ad altri è buona cosa chiedere azioni incisive e tempi certi sullo spegnimento di anacronistiche procedure analogiche basate su stratificazioni di carta, nonché infernali e inutili duplicazioni tra uffici (passacarte e portaborse sono gli attori chiave della commedia all’italiana). Il tema è sacrosanto e deve essere posto in cima alle priorità, senza dimenticare che prima di automatizzare occorre sempre semplificare.

Overdose Infrastrutturale
La centralità della rete e l’importanza delle reti di nuova generazione è ormai molto più metabolizzata di quanto noi “esperti” possiamo immaginare. Da più parti è stata ricordata la genesi delle telecomunicazioni mobili e il più recente sviluppo delle reti a banda larga. Allo stesso tempo, si è alzato un “j’accuse” sul ritardo nell’ammodernamento delle reti. Al punto che sembra quasi che fatta l’autostrada tutto il resto possa germogliare spontaneamente. Infrastrutture senza servizi rimane però “cavallo senza motore”.

Telecom Italia
Più contrastato invece l’aspetto legato a chi dovrebbe fare il primo passo e portare le nuove infrastrutture di rete sul territorio. “Telecom Italia, amore odio” si potrebbe riassumere. Pur riconoscendo il valore per il Paese e, meno chiaramente, le scelte passate che portano oggi a dover interagire con un soggetto privato e multinazionale, al proprietario della rete di telecomunicazioni fissa molti chiedono di procedere con decisione lungo la strada delle reti a banda ultra larga, a costo di ipotizzare processi “coercitivi” non bene identificati, anche oltre la “moral suasion”. I toni e le modalità sono stati spesso più da comizio che da dibattito e il tema richiede un approfondimento che rimandiamo a prossime puntate. Le nazionalizzazioni forzate fanno parte di un’epoca passata, le dinamiche di mercato e tecnologiche consentono di percorrere altre strade.

Siamo maggioranza
Nonostante un po’ di sconcerto su alcuni passaggi, il movimento bipartisan sull’economia digitale e la chiara consapevolezza che gli italiani della rete sono maggioranza ci  deve portare un po’ di ottimismo sulla possibilità che si  inneschi un processo più deciso di digitalizzazione del nostro Paese. Sempre che i dibattiti parlamentari vengano tenuti lontani dagli orari di partenza di treni e aerei che riportano a casa il legislatore …

Microeconomia
Al di là degli scenari macroeconomici auspicati da tutti, la conquista digitale deve definitivamente fare breccia nella quotidianità delle aziende. Dimostrare che semplificazione e digitalizzazione possono essere sinonimi, o almeno molto parenti, è una sfida che si può vincere.

In fondo, gli stakeholder dell’Agenda Digitale siamo noi cittadini e a Roma iniziano ad esserne consapevoli. Dopo aver scelto il titolo, delineati i capitoli, ora tocca alla stesura.

Facciamo presto.

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