Farsi una propria community? Attenzione al come…
Costruire attorno al proprio prodotto, alla propria marca, una community di utenti è una delle modalità innovative che il mondo del digitale prima e del Social poi ha portato nell’arsenale delle aziende marketing-oriented.
Uno degli aspetti su cui ragionare è però la modalità in cui si vuole costruire questa community e “dove”; ad esempio se si intende sfruttare il potenziale dei Social Media (e aggregare una community su Facebook) o se si vuole cercare di costruirsene una in un “Walled Garden”, in uno spazio proprio, esclusivo, fuori dai circuiti dei Social.
La community è come un negozio monomarca
La cosa più importante è sempre aver ben chiare le proprie possibilità e non peccare d’orgoglio. Da un certo punto di vista, fare una propria community “indipendente” dai Social è un po’ come fare un negozio monomarca.
Mentre fare un flagship store può essere un’ottima idea per marchi come Levi’s, o come Bulgari, ben diversa è la situazione per una marca come Dixan, o Bertolli.
Analogamente per la community: possiamo immaginare sia più semplice, molte volte, attrarre traffico ed engagement mantenendo le persone all’interno di questo grande contenitore Social dove già spendono molto tempo, piuttosto che cercare di convincerle ad uscirne e a visitare un altro sito, iscriversi e interagire con un’ennesima comunità.
Ci sono i pro e i contro
Certo, farsi una propria community ha il vantaggio di avere un maggiore controllo su quello che facciamo, sui dati che raccogliamo. Di non dover sottostare ai limiti che ci può porre Facebook. Di dare alla nostra marca uno standing adeguato alla sua percezione… se già abbiamo questo standing superiore o riteniamo con fondati motivi di poterlo raggiungere.
Se siamo ad esempio un “Lovemark”, una marca che ha già uno stuolo di appassionati e fedeli follower, questi potranno essere disponibili a seguirci in un territorio esclusivo.
Se invece il livello di engagement è basso, il coinvolgimento emotivo è limitato, l’impresa potrà essere difficile.
E quindi il primo ragionamento da fare è che per lavorare su una community di marca bisogna innanzitutto costruire e lavorare sulla marca, prima di pensare ai Social e alle community. Bisogna strategicamente dare una priorità al diventare una pietra miliare nel mondo relazionale dei nostri utenti e prospect, prima di cercare di forzarli a interagire comunitariamente con noi, magari basandoci sulle nostre velleità più che sui loro effettivi driver, interessi, affetti.
In uno scenario di limitata maturità del mercato e, diciamocelo francamente, di budget insufficienti per raggiungere gli ambiziosi obiettivi posti, bisogna essere realistici e domandarsi se davvero siamo pronti, come azienda, a fare una nostra community.
Una community ad hoc richiede tempi e costi di sviluppo dell’ambiente, molto più onerosi dell’appoggiarsi a piattaforme esistenti. Richiede un pensiero strategico forte e coerente, richiede un impegno quotidiano e intelligente per gestire, animare, far crescere e interagire la community. E su questo, ad esempio, si veda l’illuminante caso di Tesco.
Insomma, se il negozio dev’essere monomarca, bisogna lavorarci molto di più rispetto a quanto si farebbe mettendo i nostri prodotti sullo scaffale di un supermercato 😉
L’evoluzione è possibile
Di certo possiamo e dobbiamo adottare una strategia adeguata alle nostre risorse, ai nostri obiettivi, a quanto ci crediamo. Magari partendo dal piccolo per poi evolvere, scalando verso l’alto. Senza fare il passo più lungo della gamba e sottovalutare le complessità che, sul digitale e sul social troppo spesso sono un po’ nascoste ai non addetti ai lavori… che a metà dell’operazione rischiano di trovarsi una brutta sorpresa e il progetto che si inchioda.
Facebook Comments