Nel nuovo mondo dalle progressive sorti digitali, un parametro (e forse solo uno) è assolutamente chiaro: fai un errore e ti salteranno alla gola. Dai un disservizio e a gran voce un numero grande o piccolo di antifan chiederà la tua morte. Invocherà la chiusura dell’azienda (e il conseguente licenziamento di persone incolpevoli).
Un battibecco fra due persone diventerà un Trend topic perché letto come un attacco imperdonabile a tutto il popolo della rete. Ne resterà traccia per un tempo infinito, perché i motori, nel cyberspazio non dimenticano (e una riflessione seria sul diritto all’oblio dovremmo veramente farla)
Fame di vendetta, rotolino le teste
Parte del problema è che aziende e istituzioni troppe ne hanno fatte ai cittadini, negli ultimi secoli (decidete voi quanti), approfittando di posizioni dominanti e dell’asimmetria informativa. Due fattori hanno contribuito a questo giacobinismo dilagante, con le tricoteuse digitali in prima fila in attesa di veder rotolare le teste.
Il primo: Internet e I social media, che ci hanno dato voce.
Il secondo: la mania delle aziende di voler instaurare relazioni emotive con il proprio pubblico.
Di creare un interscambio affettivo tra persone e marca. Da planner, da stratega, mi prendo la mia parte di responsabilità.
Costruire affettività, relazione è una strategia potente, che smarca la marca dalla battaglia per il prezzo, dal confronto stretto sulle prestazioni e le caratteristiche. Crea differenza, butta la lotta su un piano diverso. Con però un piccolo problema: nulla e nessuno è più vendicativo di un amante deluso.
La vendetta dell’amante deluso
Il problema è che non è per niente facile per una marca diventare un lovemark e, soprattutto,
restarci – specialmente se i basics di business non sono a posto e se la nostra dichiarazione/ richiesta d’amore si deve confrontare con una performance sub standard.
E’ allora un attimo passare dal lovemark all’hatemark.
Innescare una viralità negativa, assistere alla nascita di evangelisti dell’apocalisse, che predicano all’universo connesso la cattiva novella. Che invocano dell’apocalisse i quattro cavalieri versione 2.0 che scendano e radano al suolo le nostre sedi e la nostra marca. Che condannino management e maestranze a chiedere la carità – per lesa maestà della dignità delle persone.
D’altra parte questi propagatori di odio nei confronti di imprese e organizzazioni spesso almeno una parte di ragione ce l’hanno.
Abbiamo voluto vestire un rapporto commerciale di amorosi panni. Un gioco pericoloso. Specialmente quando alla fine si rivela che (noi azienda) siamo pronti a proclamarci innamorati dei clienti – a condizione che ci caccino i loro soldi. E tutte le volte in cui si sospetta uno scambio di affetti in cambio di denaro, spuntano inevitabili parallelismi con mestieri di antichissima tradizione.
E il giocattolo si rompe.
Pensavo fosse amore e invece era solo un modo per separarmi dai miei soldi, per di più fingendo. Ahimè il Re è sempre più nudo, e non possiamo stare fuori da questo gioco. Se siamo un onesto (e noioso) commerciante che non se la tira tanto e si focalizza sul prodotto, minimizziamo i rischi di critica. E probabilmente nel medio termine diventeremo irrilevanti rispetto a un concorrente che aggiungerà intangibili valoriali al mero prodotto, alla commodity.
Senza un buon prodotto, difficile fare una buona comunicazione che non ci scoppi poi in mano. Ai bei vecchi tempi di alieni sull’astronave ce n’era solo uno. Ora sono milioni, e sono cattivissimi.
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