Amazon e Facebook come Google, solo 1mln di tasse in Italia

Non c’è solo Google a fare lo slalom tra le aliquote del fisco italiano. Anche altre filiali dei colossi di internet basate nel nostro Paese hanno versato all’erario imposte irrisorie: nel 2012 Amazon ha pagato in tasse circa 950 mila euro, Facebook poco meno di 132 mila euro. Entrambe le multinazionali, come Google (che nel 2012 ha pagato in Italia solo 1,8 milioni di tasse), dispongono di una struttura societaria che prevede che la loro filiale italiana non fatturi la pubblicità raccolta o le vendite realizzate nel nostro Paese ma registri come ricavi i servizi prestati a un’altra società del gruppo, collocata in uno stato a fiscalità più morbida: l’Irlanda, per quanto riguarda Facebook e Google, e il Lussemburgo per quanto riguarda Amazon. L’effetto è quello di sottrarre quote di imponibile al fisco italiano spostandole – in modo legale secondo i colossi del web – dove vengono tassate meno. I 18,4 milioni di ricavi di Amazon Italia Logistica e i 7,4 milioni di Amazon Italia Services, le due controllate della lussemburghese Amazon Eu Sarl, viene spiegato nei rispettivi bilanci, sono rappresentati da “prestazioni di servizi resi con riferimento al contratto in essere nei confronti del socio unico”.

Anche per quanto riguarda Facebook la voce “ricavi da vendite e prestazioni“, pari a 3,1 milioni, “si riferisce ai servizi prestati, in dipendenza dei rapporti contrattuali in essere con Facebook Ltd – Ireland per la promozione di servizi nel mercato italiano“. Uno schema analogo a quello di Google Italy che, dei 52 milioni di ricavi del 2012, ne ha incassati 49,8 da Google Ireland e 2,4 dalla capogruppo americana, società di cui è “fornitore di servizi di marketing e di ricerca e sviluppo“.  Poca cosa in confronto a quanto avrebbe dovuto pagare se il giro d’affari pubblicitario generato in Italia fosse stato tassato qui (tra il 2002 e il 2006 la Gdf ha ipotizzato 96 milioni di iva non paqata più altri 70 milioni di imposte schivate per via di un imponibile di 240 milioni non dichiarato). “Google rispetta le normative fiscali in Italia e in tutti i paesi in cui opera” ha replicato il colosso di Mountain View. “Se ai politici non piacciono queste leggi – è il ritornello della società – loro hanno il potere di cambiarle”.

Ed è quello che i grandi della terra sembrerebbero intenzionati a fare. Le strategie fiscali delle multinazionali sono finite anche nel mirino dell’ultimo G20 che ha dato pieno sostegno al piano dell’Ocse per combattere la prassi di spostare i profitti verso giurisdizioni fiscali più accomodanti. Sia tra i governi che tra i cittadini cresce infatti l’insofferenza verso le multinazionali miliardarie – da Apple a Google, da Amazon a Starbucks – che attraverso una sofisticata pianificazione fiscale sono riuscite ad abbattere le loro aliquote a livelli inferiori di quelli di una piccola media impresa e di un comune cittadino.

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