A nessuno piace parlare di morte. Nemmeno di quella degli altri, figuriamoci della nostra. Forse è per questo che, almeno in Italia, dove siamo pur sempre mediterranei, e quindi al solo sentir nominare la morte persino il Geek più incallito e tecnologico si produce in un arcaicissimo scongiuro, si parla tanto di vita virtuale, ma pochissimo di cosa succede o può succedere quando la vita nostra reale finisce, ma quella virtuale rischia di prolungarsi all’infinito perché vivi, o almeno ancora formalmente attivi, restano i nostri account.
A me è capitato di pensarci perché nei giorni scorsi è mancato improvvisamente una persona che non posso definire un amico perché ci eravamo incontrati e frequentati poco, ma che comunque era uno di quegli uomini che lasciano il segno in chi incrociano. Mi è capitato di pensarci perché, a causa della improvvisa comparsa, a qualche ora dalla morte il suo account era ancora “attivo”, nel senso che, probabilmente grazie a post programmati chissà quanti giorni prima,su Twitter continuavano ad apparire suoi tweet.
Non ci pensiamo mai, ma la nostra vita virtuale, sui Social, sui blog, non solo ha i suoi canali indipendenti, ma anche i suoi ritmi. Noi possiamo non esserci più e lei procedere ancora. E non solo perché possiamo preventivare la programmazione di post già scritti, che diventano così postumi a nostra insaputa, ma anche perché i nostri account devono essere disattivati tramite la nostra password, e finché qualcuno non lo fa continuano a rimanere lì, magari silenti, ma “vivi”. E il problema è anche che noi spesso sappiamo a memoria le nostre password, i nostri nomi utente, ma raramente li comunichiamo a qualcuno che possa essere in grado di chiudere i nostri account se noi siamo impossibilitati a farlo. Facebook permette di disattivare gli account solo ai parenti “certificati”. Ma sarebbe il caso di chiedersi, in Italia, cosa possa voler dire, alla luce della vigente legislazione: una moglie o un marito possono aver titolo, ma probabilmente non i compagni o i fidanzati. A decidere del mio account fb potrebbe essere la zia Rosina, che non vedo da quando avevo sei anni e non sa nemmeno che Facebook esiste. E la zia Rosina non vorrei che potesse leggere anche tutte le mie chat con gli amici, o i fidanzati, o gli amanti, perché per una vita glieli ho tenuti segreti, ed il fatto che dopo morta diventino “suoi” mi infastidisce.
Invece accadrebbe proprio questo, se qualcuno la ritenesse la legittima erede e quindi titolare del mio account: con l’accesso al mio profilo sui Social la zia Rosina avrebbe il diritto di farsi, dopo la mia morte, tutti quei fatti miei che le ho negato di potersi fare in vita.
E quindi, direte voi? E quindi niente. Questo è un post nato dalla malinconia per una morte improvvisa. Che però fa pensare che in Italia siamo un po’ indietro sulla Agenda Digitale in tutti i sensi: non solo perché ci mancano infrastrutture, ma anche perché non sappiamo esattamente cosa possa succedere ai nostri dati, alle nostre conversazioni una vota che saremo morti. Preferiamo fare gli scongiuri, e credere, mediterraneamente, che a noi la morte non succederà mai.
in realtà neanche negli altri paesi sono molto avanti in questo senso anche perché c’è il problema legale a chi lasciare le password per accedere ai propri accounts.
Per mio penso che non è affatto detto che fra 30/40 anni dati della mia probabile morte naturale ci sarà ancora internet. Non dimentichiamo che essa dipende da sistemi che hanno bisogno di una barca di energia. Già adesso è previsto che nel 2020 la corrente che servirà per alimentare i datacenter consumerà più energia delle delle compagnie aeree. Il che mi lascia aperta la possibilità che tutto il mio contenuto digitale venga spento per poi essere riattivato da alieni che visiteranno il nostro mondo nei millenni avvenire e quindi di lasciare una traccia abbastanza lunga