Social Collaboration e aziende italiane: a che punto siamo?

“Un insieme di strategie, processi, comportamenti e piattaforme digitali che consentono a gruppi di persone all’interno dell’azienda di connettersi, di interagire e lavorare ad un comune obiettivo di business”. E’ questa la definizione più calzante per la “Social Collaboration” secondo Stefano Besana ed Emanuele Quintarelli che, da luglio a settembre 2013, hanno condotto una indagine, la Social Collaboration Survey 2013, su 300 aziende italiane sulle modalità di adozione dell’enterprise collaboration in azienda.

La Social Collaboraton Survey” ci spiega Quintarelli “nasce per colmare un gap molto preciso presente finora sul mercato: la mancanza di dati quantitativi, neutrali, cross-industry in grado di aiutare le aziende italiane a comprendere il valore della collaborazione tra dipendenti ed ad individuare le best practice di introduzione dei nuovi modelli di lavoro al proprio interno”. E dai risultati emergono le caratteristiche salienti del comportamento delle imprese già attive sul tema collaboration nel nostro Paese oltre a fornire best practice significative.

Innanzitutto l’indagine rivela chiaramente due aspetti: “da una parte il ruolo centrale che la collaborazione rivestirà nella realizzazione del risultato aziendale nei prossimi anni (molto importante per il 75% dei partecipanti entro il 2016) e dall’altra l’assoluta necessità di un processo di roll-out sistematico, con i giusti investimenti, l’esplicito commitment da parte del top management, la creazione di competenze interne, l’attenzione ad obiettivi di business e misurazione. Un approccio di questo genere è purtroppo ancora raro in Italia se più della metà delle aziende partecipanti con progetti all’attivo non è ancora riuscite a coinvolgere neanche il 30% dei proprio dipendenti” spiega Quintarelli.

Parlare di Social Collaboration, poi, in grandi aziende e piccole, è di fatto differente. Le grandi sono mediamente più propense alla collaborazione e pronte a riconoscerne il valore, ma sono altrettanto focalizzate sul ROI, sulla possibilità quindi di calcolare precisamente i ritorni di tali investimenti. Mentre per le piccole imprese l’adesione alla collaborazione è, di fatto, un problema essenzialmente di cultura aziendale. Tanto che per affrontare con successo il percorso di avvicinamento alla Social Collaboration: “è necessario superare due barriere molto precise: l’allineamento della cultura interna affinché possa facilitare la circolazione della conoscenza (52%) e la comprensione del potenziale economico del fenomeno da parte dei decisori aziendali (50%). Le organizzazioni più mature hanno smarcato da tempo questi ostacoli e sono invece concentrate sul migliorare la capacità di misurazione dei ritorni dell’investimento (38%).”

Social collaboration

Questo il panorama italiano. Ma nel resto del mondo a che punto è l’adozione della Social Collaborazion nelle imprese? Quintarelli spiega: “La nostra ricerca si basa volutamente su un campione tutto italiano. A partire dall’esperienza maturata sui progetti e dagli studi internazionali, possiamo tuttavia affermare che parte del mercato europeo (ad esempio Francia, Spagna, Germania, Portogallo) mostra dinamiche abbastanza simili a quelle italiane. Al contrario UK e Stati Uniti sono economicamente e culturalmente più aperti verso la collaboration con livelli maggiori di adozione e di utilizzo da parte dei dipendenti.”

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