Concretamente digitali: i piani nazionali per le reti a banda larga e ultralarga

Una delle principali ricchezze del nostro Paese è la creatività dei suoi cittadini. Idee geniali che ci hanno resi famosi in tutto il mondo, ma che talvolta diventano anche il nostro più evidente difetto; soprattutto se ci troviamo in ambienti lavorativi soggetti a spoil system, dove quindi i nuovi arrivati appassionati delle proprie nuove idee, dimenticano di gestire la più noiosa execution di Piani già in corsa. Motivo per cui, in Italia più che mai, ci troviamo a gestire con fatica il problema dell’interoperabilità di centinaia di “meravigliose” soluzioni di egov che hanno l’unico difetto di non parlarsi fra di loro. Risultato di dubbia utilità e massima spesa pubblica.

Fortunatamente ce ne stiamo accorgendo e guardando al 2013 possiamo dire che è stato un anno di grande riflessione, dove poco di nuovo è stato inventato sul fronte digitale, e qualcosa del decreto Crescita 2.0 (179/2012 convertito in l.n. 221/2012) è stato attuato. Per esempio, sono stati fatti tutti i bandi di gara per completare il Piano Nazionale Banda Larga.

Viene prima la banda o i servizi?

digital divideUn Piano nato nel 2009 (ai sensi della l.n. 69/09) per azzerare il digital divide del Paese e portare, al 12 per cento degli italiani allora esclusi dal servizio di connettività a banda larga, almeno 2 mbps. Un Piano ambizioso e  oneroso – quasi 1 miliardo di euro – ma che ha garantito a tutti gli italiani uno di quei diritti che ormai sono considerati primari: la possibilità di connettersi a internet. Non è stata una vicenda semplice: ora sono tutti convinti della necessità di azzerare il digital divide, ma nel 2009 – credetemi – si sentivano gli stessi discorsi che oggi si fanno per la banda ultralarga “il problema è culturale, la gente non usa internet, figuriamoci in quelle aree rurali in cui non arrivano nemmeno gli operatori di tlc. Quando anche li ci sarà domanda il mercato ci arriverà. “2 mbps per fare cosa? Con le minidislam a 640 kbits fai tutto ciò che ti serve e spendi la metà..” infatti, nel 2009 furono banditi ancora alcuni bandi pubblici regionali per portare 640 kbits alla cittadinanza. Altri soldi pubblici gettati al vento.

Pubblic Co-working per la Rete

Dubbi che candidavano le risorse pubbliche dedicate al Piano Nazionale Banda Larga ad essere le prime oggetto di tagli, per esempio le risorse dedicate al Piano sono state utilizzate per la  compensazione conseguente all’abolizione dell’IMU… Tutto fu più importante del Piano Banda larga, infatti, gli 800 milioni di euro a valere sui FAS (Fondo per le aree sottosviluppate, ora Fondo sviluppo e coesione), non sono mai stati deliberati dal CIPE. Avremmo ancora 8 milioni di italiani senza internet se Amministrazione centrale e Regioni non avessero collaborato. Il Piano era serio, concreto, inattaccabile e propedeutico alla banda ultralarga. Il Ministero dello sviluppo economico lo raccontò a tutte le Regioni italiane, lo notificò alla Commissione europea che lo approvò e ne autorizzò la spesa dei fondi comunitari. Ci inventammo un sistema per cui i fondi regionali potevano essere spesi anche dal centro, assicurando economie di scala notevoli. Anche i Dipartimenti regionali per lo sviluppo delle aree rurali si appassionarono del Piano Nazionale Banda Larga, convinti che la Rete era l’unica soluzione per azzerare le distanze e inserire le aree rurali in un circolo più virtuoso e competitivo.

Abbiamo messo insieme le risorse più eterogenee: fondi nazionali, regionali, europei per lo sviluppo regionale (FESR), europei agricoli per lo sviluppo rurale. Circa 850 milioni di euro che hanno fatto del Pubblico uno degli investitori più importanti nel settore delle TLC. Nel 2012 mancavano 150 milioni di euro per completare il piano e portare la banda larga anche ai cittadini che risiedevano nelle aree più difficili da raggiungere, soprattutto nel centro nord del rPaese. Il Ministero dello sviluppo economico era guidato dal Ministro Corrado Passera, lui fu l’unico che riuscì dopo tanti anni a portare a casa i fondi che hanno permesso il completamento del Piano.  La vicenda non finì, come sappiamo il decreto fare (l.n. 69/09) tagliò di 20 milioni la dotazione finanziaria, subito ripristinata però dalla legge di Stabilità. Nel 2013 bandimmo per l’attuazione del Piano Nazionale Banda Larga quasi 300 milioni di euro. Al 2014 resta ancora da fare un bando per il sostegno alla domanda dedicato alle 200mila case sparse localizzate nelle aree più remote del Paese in cui è necessario sovvenzionare l’accesso al servizio di connettività, poiché davvero molto oneroso.

La nuova sfida per cui vale la pena lottare

fibra-otticaQuattro anni complicati con un happy ending che rende la storia ancor più appassionante e ci da la forza di affrontare la seconda fase del Piano: la banda ultralarga. Il Piano Strategico Banda Ultralarga è la soluzione italiana, autorizzata dalla Commissione europea, coerente con la Comunicazione della Commissione 2009/C 235/04 “Orientamenti comunitari relativi all’applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga” e con l’articolo 30 del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, per raggiungere entro il 2020, gli obiettivi più sfidanti del secondo pilastro dell’Agenda digitale europea: [COM(2010) 245]  Internet veloce e superveloce, ovvero di portare connettività ad almeno 30 Mbps a tutti gli europei assicurando che almeno il 50 per cento delle famiglie europee si abboni a connessioni internet di oltre 100 Mbps.
Un obiettivo ambizioso, in particolar modo per l’Italia, considerando che allo stato attuale del mercato nazionale, per raggiungere il solo obiettivo di collegare tutti i cittadini italiani ad almeno 30 Mbps sono necessari 4 miliardi di euro. Escludendo le prime 161 città “grigie”, ovvero in cui gli operatori privati forniranno servizi di connettività ad almeno 30 mbps nei prossimi tre anni, si stima che almeno 2,5 miliardi di euro, per ora, dovranno essere pubblici per incentivare gli operatori privati a fornire il servizio anche nelle aree meno remunerative.

Anche oggi, come nel 2009, non mancano le critiche, spesso provenienti dagli stessi operatori, che investire in infrastrutture di reti non serva, che non esistono servizi da giustificare una banda così veloce e, soprattutto, che troppo pochi italiani usano la rete e che quindi dovremmo concentrarci ad incrementare l’utilizzo prima di pensare alla qualità del servizio di connettività.   Una qualità che, come ci dicono i dati AGCom e della Fondazione Ugo Bordoni, continua a peggiorare anno dopo anno, al crescere del numero dell’utenza che nelle città ha spesso già raggiunto la saturazione. Navigazioni lente, frustranti che riducono sensibilmente le possibilità di business online e allontanano i cittadini meno “digitali” dalla rete. Siamo allo storico dilemma: “è nato prima l’uovo o la gallina?” “Bisogna fare prima le autostrade o le automobili?” Forse se l’Italia fosse governata più dalle donne riusciremmo a fare anche due cose assieme! La risposta sembrerebbe ovvia: siamo agli ultimi posti dell’European Digital Scoreboard per capacità di banda offerta ai cittadini, ma non sentiamo l’urgenza di migliorare le nostre infrastrutture per raggiungere i comuni obiettivi dell’Agenda Digitale.

… E non sarebbe un problema di soldi…

Siamo di fronte al nuovo settennio di programmazione 2014/20 e l’Italia disporrà di ca. 64 miliardi di euro (circa metà comunitari e metà nazionali), ma a quanto sembra dall’ultima bozza dell’Accordo di partenariato con la Commissiome Europea pubblicato il 10 dicembre dal Ministro per la Coesione territoriale – Carlo Trigilia – forse non troveremo 2,5 miliardi di euro da dedicare alle infrastrutture di rete. Su questo concordano tutti gli studi di settore dal Word Economic Forum all’OCSE, dalla Mckinsey alla Bocconi, basati su esperienze concrete e non su proiezioni ideali. Benefici non solo economici ma soprattutto sociali: se la nostra economia non sarà digitale le nostre imprese non potranno competere internazionalmente, il Made in Italy diventerà un brand folcloristico confinato in un meraviglioso Paese lontano dalle logiche del business del futuro. Investire oggi in infrastrutture di rete significa investire nel futuro, dare opportunità alle prossime generazioni, significa avere un peso nell’economia mondiale. Con 2 mbps al secondo questo accesso sarà negato: le nostre imprese, la nostra pubblica amministrazione non potrà usufruire di tutti i vantaggi del cloud computing e saremo condannati alla preistoria dell’informatica.

Dove il Piano Strategico banda ultralarga è già una realtà

ImageServerPurtroppo per tutti i grandi cambiamenti culturali c’è bisogno di tempo. Il tempo che non abbiamo, perché ogni anno di ritardo è un’occasione persa. Tuttavia, con pazienza e perseveranza, con la testardaggine propria della passione, anche il Piano Strategico Banda Ultralarga sta andando avanti, a piccoli grandi passi, con le Regioni che come noi credono in questo Piano per il loro sviluppo. Ognuno mette quel che può e cambia le sorti della sua economia: la Campania ha investito nel nostro piano ca. 120 milioni di euro e nel 2015 il 52 per cento dei cittadini campani viaggeranno ad almeno 30 mbps e molti ospedali, scuole e distretti industriali saranno connessi a 100 mbps. Il Molise ha investito 4 milioni di euro e il 25 per cento dei molisani avrà reti ultra veloci, la Calabria e la Puglia hanno dedicato al nostro Piano 65 milioni di euro ciascuna, la prima indirizzandoli a cittadini, ospedali e scuole, la seconda investendo esclusivamente nelle aree industriali della regione. Anche Abruzzo, Lazio e Sicilia sono in corsa per attuare il nostro Piano nei loro territori. Abbiamo, infine, alcune sperimentazioni in Lombardia a Monza e Varese per 1,5 milioni di euro, mentre in Basilicata un bando da 53 milioni di euro è andato deserto, perché nelle aree più remote nemmeno con un incentivo a fondo perduto del 70 per cento si riesce ad attirare l’interesse privato ad investire, aprendo la strada per un intervento totalmente pubblico (modello A) o un modello misto diretto e a incentivo (A e C)  a discrezione della giunta regionale. Il caso della Basilicata è emblematico: se non interviene il pubblico le nostre reti saranno sempre più inadeguate.

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