LinkedIn e mercato cinese: un matrimonio possibile

Il principale social network statunitense non bloccato in Cina sta iniziando ad espandere la propria presenza nella nazione più popolosa del mondo. LinkedIn, a differenza di Facebook , Twitter e Google, non è vietato dalla censura di Stato e solo di recente ha nominato il suo primo presidente per la Cina: George Shen. Poco dopo, all’inizio della scorsa settimana, LinkedIn avrebbe iniziato a integrare i propri account con i profili degli utenti della famosa chat app cinese WeChat, che ha circa 300 visitatori mensili. A puntare l’attenzione sul trend di sviluppo di LinkedIn in Cina è il Financial Times che avanza anche una ipotesi sul perchè tale social network possa avere maggiori possibilità di avere successo in Cina rispetto a molti altri gruppi tecnologici americani.

Gli altri gruppi, se fossero sbloccati, si troverebbero a competere direttamente con consolidati giganti tecnologici cinesi. La media holding Tencent ma anche WeChat, che è sempre più popolare come  social network e come piattaforma di marketing, ma anche Sina con il suo servizio Weibo ispirato a Twitter,  parzialmente sostenuto da gigante dell’e-commerce Alibaba. Il mercato della ricerca di lavoro online, invece, è frammentato tra diversi gruppi locali come Zhaopin e 51job, che gestiscono un mercato con un alto tasso di turnover tra i lavoratori e relativa forte domanda per i servizi di reclutamento. Senza contare che il respiro internazionale di alto livello di LinkedIn rende la piattaforma molto diversa dalle altre.

Perché la Cina non blocca LinkedIn insieme ad altri social network stranieri non è chiaro, ma è lecito pensare che l’uso non politico dello strumento lo sottragga alle attenzioni dei censori. Pur non offrendo una versione completa del suo sito web in Cina, LinkedIn dichiara già più di 4 milioni di utenti in Cina mentre il suo tasso di crescita  negli Stati Uniti sta cominciando a rallentare, come accade anche ad altri illustri social media. E’ di qualche settimana fa l’ “allarme” lanciato da un gruppo di ricercatori dell’università di Princeton che profetizza la “morte” di Facebook entro il 2017.

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